La riscossa del Sud

UNA MEMORIA DIMENTICATA


Da anni in gennaio si commemora la “Giornata della Memoria”, per ricordare la Shoàh, cioè lo sterminio nazista di ben cinque milioni di ebrei. Questa commemorazione porta logicamente a riflettere sui tanti genocidi commessi nel mondo, che seppure meno numerici di quello del popolo ebraico, sono comunque episodi gravissimi: quello armeno, quelli perpetrati in terra d’America, o in Africa, oppure nell’Asia.Anche in casa nostra, nel nostro “Bel Paese, c’è “la sagra della memoria”.Ci si sforza di ricordare la follia di chi, per motivi di potere o di razza, e tante volte anche religiosi, ha reso la storia teatro di barbarie indescrivibili, dove non si definisce bene l’umano e il disumano.Per ricordare si propongono discussioni, manifestazioni, mostre, lavori teatrali e cinematografici; si riempiono le nostre strade di manifesti commemorativi e di belle frasi fatte.Tutti diventano attori ricercati in questa ”corsa alla memoria”, politici di destra o di sinistra, moderati o progressisti, associazioni religiose o civili, singoli e gruppi, tutti portavoce delle vittime innocenti; quelle del passato, o quelle recenti.Come è strana questa memoria, lucida e perfetta tante volte per fatti lontani da noi, che seppure toccano la nostra coscienza poco ci appartengono, ma restia a riconoscere e ricordare “i mali di casa nostra”. E tante volte volutamente li dimentichiamo, coscienti che certi “spettri” è meglio lasciarli ben chiusi negli armadi della storia.Questa nostra “Nazione Italiana”, così fiera della sua storia, ricca di aneddoti, di eroi, di padri nazionali, di mitici patrioti, uomini  tutto d’un pezzo, mentre pretende di celebrare le festi giubilari della sua fondazione, rifiuta di “ricordare” come realmente è stata fatta l’Italia.Quando qualcuno, poi, si fa portavoce di questa “memoria dimenticata”, quanti egregi storici e patrioti s’inalberano, facendo ironia o contra battendo sugli argomenti trattati, portando come prova della loro “grande sapienza” le argomentazioni fasulle e rimpastate, che da ben 150 anni la storiografia di regime ci impone.          
  Ma se ci sentiamo, e siamo orgogliosi d’esserlo, realmente meridionali, innamorati delle nostre origini e della nostra fede, non possiamo tacere di fronte alla Verità; non possiamo anche noi tradire il nostro sangue e la nostra terra, pur di conservare una “poltrona” nel consesso dei vincitori.È tempo ormai, la stagione è matura, che la Verità venga gridata sui tetti, dai nostri palchi; ne parlino i nostri giornali. Guai se non lo facessimo, verremmo meno all’appuntamento con la storia, una nuova storia che bisogna riscrivere per il nostro Sud martoriato. Infatti senza la memoria non possiamo ritrovare la nostra identità nella storia, e continueremo ad essere una colonia dei vincitori. Continueremo a vedere le nostre regioni meridionali impoverirsi, e ancora i nostri giovani emigrare.Continueremo a pagare per i tradimenti, che portarono la Nazione delle Due Sicilie, tra le prime nell’Europa del XVIII e XIX secolo per sviluppo economico e civile, a diventare la cenerentola della penisola italica.Infatti al genocidio fisico dell’antica Nazione Meridionale, che per circa otto secoli ha mantenuto invariata la sua costituzione fisica, e che la storia patria ha magistralmente seppellito per anni negli archivi, ancora più grave è sopravvenuto il genocidio culturale e della memoria.Il giurista polacco Rafhael Lemkin, che ha definito il primo concetto di genocidio, sosteneva:  "… genocidio non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione…esso intende designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali. Obiettivi di un piano siffatto sarebbero la disintegrazione delle istituzioni politiche e sociali, della cultura, della lingua, dei sentimenti nazionali, della religione e della vita economica dei gruppi nazionali e la distruzione della sicurezza personale, della libertà, della salute, della dignità e persino delle vite degli individui…non a causa delle loro qualità individuali, ma in quanto membri del gruppo nazionale".Proprio questo è stato fatto in questa parte meravigliosa dell’Italia, che il nostro storico Giacinto De Sivo definisce “il sorriso del Signore […..] abbondante e prospera, lieta e tranquilla, gaia e bella, aveva leggi sapienti, morigerati costumi e pienezza di vita, aveva esercito, flotta, strade, industrie, opifici, templi e regge meravigliose”.Con la propaganda e la calunnia si è cercato innanzitutto di minare il sistema politico e sociale. Memori di quello che diceva il padre della rivoluzione francese Voltaire: "Calunniate, calunniate: qualcosa resterà", iniziò da subito la campagna denigratoria, con una propaganda velenosa e falsa contro l’intera dinastia dei Borbone, e nei confronti dell’uomo meridionale, ritenuto “beduino”, “africano”, “incivile”, “sudicio”, “brigante”, calunnie preconfezionate nelle logge massoniche, e che gli “scribacchini” della nuova idea andavano spargendo come il vento.    
 
