La riscossa del Sud

Sono trascorsi 153 anni dal quel fatidico 1861, quando dopo un plebiscita falso e corrotto l'antico Regno delle Due Sicilie fu annesso alla nuova Italiella. Ferro e fuoco fu portato dagli invasori in tutto il nostro territorio, e la nostra gente depredata, spogliata, uccisa. Fummo pivati non solo della libertà, ma insieme della dignità, dell'onore e del benessere. Da quell'ora fatale la nostra terra e la nostra gente è diventata preda degli avvoltoi del potere politico, del potere massonico, del potere mafioso. Dopo 152 anni nulla è cambiato, anzi le cose peggiorano, e continuiamo ad essere la terra dei rapaci. Ancora oggi gli eredi di quei "piemontesi" e "garibaldeschi" che ci conquistarono, insieme agli eredi di quei traditori del Sud, i nuovi ascari del nord, continuano a toglierci dignità, onore, benessere e libertà. Donna e Uomo del Sud... Giovane e Ragazzo del Sud... Anziano del Sud... non abbatterti e non perdere il tuo coraggio, questo è il tempo della RISCOSSA. Non scegliere più il potere del nord, è tempo di scegliere la tua TERRA.

 

GARIBALDI UN MITO CHE CROLLA

           

Per conoscere la verità potete andare anche a leggere il saggio storico scritto dal prof. Gennaro  De Crescenzo, proprio sul crollo del mito di Garibaldi

 Gennaro De Crescenzo,

Contro Garibaldi. Il mito in frantumi

- Casa editrice Il Giglio

               

Sulla figura di Garibaldi e del suo ruolo nella vicenda risorgimentale sono state date interpretazioni non sempre omogenee che, pur riconoscendolo sempre come eroe dell’unificazione italiana, hanno proposto sfumature diverse del personaggio, illuminandone alcuni tratti piuttosto che altri. Chi fu, dunque Garibaldi? L’eroe che dedicò la vita a combattere per ideali di libertà e di giustizia? Oppure lo strumento inconsapevole di una trama di potere ordita da massoni e liberali per impossessarsi dell’intera Penisola? O ancora, il rivoluzionario che collaborò attivamente alla conquista del Regno delle Due Sicilie, condividendo pienamente gli scopi e i mezzi delle forze unitariste? La risposta a queste domande sarà la chiave per rileggere l’impresa risorgimentale e le sue conseguenze che giungono fino ai nostri giorni.

  

 

LA FAVOLA DELL'UNITÀ

ECCO COME CI LIBERARONO

TG DOSSIER VERITA'

SU RAI 2

Se hai voglia di conoscere la verità sulla spedizione dei mille e sull'occupazione del Regno delle Due Sicilie puoi andare a leggere i seguenti testi:

Il Regno delle Due Sicilie

Tutta la verità

Gustavo Rinaldi     Editore: ControCorrente

Il libro racconta la storia del Regno delle Due Sicilie stroncando tutti i luoghi comuni e le menzogne che si ripetono da duecento anni. È un viaggio della memoria con testimonianze al di sopra delle parti per le nuove generazioni di meridionali alla conquista del presente: il futuro del Sud ha un cuore antico.

Garibaldi, Fauchè e i predatori del Regno del Sud

La vera storia dei piroscafi "Piemonte" e "Lombardo" nella spedizione dei Mille

Luciano Salera           Editore: ControCorrente

La Storia Proibita.

Quando i piemontesi invasero il Sud.

Autori Vari   

 Editore: ControCorrente

 

INNO DEL REGNO DELLE DUE SICILIE

Alla Reale Casa dei  Borbone

del Regno delle Due Sicilie

onore nei secoli

 

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Borbone - Regno delle due Sicilie

com'era e come finì

Lotta per la Libertà

per tenere sempre nel cuore la nostra Patria, e rispolverare dalla polvere e dal fango, con il quale i vincitori hanno coperto la nostra antica gloria, la verità nascosta

 

 

23 GENNAIO TUTTI A NAPOLI

Post n°65 pubblicato il 22 Gennaio 2012 da massimo.c58
Foto di massimo.c58

 

è un dovere di tutti difendere la nostra terra, la nostra dignità, la giustizia per il nostro popolo, per i nostri anziani, per i bambini che crescono e che hanno bisogno di ritrovare la loro Patria

 

 

Non mancare a questo importante appuntamento... prima che distruggano completamente la nostra terra.

 

 
 
 

PETIZIONE per SALVARE la REGGIA di CARDITELLO

Post n°64 pubblicato il 10 Gennaio 2012 da massimo.c58
Foto di massimo.c58

 

 

Ti invito a sottoscrivere la petizione e a farla conoscere in giro.

E' stata lanciata dagli amici del Real Circolo Francesco II ma pochi l'hanno finora sottoscritta.

Grazie per l'impegno.

Salviamo la Reggia di Carditello, che tra saccheggi degrado e rifiuti, versa in condizioni disperate, nella totale assenza di tutela da parte della sopraintendenza senza fondi.
Inutili le numerose iniziative adottate dalle associazioni locali e la proposta di legge per l' acquisto della reggia da parte della Regione nel 2007 che non è stata mai approvata in giunta, il tribunale di Capua ha ufficialmente messo all' asta l' intero sito e si temono future speculazioni, il rischio che il Reggia di Carditello possa finire nelle mani di privati o della malavita organizzata è sempre più elevato.
Pertanto chiediamo l'iscrizione dell'intero Sito nella Lista dei patrimoni dell'umanità dell'Unesco, insieme al Palazzo Reale del XVIII secolo di Caserta, con il Parco, l'Acquedotto Carolino e il complesso di San Leucio.


La Reale tenuta di Carditello, sita in San Tammaro, provincia di Caserta, detta anche Real sito di Carditello oppure, con riferimento alla palazzina ivi presente, Reggia di Carditello, faceva parte di un gruppo di 22 siti della dinastia reale dei Borbone di Napoli posti nella Terra di Lavoro: Palazzo Reale di Napoli, Reggia di Capodimonte, Tenuta degli Astroni, Villa d'Elboeuf, Reggia di Portici, Villa Favorita, Palazzo d'Avalos nell'isola di Procida, lago di Agnano, Licola, Capriati a Volturno, Cardito, Reale tenuta di Carditello, Reale tenuta di Persano, Fasano di Maddaloni, Selva di Caiazzo, Sant'Arcangelo, Reggia di Caserta, San Leucio, Casino del Fusaro, Casino di Quisisana, Mondragone e Demanio di Calvi.


