La riscossa del Sud

1861-2011 A centocinquant’anni dell’unità d’Italia: Quale Identità?


La scorsa settimana ho partecipato al bellissimo convegno organizzato a Roma da Alleanza Cattolica. Avrei voluto subito esprimere le mie considerazioni, fare la mia personale riflessione su questa giornata memorabile, che coincideva anche con una data importante, la conquista della città di Gaeta da parte dei piemontesi in quel triste 13 febbraio 1861, conquista cruenta e violenta, avvenuta dopo un’eroica resistenza, e che segnò la fine e l’indipendenza del Regno delle Due Sicilie, la forzata annessione al Piemonte, facendo del sud una colonia del nord. Di quest’evento disastroso ancora tutt’oggi nel Sud si risentono le terribili conseguenze.Purtroppo non mi è stato facile poter subito condividere questa esperienza, ma lo faccio oggi, consapevole che bisogna sempre far conoscere la verità.Il convegno rientrava in queste celebrazioni del 150° anniversario dell’unità d’Italia, celebrazioni che, dolente o volente, questo “stato” sta portando avanti, a volte con enfasi e paroloni che vanno al di là del credibile.Sono stati relatori di questo convegno, cattolici di grande spessore e uomini di cultura eccezionale, da Attilio Tamburrini a Francesco Pappalardo, Marco Invernizzi, Mauro Ronco, Marina Valensise, Giovanni Formicola, S.E. Mons. Luigi Negri, gli onorevoli Mantovano, Pagano e Polledri, il dott. Massimo Introvigne, Giovanni Cantoni, che ci hanno fatto ben riflettere, attraverso le interessanti e molteplici tematiche, sulla necessità, sempre più imbellente, di fare verità storica su quel periodo oscuro ed effimero, che arbitrariamente ha preso un nome che di per sé ha un significato molto grande: il risorgimento!Risorgimento ha un significato molto ampio, aldilà di questo riduttivo e semplicistico che si è voluto dare. Esso significa risorgere, cioè ritornare in vita, sorgere di nuovo, riprendersi e rifiorire dopo una decadenza o malattia. Ma, considerando bene certi avvenimenti di quel periodo, certe scelte tutt’altro che buone, il comportamento politico e  militare discutibile di certi personaggi, é realmente possibile chiamare risorgimento quella rivoluzione liberista e massonica, che prese il suo avvio già da maldestri moti e piccole rivoluzioni, che dal 1848 in poi andarono minando l’ordine nei diversi territori della penisola italica?  Oggi ormai è risaputo che queste sommosse strumentali, erano intenzionalmente manovrate dalla massoneria e dalla politica cavourriana, con lo scopo di abbattere le altre istituzioni, ma in particolare l’antica e sacra istituzione del Papato.Allora ha chiaramente ragione Angela Pellicciari, e altri autori, quando esplicitamente ritengono il risorgimento italiano come una guerra alla religione e alla libertà identitaria delle altre popolazioni italiche. In questa rivoluzione risorgimentalista, che ha avuto seguito a quella della rivoluzione francese e delle piccole rivoluzioni giacobine locali, andavano sempre più a delinearsi due visioni opposte del mondo e della vita, due visioni in perpetuo contrasto e separazione tra loro, due civiltà antagoniste.Il mondo rivoluzionario, in se astratto e vuoto, che mentre andava blaterando l’emancipazione dell’uomo e una libertà, che sarà poi solamente apparenza, abbattendo quindi ogni idea dei valori passati, particolarmente il  valore della fede cristiana, della tradizione e dell’autorità, andava creando un nuovo assolutismo, nuovi idoli, nuovi padroni.Il mondo concreto del popolo, della nostra gente, legato a quei valori eterni e indissolubili, la fede, la famiglia, la tradizione, l’autorità reale, la propria identità sociale, la propria terra e il proprio lavoro, la propria patria, che