 Dopo aver sparso veleno per tutta l’Europa, in un momento difficile e transitorio per il Regno, subito dopo la prematura morte di Re Ferdinando II, approfittando dell’inesperienza e della giovinezza di Francesco II, attraverso la corruzione di alcuni ministri e ufficiali, e la ormai riconosciuta “alleanza segreta” con mafia e camorra, la massoneria internazionale appoggia l’ambizioso Vittorio Emanuele di Savoia, nella conquista e nel saccheggio del Sud. Fa da battistrada il “rivoluzionario” Garibaldi e i suoi mille. Quante leggende ci hanno insegnato, tra cui l’eroica spedizione dei mille, accolti da un popolo festante. Lo stesso Giuseppe Bandi, garibaldino, in una sua cronistoria ha scritto: :"Fummo accolti dai marsalesi come cani in chiesa".Da qui inizia la parabola discendente del nostro Sud: soprusi, saccheggio, tasse, ingiustizie, impoverimento. Non mancarono deportazioni, l'incubo della reclusione, persecuzione della Chiesa cattolica, profanazioni dei templi, fucilazioni di massa, stupri, perfino bambine (figlie di "briganti") costretti ai ferri carcerari. E gli eroici soldati meridionali, che vollero rimanere fedeli al loro giuramento, trattati come bestie, deportati a migliaia nel freddo Piemonte.Dopo l’annessione al nuovo Regno, per circa dieci anni , la stessa istruzione entrò in crisi, dopo la chiusura e la soppressione di diverse scuole, perché bisognava oltre al genocidio fisico, cancellare la memoria del passato, disintegrando la nostra cultura, le nostre tradizioni, i sentimenti di fedeltà al proprio Re e alla Nazione, la nostra lingua, persino la nostra fede. Furono soppresse Chiese e Conventi, arrestati e mandati in esilio vescovi e preti, alcuni furono uccisi, cacciati dai loro istituti frati e suore. Una vera guerra alla civiltà e alla religione.Forse furono diversi i metodi piemontesi da quello dei nazisti? E le carceri e i lager piemontesi, il più terribile tra tutti quello di Fenestrelle, non erano forse uguali a quelli tedeschi? Le vasche di calce vivo di Fenestrelle non somigliavano tanto ai forni crematori di Auschwitz? Qualche puritano dirà che sono esagerazioni, fantasie, rimarrà scandalizzato, questa è storia. Già lo scrittore Carlo Alianello aveva scritto: “Nessuno […] venga a lamentarsi delle stragi naziste. Le SS del 1860 e degli anni successivi si chiamarono, almeno per gli abitanti dell’ex reame, piemontesi. Perciò smettiamo di sbarrare gli occhi, di spalancare all’urlo le bocche, di stringere i pugni e di tendere il collo a deprecare violenze altrui in questo e in altri continenti. Ci bastino le nostre, per sentire un solo brivido di pudore. Noi abbiamo saputo fare di più e di peggio”.E bisogna smetterla di giustificare questo genocidio infangando la memoria di quei soldati e di quei patrioti del sud con il titolo di briganti, è pura ipocrisia. Non vi è alcuna differenza tra i combattenti meridionali legittimisti del 1860, che lottavano per difendere la loro Patria, il loro Sovrano, i propri diritti, le proprie famiglie, e i partigiani del 1943. Siamo nel 150° anniversario dell’unificazione, sarebbe quindi opportuno non celebrare, spendendo soldi che possono essere utilizzati a opere più necessarie, ma solamente commemorare.Commemorare non è un semplice ricordare, così da mettere a posto la coscienza, potrebbe non bastare il semplice ricordo per guarire il male che portiamo nel nostro tessuto sociale; bisogna invece attraverso la memoria rendere vivo il passato, perché esso ci insegni a vivere bene, a non commettere più quegli orrori di razzismo, di sopraffazione e di odio, che ancora attendono giustizia. Commemorare perché si possano finalmente cancellare quelle ferite e lacerazioni che ci portiamo dietro da 150 anni, lacerazioni che sempre più in questi anni sembrano dividerci, facendo nascere nuove e più gravi distanze, che creano nuovi razzismi e che alimentano nuovi focolari di odio, coscienti che l’unità non si costruisce con la violenza e l’usurpazione, ma nel rispetto reciproco, nell’accettazione delle proprie differenze, nell’amore alla Verità,  nella concordia reciproca.