Questi siti non erano solo semplici luoghi per lo svago (soprattutto per la caccia) della famiglia reale borbonica e della sua corte, poiché, è importante sottolineare, che in alcuni casi costituivano vere e proprie aziende, espressione di imprenditoria ispirata dalle idee illuministiche in voga in quei tempi. Si citano per esempio gli allevamenti della Fagianeria di Caiazzo, la produzione della seta a San Leucio, la pesca al Fusaro, gli allevamenti della Tenuta di Persano e del Demanio di Calvi.

                                                                         fonte: Wikipedia

hhttp://www.petizionionline.it/petizione/salviamo-la-real-tenuta-di-carditello/

 

 
 
 

LA VERITÀ SUL TRICOLORE

Foto di massimo.c58

 

 

 

Pubblico sul mio blog  un articolo di Pino Tosca scomparso nel 2001, fondatore del movimento politico cattolico Azione e Tradizione, e che dell'intransigenza dei principì fece la sua bandiera. E questa bandiera non poteva coesistere con l'altra: il tricolore massonico. In questo articolo, Pino Tosca, ripercorre le tappe "iniziatiche" del percorso che fece il tricolore. Come dalla Francia si arrivò anche in Italia ad adottare una bandiera estranea alle tradizioni ed alla cultura dei suoi popoli. In questa giornata del 7 gennaio, che si vogliono commemorare i 215 anni dell'invenzione di questa bandiera, che nella conquista e nel saccheggio del Regno delle Due Sicilie rappresentò per la maggioranza del popolo meridionale distruzione e morte, al suo apparire infatti venivano distrutti paesi, stuprate donne, uccisi a migliaia uomini e donne, giovani, bambini e vecchi, da quei presunti eroi che l'innalzavano, sono certo di fare cosa gradita inviando il  seguente articolo ricordando allo stesso tempo le vittime innocenti del saccheggio del Sud. 

 

                                         

Il Tricolore, bandiera massonica.    

Il 1 settembre 1904 alla Camera francese si verificò un acceso dibattito tra i deputati. Gli incidenti verbali furono provocati da un'affermazione pubblica del marchese di Rosando, il quale, rivolto verso i colleghi della sinistra, aveva esclamato: "La Framassoneria ha lavorato in sordina, ma in modo costante, a preparare la Rivoluzione!". Il deputato Jumel aveva immediatamente replicato: "E' un effetto di cui ci vantiamo!". Lo seguirono a ruota, in un crescendo di attacchi enfatici, Alessandro Zevaes ("E' il più grande elogio che potreste farci!") ed Enrico Michel ("È la ragione per la quale voi ed i vostri amici la detestate!"). Rosando rispose subito: "Siamo quindi perfettamente d'accordo su questo punto, cioè che la Massoneria è stata la sola autrice della Rivoluzione, e gli applausi che io raccolgo da sinistra, ed ai quali sono poco abituato, provano, signori, che voi riconoscete con me che essa ha fatto la Rivoluzione francese". E Jumel, di rimando: "Facciamo più che riconoscerlo, lo proclamiamo!". E così, con questa fiera proclamazione si chiariva definitivamente un evento storico: e cioè che era stata la Massoneria a volere, finanziare e preparare la Rivoluzione francese. Rivoluzione che oltre a portarci le delizie delle teste mozzate dallo strumento del dottor Guillotin, escogitò e ci impose lo stesso vessillo dietro cui si nascondeva la rabbia sanculotta: la bandiera dei tre colori. Come ben si sa, le armate rivoluzionarie, grazie poi al confratello Napoleone Bonaparte (iniziato ai «misteri» massonici sin da quando era semplice tenente) portarono il proprio emblema multicolore in ogni parte della vecchia Europa, sotto il comando di generali come Ney, Cambronne, Lefebvre Bernadotte, tutti affiliati alle logge massoniche. Sul sangue dei Lazzari napoletani, dei montanari di Andreas Hofer, dei guerrilleros spagnoli si piantava l'albero della Libertè con in cima la coccarda tricolore. 

In Italia fu lo stesso Bonaparte a consegnare il primo stendardo tricolorato (al blu fu sostituito il verde, colore classico delle logge massoniche) ad un corpo di volontari della Legione Lombarda, i «Cacciatori a cavallo» che, si badi bene, alla faccia dell'indipendenza italica, erano inquadrati nell'Armata francese. Tanto è vero che al centro di questa bandiera campeggiava il simbolo stesso dei giacobini francesi: il berretto frigio. Inoltre, per mantenere questo suo Corpo di italiani «infrancesati», Napoleone non seppe far di meglio che saccheggiare e profanare tutte le chiese della penisola che si trovavano sfortunatamente sul suo cammino.

 

II tricolore venne comunque adottato ufficialmente come bandiera di Stato dalla Repubblica Cispadana (altra invenzione napoleonica), riunita a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797. Ma la Repubblica Cispadana (così come quella Cisalpina) tutto poteva essere tranne che una difesa di «italianità». Era una repubblica massonica a perfetta imitazione di quella francese, da cui dipendeva in tutto e per tutto.

 

Marziano Brignoli, direttore delle Raccolte Storiche del Comune di Milano (Museo del Risorgimento e Museo di Storia Contemporanea), non sospetto di simpatie «reazionarie», ha affermato che "è chiaro che la nostra bandiera è nata ad imitazione di quella francese". Per Brignoli "i nostri tre colori provengono dall'insegna di una setta massonica". Sarà forse un caso, ma è certo che il bianco, il rosso e il verde erano anche i colori della setta di affiliazione massonica del romagnolo Giuseppe Compagnoni, il segretario della Repubblica Cispadana che a Reggio Emilia propose di adottare il tricolore come bandiera del nuovo Stato.

 