non era una patria astratta, ma quella terra sulla quale posava i propri piedi, quella terra per la quale sudava e soffriva, piangeva ed amava.In questa dura e opposta battaglia di idee si andava costruendo quell’ideale, di per sé giusto, dell’unità del popolo italiano, che in comune aveva la stessa lingua, l’identica fede, e certamente le stesse antiche tradizioni. Una unità che trovava larghi consensi, nel mondo cattolico e laico, seppure con visioni diverse, ma che meritava di essere costruita con ben altri mezzi e migliori ideali. Una unità, che doveva tener conto della diversità e dell’identità di ciascun popolo e persona, e che poteva costruirsi sulla concretezza del dialogo e del federalismo, senza macchiare questa terra di sangue innocente, e senza neppure capovolgere l’ordine costituito. A questa unità concreta non mancarono di volgere la propria attenzione anche il Pontefice Pio IX e lo stesso Re di Napoli, Ferdinando II, ma che da subito compresero che l’idea del governo piemontese e dei Savoia, ormai anche invisi di massoneria, non era tanto quella di unificare idealmente il popolo italico sui valori e sulle tradizioni comuni, ma sostanzialmente di allargare i propri confini, e annettere al proprio potere e ai propri interessi le terre e le casse delle altre nazioni italiche.
In questa visione di conquista, si doveva dunque abbattere ogni verità che contrastava con il progetto liberista-massone del Piemonte, e lo si doveva fare con ogni mezzo possibile, attraverso la calunnia e la violenza, lo stupro e l’assassinio, la falsità e la corruzione. La rivoluzione non può avere scrupoli, perché, così come viene identificato nel Nuovo Vocabolario Filosofico-Democratico, il patriota rivoluzionario deve essere l’uomo che non ha alcun ribrezzo per l’iniquità. Non si può essere quindi un buon patriota senza essere ateo, un traditore del proprio legittimo Sovrano, della sua vera Patria, del proprio Padre, dei concittadini, di Dio, religione, costumi, sane massime, e che solamente chi ha questa capacità di porsi fuori dagli ideali antichi può avere cariche nella patria repubblicana.Questo nuovo patriottismo andava dunque a sostituirsi a quello antico e realista del passato. Una minoranza massone, la nuova borghesia, che credeva di essere illuminata, voleva sostituire con le sue nuove filosofie e il suo credo ideologico,  il realismo, l’identità e la fede della maggioranza, che vedeva con un colpo di mano cambiare il corso della propria storia.In particolare il Regno delle Due Sicilie, considerato il Regno per antonomasia, antico da secoli, e che si estendeva in oltre la metà della penisola, divenne l’obiettivo di questa rivoluzione, perché abbattere il Regno significava abbattere quell’ideale che da sempre era stato la sua prerogativa: trono ed altare!Si iniziò ben presto, con una propaganda empia e continua, a minare le basi di questo Regno. Forse non mancarono incapacità da parte del regnante e del governo napoletano di comprendere il difficile momento che si attraversava, quindi la necessità di creare alleanze e di inserirsi nei dibattiti di quel tempo, per salvaguardare l’indipendenza e la libertà del Regno. Il restare estranei e perfettamente neutrali a tutto quello che stava accadendo, facendo come propria la  massima "amici di tutti, nemici con nessuno", ci si è poi ritrovati ad avere "tanti amici, nessun amico", rimanendo isolati e indifesi di fronte ad una potenza agguerrita che ormai governava il mondo, appunto la massoneria, e indeboliti di fronte alle armi della mistificazione, che andavano ormai sostituendo la galanteria e l’onestà politica.  