Dalla Repubblica Cispadana, seguendo la dominazione francese, il tricolore passò poi a quella Cisalpina (12 maggio 1797). Alla caduta della dittatura bonapartista, nel 1814, il tricolore non solo scomparve ovunque, ma fu generalmente considerato come emblema dei collaborazionisti con gli invasori francesi. Si arriverà poi al 1848 ed ai «moti risorgimentali» per vedere suscitare il vessillo pluricolorato, grazie alla complicità delle stesse dinastie anti-bonapartiste (come quella dei Savoia) che si «adeguavano» ai tempi, e con il Re Travicello (Carlo Alberto), grande protettore di sette e di logge, rivestendosi coi colori cispadani. Come si sa, giunse poi l'ora dei «fratelli d'Italia». «Fratello» massone era infatti Goffredo Mameli (al quale fu addirittura intitolata una Loggia), e come lui massoni di rango furono tutti i vari «artefici» del «risorgimento» (voluto da un Piemonte in cui si parlava più francese che italiano): da Garibaldi (nominato nel 1862 Gran Maestro e Primo Massone d'ltalia), a Bixio, a Cavour, a Costantino Nigra, a Bettino Ricasoli, a Ludovico Frapolli, e via dicendo. Ora, tutti questi fatti non potevano essere certo sconosciuti a due appassionati risorgimentalisti come Spadolini e Craxi. Perche, allora, i due governanti "filocisalpini" progettarono di istituire per il 12 maggio la «Festa del Tricolore» invece che per il 7 gennaio, come giustamente rivendicato dalla "cispadana" Reggio Emilia ? Possibile che i due politici in questione erano tanto malaccorti da incorrere in un «infortunio culturale» di tale calibro? Certo che no. La verità è che Craxi e Spadolini tentarono di giocare la carta del 12 maggio, per un fatto culturalmente (e laicisticamente) molto più rilevante. Il 12 maggio è infatti la grande data del laicismo trionfante: quella per cui nel 1974 le forze radical-massoniche sconfissero quelle cattoliche nel referendum sul divorzio. Questo è infatti il vero motivo per cui l'accoppiata Craxi-Spadolini era più filo-cisalpina che filo-cispadana. Dietro la maschera della Repubblica tricolorita, le lobby laiciste nascondevano il volto della repubblica divorzista. A questo occulto progetto, i cattolici (o almeno, alcuni cattolici) non solo non seppero opporsi, ma addirittura accondiscesero con entusiasmo. A costoro ricordiamo che nel 1871 il Conte di Chambord rifiutò di sedere sul trono di Francia, non accettando l'adozione del tricolore come bandiera dello Stato francese. «Se il vostro tricolore e un simbolo e voi ci tenete tanto come simbolo, allora non si tratta più di riforma, ma di abiura» disse il buon Henry di Chambord ai politici del compromesso. Ha proprio ragione Ploncard d'Assac quando scrive che "una delle più grandi abilità della Rivoluzione sta nel trasformare i conflitti d'idee in scontri simbolici"). Ed è proprio su questo che devono riflettere i vari portabandiere delle cosiddette “meditazioni culturali”.   

                                                                                    di Pino Tosca

 
 
 

GENNAIO 1862: La Strage di Castellammare del Golfo (Trapani)

Passato il 2011, sono finite anche le sciocche e insulse autocelebrazioni del 150° anniversario dell'unità d'Italia. Quante blasfemie abbiamo dovuto sentire in quest'anno celebrativo, dove si è persa l'occasione di fare giustizia alla verità storica e a un popolo umiliato e massacrato.

Ma la verità va oltre le false celebrazioni e l'esaltazione di quei miti del risorgimento, che non solo calpestano la dignità del popolo meridionale, ma offendono la giustizia.

Finiti i trionfalismi è tempo di raccontare ancora la verità, perchè finalmente si possa costruire per il Sud un'occasione di riscossa e di liberazione

Ormai è risaputo che la liberazione del sud, così come la storiografia ufficiale ha voluto esaltare la conquista  del Regno delle Due Sicilie, altro non è stato che un saccheggio, motivato dalla volontà del Piemonte e dei Savoia di allargare il loro staterello e derubarci dei tesori che si conservavano nel Banco di Napoli e di Sicilia.

Per fare questo sono stati distrutti interi paesi, uccise migliaia e migliaia di liberi cittadini, stuprate donne e persino bambine, massacrati finanche vecchi e bambini.

Ma la cosa peggiore è stata quella di calpestare la dignità del nostro popolo, defraudarci della memoria storica e della libertà, di toglierci la nostra indipendenza e fare delle Due Sicilie la colonia del nord.

Per questo noi non potevamo celebrare l'usurpazione, ma solamente ricordare le vittime, nella segreta speranza di ritrovare una idendità calpestata e la volontà di riprendere in mano la nostra storia e la nostra indipendenza.

 

Tra le tante stragi in questo mese di gennaio si ricorda quella di Castellammare del Golfo in Sicilia, una strage dimenticata volutamente, scatenata dalla volontà di un potere straniero, quello piemontese, di imporre ad un popolo, fino  a pochi anni prima indipendente, la propria volontà e le proprie leggi, che cozzavano discriminatamente con le idee e le leggi di quella gente.

Difronte all'imposizione quel popolo seppe ribellarsi per difendere la propria libertà. Ma gli costò terribilmente, perchè il conquistatore non mancò di reprimere la sete di libertà con il sangue e la violenza. E ci sono ancora quelli che negano che tale azione del potere piemontese fu vero e proprio genocidio di un popolo, della sua libertà, delle sue idee.

Ma farò raccontare i fatti di quel gennaio 1862 da uno scrittore, storico e giornalista del tempo, testimone di quegli avvenimenti, e che narra in un suo libro questo terribile avvenimento. È Francesco Durelli che in questo suo libro narra gli avvenimenti del 1862, libro ridato alle stampe e che possiamo trovare presso

                        http://stores.ebay.it//EmporioDueSicilie

 

                

Turbolenze gravissime segnano il 1. giorno di gennajo in Castellammare del golfo (Sicilia) a causa del nuovo peso della coscrizione militare. Il popolo in armi insorge, gira il paese a colpi di fucile, gridando ABBASSO LA LEVA, morte a ...piemontesi, viva la repubblica, afferra, e minaccia di massacrare il Delegato dì Pubblica Sicurezza, il costui figlio, e il Sindaco: i carabinieri sardi, e il giudice mandamentale nella fuga ricevono dietro una scarica dì fucilate. è aggredito, ed ucciso, con la figlia, il Borusco comandante della guardia nazionale: è incendiata la casa, e gli abitanti della famiglia Asaro; quella del medico Calandra, ed ucciso un Antonino di tal cognome: bruciate tutte le officine delle pubbliche amministrazioni. Accorso da Alcamo (capo distretto) il comandante Varvaro de' militi a cavallo, è ucciso con sette de' suoi. Di quest'agitazione cominciano a risentire gli altri paesi convicini. I piemontesi si risolvono ad un colpo disperato: da Palermo, e da tutti i punti di Sicilia concentrano per mare e per terra le loro forze contro il paese insorto, il quale si difende con ardore, ed uccide nell'assalto il capitano Mazzetti, piemontese, un sergente de' bersaglieri, - e varii altri militari restano feriti. - Accorrono nuove truppe, e fanno uno sbarco numerosissimo. Ecco come si esprime il Diritto a Torino de' 5 gennaio: «oltre di tante troppe accorse in Castellammare di Sicilia, vi sono spedite nella notte stessa de’ 2. sul Monzambano due compagnie di bersaglieri; e questa fregata non può accostarsi alla spiaggia, ove son collocati due obici degl'insorti, che per due ore la fanno stare lontana: bisogna far venire da Trapani la bombardiera l'Ardita, ohe fa tacere i due obici della spiaggja, e cosi si accinge allo sbarco; ma appena approda il primo battello, una scarica degl'insorti fa cadere il capitano della compagnia, e vari soldati: allora la fregata comincia a lanciare granate a giusto tiro, e costringe gl'insorti a cambiare posizione: la truppa riesce a sbarcare; esegue vari arresti, fucila sette individui sul momento (di tre de' quali non si cura né anche, di liquidare nome e cognome); ne manda 27 legati, a Palermo: il nucleo degl'insorti si getta su' monti... Da ciò si vede, che la massa dei popolo in Sicilia è malcontenta; sia per non aver guadagnato nulla dopo la rivoluzione, sia per odio verso la leva; sia por timore di nuovi dazii».

La semiofficiale Opinione di Torino (n.13) riporta una sua corrispondenza da Palermo, nella quale è affermato: che «tale sommossa merita tutta l'attenzione del governo e del paese; perché le file erano distese in parecchi altri luoghi lungo il littorale dell’isola, le quali noti ebbero tempo di manifestarsi».

Cade qui in acconcio di notare che sul modo di procedere de’ piemontesi nel rincontro il deputato Crispi, nella tornata del parlamento di Torino dei di 11 del detto mese di gennajo, muovendo interpellanze, dice, tra le altre cose: - «i fatti tragici di Castellammare sono d'importanza maggiore di quel che possano farli credere le reticenze della gazzetta ufficiale, essendone state le Autorità locali informate 20 giorni prima.... Il malcontento in Sicilia è gravissimo, sopratutto contro la leva».

E nella susseguente tornata de’ 15 l'altro deputato D'Ondes; censura gravemente «il subitaneo massacro degl'individui fucilati nel rincontro senza nessuna forma di giudizio, o di legalità e grida contro questo atto di barbarie su le persone de’ cittadini che potevano anche essere innocenti». (Francesco Durelli in Le Condizioni del Reame delle Due sicilie 1862)

In quella terribile strage le sette vittime  sono state:

Mariana Crociata cieca, analfabeta, di anni 30;

Marco Randisi di anni 45, storpio, bracciante agricolo, analfabeta;

Benedetto Palermo di anni 46, sacerdote;

Angela Catalano contadina, zoppa, analfabeta, di anni 50;

Angela Calamia di anni 70, diversamente abile, analfabeta;

Antonino Corona, diversamente abile di anni 70;

e la piccola Angelina Romano, che sembra non abbia neppure ancora compiuti i   nove anni.

Questa è stata la giustizia del conquistatore del nord.

 
 
 

Il massacro dimenticato di Pontelandolfo Quando i bersaglieri fucilarono gli innocenti

Foto di massimo.c58

Il 14 agosto 1861 per vendicare i loro quaranta soldati uccisi dai briganti e dal popolo, che si erano ribellati ai soprusi dei piemontesi occupanti, l'esercito piemontese massacrò migliaia di  inermi e rase al suolo due paesi del beneventano: Pontelandolfo e Casalbuni.  Un eccidio peggiore di quello delle Fosse Ardeatine. A 150 anni da quel massacro, in quest'anno che vergognosamente si continuano a celebrare i  miti del risorgimento e un'unità d'Italia che fu solamente il saccheggio e la conquista del sud, dobbiamo fare memoria dei nostri martiri e riconquistare la nostra identità, memoria e dignità.

   

Così racconta in un suo scritto un bersagliero che partecipò all'eccidio di Pontelandolfo, un certo Margolfo Carlo: "Al mattino del giorno 14 ricevemmo l'ordine di entrare nel paese, fucilare gli abitanti, meno i figli, le donne e gli infermi, e incendiarlo. Subito abbiamo cominciato a fucilare... quanti capitava, indi il soldato saccheggiava, ed infine abbiamo dato l'incendio al paese, di circa 4.500 abitanti. Quale desolazione... non si poteva stare d'intorno per il gran calore; e quale rumore facevano quei poveri diavoli che la sorte era di morire abbrustoliti, e chi sotto le rovine delle case. Noi invece durante l'incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava".


        
  

Questo terribile olocausto è tutto italiano. Il villaggio distrutto non sta in Etiopia ma nel Beneventano. Il suo nome è Pontelandolfo. Massacro a opera dei bersaglieri, data 14 agosto 1861, meno di un anno dopo l'ingresso trionfale di Garibaldi a Napoli. Pontelandolfo, nome cancellato dai libri perché ricorda che al Sud ci fu guerra, sporca e terribile, e un'annessione forzata e violenta a quel nuovo regno che nasceva sul sangue innocente.

     

Migliaia di morti per quaranta. centinaia di  uccisi per ogni soldato, peggio che le Fosse Ardeatine o le altre vendette delle SS tedesche. I soldati sabaudi hanno anticipato le barbarie tedesche.  Oggi a Pontelandolfo c'è solo un monumentino con tredici nomi e una lapide in memoria di Concetta Biondi, una fanciullina sedicenne brutalmente violentata dalla soldataglia piemontese davanti agli occhi di suo padre, mentre quei vili ridevano a squarciagola, e poi uccisa barbaramente con un colpo di bajonetta.

Così racconta la storia: Nicola Biondi, contadino di sessant’anni, è legato ad un palo della stalla da dieci bersaglieri. Costoro ne denudano la figlia Concettina di sedici anni, e la violentano a turno. Dopo un’ora la ragazza, sanguinante, sviene per la vergogna e per il dolore. 11 soldato piemontese che la stava violentando, indispettito nel vedere quel corpo esanime, si alza e la uccide. Il padre della ragazza, che cerca di liberarsi dalla fune che lo tiene legato al palo, è ucciso anche lui dai bersaglieri. Le pallottole spezzano anche la fune e Nicola Biondi cade carponi accanto alla figlia. Nella casa accanto, un certo Santopietro con il figlio in braccio mentre scappa, è bloccato dalle canaglie savoiarde, che gli strappano il bambino dalle mani e lo uccidono. Anche la madre del piccolo è violentata davanti ai suoi occhi e poi uccisa. Quel bambino non dimenticò mai e sopravvissuto volontariamente si arruolò nell’esercito austriaco contro i piemontesi.

                    


Mancano centinaia di nomi, scritti solo nei registri parrocchiali. Un  "luogo della memoria" che deve rimanere incancellabile nelle menti del popolo meridionale. la"città martire",  emblema e ricordo del massacro del sud, che ancora continua  con quesat politica antimeridionalista e che ci sta rendendo sempre più poveri.