Il primo atto per minare l’antico Regno fu quello della calunnia, che Rossini canta nel suo barbiere di Siviglia, come il lieve venticello che pian piano e sottovoce va sibilando, portando nelle orecchie, nella testa e nel cervello della gente la sua arietta, all’inizio lieve e gentile, ma poi diventa tempestosa ed esplosiva, fino a portare il meschino calunniato a crollare sotto il peso della maldicenza e della bugia.La calunnia, quest’antichissima arte della mistificazione, usata persino da quei giudei che fecero crocifiggere il Cristo, che diventa la nuova arma di questi illuminati maestri del nuovo tempo, che partendo da un detto ormai famoso: “calomniez, calomniez, il en restera toujours quelque chose”, “calunniate, calunniate che ne resterà senz’altro qualcosa”, citazione che molti vogliono attribuire a Voltaire, oppure a Jean-Jacques Rousseau, o ancora a Beaumarchais, chi addirittura ai gesuiti, e che trova invece la sua paternità nel filosofo inglese Francesco Bacone (1561-1626), diventa realmente la vergognosa scintilla, che permetterà quella congiura che portò al crollo del Regno delle Due Sicilie, e che tutt’ora continua ad essere ispiratrice ai mistificatori attuali, che ancora vogliono degradare e depredare la dignità del Sud.E questa calunnia, caso strano, partì da un’altro inglese, lord Gladstone, che senza aver mai conosciuto da vicino la situazione del Regno Napoletano, ma per puro spirito di rivalsa, influenzato solamente da una propaganda pregiudiziale e falsa antiborbonica, facendo sue le falsità di quei pochi intellettuali napoletani, da sempre lontani dal regno, dalla propria gente, e senza alcuna conoscenza reale della loro terra, indicò ingiustamente la monarchia napoletana come “negazione di Dio”, un luogo comune che ancora oggi “fa ingrassare” i detrattori del popolo meridionale e dei Borbone. Tutt’altra invece la verità, che noi meridionali dobbiamo ricercare e fare nostra, una verità ancora nascosta negli archivi e nella memoria storica, che i vincitori ci hanno voluto nascondere e far disconoscere. La monarchia napoletana non fu quella negazione che si vuol far credere, e tanto meno il Regno delle Due Sicilie quella Nazione arretrata e retrograde di cui falsamente si parla, ma una identità e realtà storica, culturale, sociale, ideale, economica ben definita e concreta, come tanti autori antichi e presenti notano, e tanto meno fu un territorio sempre succube di dominazioni straniere, ma una vera e indipendente Nazione sin dal 1130, quando, come lo stesso Benedetto Croce scrive nell’introduzione al suo libro “storia del Regno di Napoli”, divenne monarchia civile, fondata da Ruggiero II, conservata e rassodata dai successori, innalzata al sommo fastigio della gloria da Federico svevo: uno stato moderno, in cui il baronaggio era contenuto in istretti confini, ai popoli si garantiva libertà e giustizia, la mente del sovrano, rischiarata da nobili concetti morali e politici, regolava il tutto, avvalendosi degli uomini capaci dovunque li trovasse e promovendo benessere e cultura; uno stato, che affermava tutt'intorno la sua potenza[….].Come altra è la verità su quella guerra assurda e senza dichiarazione, che fu quella contro il Regno delle Due Sicilie da parte del Piemonte, guerra che fu preludio di altre guerre ingiuste e sanguinose, fatte nel tempo e volute  solamente per l’ambizione e l’avidità di politici corrotti e dei Savoia.Altra  ancora è la verità sulla questione meridionale, nata subito dopo l’unità, conseguenza del divario economico e sociale creato tra nord e sud, creato per il saccheggio continuo delle casse meridionali: il banco di Sicilia e il banco di Napoli; per la disindustrializzazione del sud e l’aumento della disoccupazione, per le continue e aumentate tasse imposte ai popoli del sud a favore del Piemonte.