É  tempo che si riconosca la ferocia di quella occupazione ingiusta, che mascherata dalla facciata della liberazione, fu guerra di conquista. Oggi a 150 anni da questi eccidi, si continuano a celebrare le evrgogne del risorgimento, si tengono ancora bene in alto i monumenti ai criminali piemontesi occupanti e al re macellaio, ma sono dimenticati e calpestati gli innocenti massacrati.

  

« Di Pontelandolfo e Casalduni non rimanga pietra su pietra. ». Così il vile e criminale generale Cialdini, di cui si onora l'Italia con strade e monumenti, diede ordine ai suoi subalterni. Il colonnello Pier Eleonoro Negri e il maggiore Melegari, che comandavano due reparti diretti rispettivamente a Pontelandolfo e a Casalduni, non mancarono di rendere efficiente quest'ordine, e lo fecero con grande diligenza e piacere.

«All’alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora». Il Negri così telegrafò il giorno dopo l'eccidio al governatore di Benevento, orgoglioso del massacro avvenuto.

 

Una vera bestia immonda chi ha compiuto questo gesto e se simili personaggi hanno fatto l’Italia una, oggi non dobbiamo piangere sulle due Italie: una ricca e prospera e l’altra povera. Questi personaggi hanno distrutto le ricchezze del Sud, hanno massacrato e fucilato gli uomini migliori, mentre hanno costretto una grande moltitudine di Meridionali o a farsi briganti oppure emigranti.

E noi continuiamo a cantare "fratelli d'Italia", osannando quei fratelli che furono i nostri assassini, e continuiamo ad innalzare una bandiera, che segnò la nostra condanna.

 


       

 

PONTELANDOLFO città martire

 

Piange ancora la tua terra, o piccolo paesello sannita,

per il sangue innocente della tua gente massacrata,

per quei corpi denudati lasciati nella polvere,

e che l’oblio dei vincitori voleva cancellare

per sempre da ogni memoria.

Il sangue delle vergini stuprate

dalla boria dei barbari assassini,

è seme a questa terra, anch’essa violentata

da un nemico insano.

E quelle mani di madri,

alzate in alto verso la croce della piazza,

indice di pietà.

Sono monito a chi ancora oltraggia

la memoria dei vinti.

Si  odono ancora nelle tue strade

Il pianto dei fanciulli,

il correre di piedi innocenti

alla ricerca di un rifugio

in quell’inferno di fuoco, si odono le grida di pietà

di giovani innocenti, che subiscono

l’onda della violenza, ma non c’è pietà nel cuore

di quella soldataglia al soldo di un re crudele,

E bruciano le tue case, crollando

sulle innocenti famiglie in esse imprigionate,

finanche la Chiesa, spogliata dei suoi arredi,

è bruciata, e il pietoso Dio Sacramentato, dinanzi

al quale quel popolo pregava, anch’Egli brucia,

abbracciando a sé i suoi figli massacrati.

Viva è la memoria di quegli orrori, ma

Vivo è il desiderio di pietà,

di riconciliare il tempo e la storia

nella Verità, unico strumento di pace,

unico anelito di giustizia.

E le voci stonate di

chi ancora vuol calpestare la memoria,

non avranno più ora

nel tempo della verità che avanza,

e solo si udranno i canti

di un popolo redento, che inneggia

ai suoi uccisi innocenti,

alla tua gloria, città martire.

 
 
 

GUARDATE, MEDITATE E REAGITE: CON QUEST'ITALIA NON SE NE PUÒ PIÙ!

 

Non bastavano le barzellette del 150° anniversario dell'unità d'Italia, queste ipocrite e false celebrazioni di una Patria che non c'è, con tutte le svariate invenzioni di questi politicozzi italioti (e tanto idioti), così talmente assurdi, che difronte ad una popolazione allo sbando, a questa nave in naufragio che è la nazione italiana, alle non poche  e difficili situazioni sociali, morali ed economiche che attraversiamo, invece di mettersi seriamente a  lavoro e trovare soluzioni giuste e precisi, si mettono a giocare la festa dell'unità d'Italia (ma quale unità se siamo sempre più divisi?).

Poi la infelice idea della festa nazionale del 17 marzo, giornata infausta e triste per il sud, giornata nella quale un parlamento straniero (quello piemontese), con arbitrio e falso ideologico, dopo i falsificati e vergognosi plebisciti, instaurano ufficialmente il Regno d'Italia (o tirannia come la chiama Gramsci), regno dei corrotti e dei ladri, dei massoni e dei mafiosi, che non è altro che il riconoscimento pubblico del potere del nord sul sud, il colonialismo della gente meridionale.

E tra tutte le programmazioni, poi, tra cui l'infelice apparizione del clown Benigni a Sanremo, con quel monologo assurdo e falso, dove riferendosi al Savoia e ai suoi successori (chissà se pensava  anche  a questi di oggi), e a tutti i mercenari eroi del risorgimento, li ha definiti sensazionali e memorabili, e dove ha cantato la canzonetta del Mameli, dopo averne fatto una esegesi vergognosa, eccoci di nuovo a ritrovarci in TV l'inaccettabile pagliaccio savoiardo Emanuele Filiberto e il suo amico Pupazzaro, che addirittura presentano un programma, che ammorberà l'Italia intera per chissà quanto tempo.

Nella prima puntata si è iniziata alla grande, con palcoscenico tricolorato (e persino quelli che hanno venerazione per il Tricolore dovrebbero vergognarsi di come è stato trattato) e scenette di cattivo gusto.

Vedere la scenetta volgare e stupida che il Principino Cetriolino  e il suo Servitor Pupetto hanno fatto in televisione è stata una vergogna... la barzelletta di Teano continua, e mentre il sud viene affogato dall'immondizia organica, politica, morale e culturale, l'erede del re usurpatore, grazie proprio ai politici e ai massoni che continuano a spalleggiarlo, se ne viene in TV a fare il varietà sull'unità d'Italia, calpestando ancora il nostro sud che dai suoi antenati è stato vilipeso, spogliato, stuprato, saccheggiato... inoltre dal punto di vista artistico, ha beffeggiato e storpiato la bellissima e artistica canzone napoletana del grande Nino Taranto.

Ma la cosa importante è, che queste parodie stupide, non sono altro che l'immagine dell'immondizia che sono stati e saranno i Savoia eredi del re macellaio Vittorio Emanuele II, quindi a loro discretito e loro vergogna.... quindi ben vengano le stupidità asinine del gioiello di casa savoia.

Vergognoso vedere quei poveri italioti battere le mani a questa parodia dell'imbecillità, purtroppo manca sempre più il buon gusto in questa nazione senza spina dorsale e senza identità.

Ma quale la reazione dei patrioti italiani? Così legati alla storia risorgimentale e ai miti dell'unità, forti del loro patriottismo liberal-repubblicano, come fanno ad accettare le stupidità, di chi ancora poco tempo fa ha detto d'esser pronto a fare il re d'Italia?... ma forse voleva dirsi pronto  a continuare ad essere re di questo circo che si chiama Italia?

Non se ne più proprio più... SUD SVEGLIATI!!!

        

 
 
 

1861-2011 A centocinquant’anni dell’unità d’Italia: Quale Identità?

La scorsa settimana ho partecipato al bellissimo convegno organizzato a Roma da Alleanza Cattolica. Avrei voluto subito esprimere le mie considerazioni, fare la mia personale riflessione su questa giornata memorabile, che coincideva anche con una data importante, la conquista della città di Gaeta da parte dei piemontesi in quel triste 13 febbraio 1861, conquista cruenta e violenta, avvenuta dopo un’eroica resistenza, e che segnò la fine e l’indipendenza del Regno delle Due Sicilie, la forzata annessione al Piemonte, facendo del sud una colonia del nord. Di quest’evento disastroso ancora tutt’oggi nel Sud si risentono le terribili conseguenze.

Purtroppo non mi è stato facile poter subito condividere questa esperienza, ma lo faccio oggi, consapevole che bisogna sempre far conoscere la verità.

Il convegno rientrava in queste celebrazioni del 150° anniversario dell’unità d’Italia, celebrazioni che, dolente o volente, questo “stato” sta portando avanti, a volte con enfasi e paroloni che vanno al di là del credibile.

Sono stati relatori di questo convegno, cattolici di grande spessore e uomini di cultura eccezionale, da Attilio Tamburrini a Francesco Pappalardo, Marco Invernizzi, Mauro Ronco, Marina Valensise, Giovanni Formicola, S.E. Mons. Luigi Negri, gli onorevoli Mantovano, Pagano e Polledri, il dott. Massimo Introvigne, Giovanni Cantoni, che ci hanno fatto ben riflettere, attraverso le interessanti e molteplici tematiche, sulla necessità, sempre più imbellente, di fare verità storica su quel periodo oscuro ed effimero, che arbitrariamente ha preso un nome che di per sé ha un significato molto grande: il risorgimento!

Risorgimento ha un significato molto ampio, aldilà di questo riduttivo e semplicistico che si è voluto dare. Esso significa risorgere, cioè ritornare in vita, sorgere di nuovo, riprendersi e rifiorire dopo una decadenza o malattia. Ma, considerando bene certi avvenimenti di quel periodo, certe scelte tutt’altro che buone, il comportamento politico e  militare discutibile di certi personaggi, é realmente possibile chiamare risorgimento quella rivoluzione liberista e massonica, che prese il suo avvio già da maldestri moti e piccole rivoluzioni, che dal 1848 in poi andarono minando l’ordine nei diversi territori della penisola italica?  Oggi ormai è risaputo che queste sommosse strumentali, erano intenzionalmente manovrate dalla massoneria e dalla politica cavourriana, con lo scopo di abbattere le altre istituzioni, ma in particolare l’antica e sacra istituzione del Papato.

Allora ha chiaramente ragione Angela Pellicciari, e altri autori, quando esplicitamente ritengono il risorgimento italiano come una guerra alla religione e alla libertà identitaria delle altre popolazioni italiche. In questa rivoluzione risorgimentalista, che ha avuto seguito a quella della rivoluzione francese e delle piccole rivoluzioni giacobine locali, andavano sempre più a delinearsi due visioni opposte del mondo e della vita, due visioni in perpetuo contrasto e separazione tra loro, due civiltà antagoniste.

Il mondo rivoluzionario, in se astratto e vuoto, che mentre andava blaterando l’emancipazione dell’uomo e una libertà, che sarà poi solamente apparenza, abbattendo quindi ogni idea dei valori passati, particolarmente il  valore della fede cristiana, della tradizione e dell’autorità, andava creando un nuovo assolutismo, nuovi idoli, nuovi padroni.

Il mondo concreto del popolo, della nostra gente, legato a quei valori eterni e indissolubili, la fede, la famiglia, la tradizione, l’autorità reale, la propria identità sociale, la propria terra e il proprio lavoro, la propria patria, che non era una patria astratta, ma quella terra sulla quale posava i propri piedi, quella terra per la quale sudava e soffriva, piangeva ed amava.

In questa dura e opposta battaglia di idee si andava costruendo quell’ideale, di per sé giusto, dell’unità del popolo italiano, che in comune aveva la stessa lingua, l’identica fede, e certamente le stesse antiche tradizioni. Una unità che trovava larghi consensi, nel mondo cattolico e laico, seppure con visioni diverse, ma che meritava di essere costruita con ben altri mezzi e migliori ideali. Una unità, che doveva tener conto della diversità e dell’identità di ciascun popolo e persona, e che poteva costruirsi sulla concretezza del dialogo e del federalismo, senza macchiare questa terra di sangue innocente, e senza neppure capovolgere l’ordine costituito. A questa unità concreta non mancarono di volgere la propria attenzione anche il Pontefice Pio IX e lo stesso Re di Napoli, Ferdinando II, ma che da subito compresero che l’idea del governo piemontese e dei Savoia, ormai anche invisi di massoneria, non era tanto quella di unificare idealmente il popolo italico sui valori e sulle tradizioni comuni, ma sostanzialmente di allargare i propri confini, e annettere al proprio potere e ai propri interessi le terre e le casse delle altre nazioni italiche.

In questa visione di conquista, si doveva dunque abbattere ogni verità che contrastava con il progetto liberista-massone del Piemonte, e lo si doveva fare con ogni mezzo possibile, attraverso la calunnia e la violenza, lo stupro e l’assassinio, la falsità e la corruzione. La rivoluzione non può avere scrupoli, perché, così come viene identificato nel Nuovo Vocabolario Filosofico-Democratico, il patriota rivoluzionario deve essere l’uomo che non ha alcun ribrezzo per l’iniquità. Non si può essere quindi un buon patriota senza essere ateo, un traditore del proprio legittimo Sovrano, della sua vera Patria, del proprio Padre, dei concittadini, di Dio, religione, costumi, sane massime, e che solamente chi ha questa capacità di porsi fuori dagli ideali antichi può avere cariche nella patria repubblicana.

Questo nuovo patriottismo andava dunque a sostituirsi a quello antico e realista del passato. Una minoranza massone, la nuova borghesia, che credeva di essere illuminata, voleva sostituire con le sue nuove filosofie e il suo credo ideologico,  il realismo, l’identità e la fede della maggioranza, che vedeva con un colpo di mano cambiare il corso della propria storia.