Come diversa è la verità sull’insorgenza del popolo meridionale, che tenne testa per oltre dieci anni al conquistatore piemontese, e che fu bollato del nome di brigantaggio, perché sarebbe stata una verità scomoda ammettere che quella fosse la legittima ribellione di un popolo oppresso, che lottava per la propria Patria, il proprio Re, la propria Fede; insorgenza che fu vinta solamente con un intervento di forza, circa 122.000 soldati  venuti dal nord, e con il massacro di migliaia di uomini e donne, giovani e vecchi, persino bambini, lo stupro di donne e ragazze appena adolescenti da parte delle truppe occupanti e la distruzione totale di decine e decine di paesi, cosicché lo stesso Antonio Gramsci nel 1920 su Ordine Nuovo, rammentando questi eventi vergognosi, aveva scritto: "Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l´Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti". Come la deportazione in massa di ex-soldati napoletani, che non vollero giurare fedeltà ad un re straniero, e furono portati a morire di freddo e di stento nei lager piemontesi di Fenestrelle o di San Maurizio, dove per nasconderne le tracce i corpi venivano  bruciati nella calce viva, migliaia di soldati ai quali è stata negata finanche la sepoltura e un monumento. Ha avuto ragione il grande scrittore  Carlo Alianello quando ha scritto, che qui, in Italia, si è saputo fare ben peggio di ciò che si è poi fatto altrove, ma la cosa più vergognosa e che lo si è nascosto allora e lo si vuole ancora tenere nascosto dopo 150 anni di bugie.Come diversa è la verità sull’emigrazione, fenomeno che il sud ha conosciuto solamente dopo l’unità; e la verità su quelle due potenze ormai parastatali, che sono mafia e camorra, e che non sono, come ci hanno voluto far credere e si vuole ancora far credere, un male endemico del sud, ma  che esse hanno avuto maggior consistenza e forza proprio da questo nuovo stato che nasceva, e che già portava in sé la cultura della morte di ogni coscienza, della dignità e della giustizia.Ecco la verità che noi dobbiamo sforzarci sempre più di riscoprire, una verità che ogni uomo o donna  o giovane o ragazzo del Sud deve ritrovare, una verità che  se ancora ci è negata e nascosta, tanto più in questa circostanza, che avrebbe potuto permettere una vera riconciliazione tra presente e passato, noi dobbiamo pretendere, tanto più se i politici, gli intellettuali e gli artisti prezzolati continuano a raccontare noiosamente le solite retoriche sul risorgimento, coscienti che la verità della nostra storia ci farà liberi, e che se ritroveremo questa verità, nessuna forza negativa o violenza potrà mai sostituire la nostra identità, onestà e libertà, nessuna forza oscura potrà manovrare il nostro futuro, il nostro impegno di riappropriazione della memoria, della dignità e dei nostri valori… Abbiamo il dovere di farlo, come lo stesso Papa Benedetto XVI ci insegna attraverso un discorso fatto al popolo portoghese, perché “un popolo, che smette di sapere quale sia la propria verità, finisce perduto nei labirinti del tempo e della storia, privo di valori chiaramente definiti e senza grandi scopi chiaramente enunciati”.        
Non permettiamo più che calpestino la nostra memoria e la nostra storia. Noi non neghiamo “l’Unità”, tanto più in un mondo che va sempre più verso la globalizzazione e l’unità dei popoli, ma questa unità non può continuare a mantenersi sulla bugia e l’ingiustizia, sui miti e le mistificazioni del passato, e ancor più non si può conservare una unità costruita non sulla cultura della vita, cioè nel rispetto della concretezza e dell’identità morale, spirituale e culturale di ciascun individuo o popolo. Non si può mantenere questa malaunità, impedendoci di conoscere la verità.La vera unità va costruita facendo giustizia alla verità.Non si può quindi celebrare come festa il 150° dell’unità d’Italia se non c’è questa necessaria e concreta revisione della storia risorgimentale, se non saranno abbattuti i miti che falsamente mantengono questa casa costruita sulla sabbia, se non sarà fatta giustizia al popolo delle Due Sicilie, se non sarà data una concreta e reale identità a questo popolo che vaga nelle tenebre.                                                          Massimo  Cuofano