In particolare il Regno delle Due Sicilie, considerato il Regno per antonomasia, antico da secoli, e che si estendeva in oltre la metà della penisola, divenne l’obiettivo di questa rivoluzione, perché abbattere il Regno significava abbattere quell’ideale che da sempre era stato la sua prerogativa: trono ed altare!

Si iniziò ben presto, con una propaganda empia e continua, a minare le basi di questo Regno. Forse non mancarono incapacità da parte del regnante e del governo napoletano di comprendere il difficile momento che si attraversava, quindi la necessità di creare alleanze e di inserirsi nei dibattiti di quel tempo, per salvaguardare l’indipendenza e la libertà del Regno. Il restare estranei e perfettamente neutrali a tutto quello che stava accadendo, facendo come propria la  massima "amici di tutti, nemici con nessuno", ci si è poi ritrovati ad avere "tanti amici, nessun amico", rimanendo isolati e indifesi di fronte ad una potenza agguerrita che ormai governava il mondo, appunto la massoneria, e indeboliti di fronte alle armi della mistificazione, che andavano ormai sostituendo la galanteria e l’onestà politica.

 

Il primo atto per minare l’antico Regno fu quello della calunnia, che Rossini canta nel suo barbiere di Siviglia, come il lieve venticello che pian piano e sottovoce va sibilando, portando nelle orecchie, nella testa e nel cervello della gente la sua arietta, all’inizio lieve e gentile, ma poi diventa tempestosa ed esplosiva, fino a portare il meschino calunniato a crollare sotto il peso della maldicenza e della bugia.

La calunnia, quest’antichissima arte della mistificazione, usata persino da quei giudei che fecero crocifiggere il Cristo, che diventa la nuova arma di questi illuminati maestri del nuovo tempo, che partendo da un detto ormai famoso: “calomniez, calomniez, il en restera toujours quelque chose”, “calunniate, calunniate che ne resterà senz’altro qualcosa”, citazione che molti vogliono attribuire a Voltaire, oppure a Jean-Jacques Rousseau, o ancora a Beaumarchais, chi addirittura ai gesuiti, e che trova invece la sua paternità nel filosofo inglese Francesco Bacone (1561-1626), diventa realmente la vergognosa scintilla, che permetterà quella congiura che portò al crollo del Regno delle Due Sicilie, e che tutt’ora continua ad essere ispiratrice ai mistificatori attuali, che ancora vogliono degradare e depredare la dignità del Sud.

E questa calunnia, caso strano, partì da un’altro inglese, lord Gladstone, che senza aver mai conosciuto da vicino la situazione del Regno Napoletano, ma per puro spirito di rivalsa, influenzato solamente da una propaganda pregiudiziale e falsa antiborbonica, facendo sue le falsità di quei pochi intellettuali napoletani, da sempre lontani dal regno, dalla propria gente, e senza alcuna conoscenza reale della loro terra, indicò ingiustamente la monarchia napoletana come “negazione di Dio”, un luogo comune che ancora oggi “fa ingrassare” i detrattori del popolo meridionale e dei Borbone. Tutt’altra invece la verità, che noi meridionali dobbiamo ricercare e fare nostra, una verità ancora nascosta negli archivi e nella memoria storica, che i vincitori ci hanno voluto nascondere e far disconoscere. La monarchia napoletana non fu quella negazione che si vuol far credere, e tanto meno il Regno delle Due Sicilie quella Nazione arretrata e retrograde di cui falsamente si parla, ma una identità e realtà storica, culturale, sociale, ideale, economica ben definita e concreta, come tanti autori antichi e presenti notano, e tanto meno fu un territorio sempre succube di dominazioni straniere, ma una vera e indipendente Nazione sin dal 1130, quando, come lo stesso Benedetto Croce scrive nell’introduzione al suo libro “storia del Regno di Napoli”, divenne monarchia civile, fondata da Ruggiero II, conservata e rassodata dai successori, innalzata al sommo fastigio della gloria da Federico svevo: uno stato moderno, in cui il baronaggio era contenuto in istretti confini, ai popoli si garantiva libertà e giustizia, la mente del sovrano, rischiarata da nobili concetti morali e politici, regolava il tutto, avvalendosi degli uomini capaci dovunque li trovasse e promovendo benessere e cultura; uno stato, che affermava tutt'intorno la sua potenza[….].

Come altra è la verità su quella guerra assurda e senza dichiarazione, che fu quella contro il Regno delle Due Sicilie da parte del Piemonte, guerra che fu preludio di altre guerre ingiuste e sanguinose, fatte nel tempo e volute  solamente per l’ambizione e l’avidità di politici corrotti e dei Savoia.

Altra  ancora è la verità sulla questione meridionale, nata subito dopo l’unità, conseguenza del divario economico e sociale creato tra nord e sud, creato per il saccheggio continuo delle casse meridionali: il banco di Sicilia e il banco di Napoli; per la disindustrializzazione del sud e l’aumento della disoccupazione, per le continue e aumentate tasse imposte ai popoli del sud a favore del Piemonte.

Come diversa è la verità sull’insorgenza del popolo meridionale, che tenne testa per oltre dieci anni al conquistatore piemontese, e che fu bollato del nome di brigantaggio, perché sarebbe stata una verità scomoda ammettere che quella fosse la legittima ribellione di un popolo oppresso, che lottava per la propria Patria, il proprio Re, la propria Fede; insorgenza che fu vinta solamente con un intervento di forza, circa 122.000 soldati  venuti dal nord, e con il massacro di migliaia di uomini e donne, giovani e vecchi, persino bambini, lo stupro di donne e ragazze appena adolescenti da parte delle truppe occupanti e la distruzione totale di decine e decine di paesi, cosicché lo stesso Antonio Gramsci nel 1920 su Ordine Nuovo, rammentando questi eventi vergognosi, aveva scritto: "Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l´Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti".

Come la deportazione in massa di ex-soldati napoletani, che non vollero giurare fedeltà ad un re straniero, e furono portati a morire di freddo e di stento nei lager piemontesi di Fenestrelle o di San Maurizio, dove per nasconderne le tracce i corpi venivano  bruciati nella calce viva, migliaia di soldati ai quali è stata negata finanche la sepoltura e un monumento. Ha avuto ragione il grande scrittore  Carlo Alianello quando ha scritto, che qui, in Italia, si è saputo fare ben peggio di ciò che si è poi fatto altrove, ma la cosa più vergognosa e che lo si è nascosto allora e lo si vuole ancora tenere nascosto dopo 150 anni di bugie.

Come diversa è la verità sull’emigrazione, fenomeno che il sud ha conosciuto solamente dopo l’unità; e la verità su quelle due potenze ormai parastatali, che sono mafia e camorra, e che non sono, come ci hanno voluto far credere e si vuole ancora far credere, un male endemico del sud, ma  che esse hanno avuto maggior consistenza e forza proprio da questo nuovo stato che nasceva, e che già portava in sé la cultura della morte di ogni coscienza, della dignità e della giustizia.

Ecco la verità che noi dobbiamo sforzarci sempre più di riscoprire, una verità che ogni uomo o donna  o giovane o ragazzo del Sud deve ritrovare, una verità che  se ancora ci è negata e nascosta, tanto più in questa circostanza, che avrebbe potuto permettere una vera riconciliazione tra presente e passato, noi dobbiamo pretendere, tanto più se i politici, gli intellettuali e gli artisti prezzolati continuano a raccontare noiosamente le solite retoriche sul risorgimento, coscienti che la verità della nostra storia ci farà liberi, e che se ritroveremo questa verità, nessuna forza negativa o violenza potrà mai sostituire la nostra identità, onestà e libertà, nessuna forza oscura potrà manovrare il nostro futuro, il nostro impegno di riappropriazione della memoria, della dignità e dei nostri valori… Abbiamo il dovere di farlo, come lo stesso Papa Benedetto XVI ci insegna attraverso un discorso fatto al popolo portoghese, perché “un popolo, che smette di sapere quale sia la propria verità, finisce perduto nei labirinti del tempo e della storia, privo di valori chiaramente definiti e senza grandi scopi chiaramente enunciati”.

        

Non permettiamo più che calpestino la nostra memoria e la nostra storia. Noi non neghiamo “l’Unità”, tanto più in un mondo che va sempre più verso la globalizzazione e l’unità dei popoli, ma questa unità non può continuare a mantenersi sulla bugia e l’ingiustizia, sui miti e le mistificazioni del passato, e ancor più non si può conservare una unità costruita non sulla cultura della vita, cioè nel rispetto della concretezza e dell’identità morale, spirituale e culturale di ciascun individuo o popolo. Non si può mantenere questa malaunità, impedendoci di conoscere la verità.

La vera unità va costruita facendo giustizia alla verità.

Non si può quindi celebrare come festa il 150° dell’unità d’Italia se non c’è questa necessaria e concreta revisione della storia risorgimentale, se non saranno abbattuti i miti che falsamente mantengono questa casa costruita sulla sabbia, se non sarà fatta giustizia al popolo delle Due Sicilie, se non sarà data una concreta e reale identità a questo popolo che vaga nelle tenebre.

                                                          Massimo  Cuofano

                

 
 
 

Questa è Gaeta!

Post n°58 pubblicato il 14 Febbraio 2011 da massimo.c58
 
Tag: gaeta
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Il 13 febbraio si è commemorato il ricordo della tragica presa di Gaeta da parte del criminale Cialdini e dell'esercito piemontese, un pensiero a quella gloriosa città, sacrario della nostra memoria, agli eroici sovrani Francesco II e Maria Sofia, ai giovani cadetti della Nunziatella, ai soldati e al popolo che con grande amore difesero la nostra patria napoletana e lo'indipendenza delle Due Sicilie.... certi che la memoria farà rinascere la dignità e che la verità ci renderà pienamente liberi!

 

 

 
 
 

17 marzo 1861 - 17 marzo 2011: 150 anni della falsa unità d'Italia

Post n°57 pubblicato il 12 Febbraio 2011 da massimo.c58
 
Foto di massimo.c58

Fervono i preparativi per la Festa dei 150 anni dell’Unità d’Italia

I solleciti e onesti politici italiani, sono tutti euforici per queste celebrazioni dei 150 anni dell'unità d'Italia, e non sanno più che inventare, tra pubblicità ed  eventi, per esaltare ancora i falsi miti del risorgimento. Ciliegina sulla torta la promulgazione della festa nazionale per il 17 marzo, per cui tutti a casa, a far festa, scuole chiuse, non si lavora e sarà gran festa anche per le migliaia di disoccupati.

Questa nuova festa nazionale dell’Unità d’Italia per il giorno 17 marzo, ricorda la fatidica data del 17 marzo1861, quando un altro parlamento, quello piemontese, arbitrariamente e basandosi su falsi plebisciti, ammetteva al Piemonte l’ex-Regno delle Due Sicilie e costituiva il Regno d’Italia, sotto la reggenza di Vittorio Emanuele II di Savoia e dei suoi successori.

Quest’atto del parlamento piemontese si promulgava senza tener conto che ancora truppe regolari dell’esercito napoletano non si erano arrese alle truppe piemontesi, e tanto più si teneva conto della guerra civile che si andava vivendo nel mezzogiorno, da parte dei contadini e degli ex-soldati duosiciliani, la guerra partigiana delle Due Sicilie contro l’esercito occupante piemontese.

Noi meridionali non abbiamo proprio nulla da festeggiare, e quindi il 17 marzo, invece di accettare passivamente queste vergognose celebrazioni, tra cui l'omaggio del Presidente della Repubblica alla tomba del macellaio Vittorio Emanuele II di Savoia, primo tiranna di questa nazioncella che si chiama Italia, facciamo sentire la nostra voce.

Dovremmo “pretendere” la nostra parte, quella che ci hanno tolto in 150 anni… cominciamo a ricostruire la nostra storia, la nostra identità sociale e politica, la nostra economia.

Dobbiamo riavere le nostre banche, le nostre assicurazioni, le nostre società idriche, elettriche, telefoniche e del gas. Un nostro commercio e una nostra industria. Dobbiamo liberarci da questa tirannia delinquenziale e della malapolitica ereditata dopo l’unità. Dobbiamo rialzare la nostra testa ed essere noi i costruttori del nostro futuro, attraverso una nuova classe politica idealista, coerente ed onesta.

Cancelliamo finalmente dai nostri libri quel maledetto 17 marzo, e riscriviamo giorno dopo giorno una nuova storia, erede della nostra vera storia, quella storia che fece del popolo meridionale un popolo grande.

 
 
 

Gaeta, per una memoria ed una unità da ritrovare

Post n°56 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da massimo.c58
 

                  

 

Sono trascorsi 150 anni da quel 13 febbraio 1861 quando, sotto il fuoco continuo e imperterrito del conquistatore piemontese, cadeva Gaeta, e il giovane Re delle Due Sicilie, Francesco II, abbandonato e tradito dalla politica internazionale alla triste sorte dei vinti, che insieme a pochi coraggiosi stava difendendo l’indipendenza del Sud, dovette soccombere e arrendersi. Terminava così l’indipendenza di una Nazione, quella meridionale, con quasi un millennio di storia, e terminava in modo cruento.  La storia  post-unitaria, falsificata dal nuovo regime,  si è adoperata per sradicare dalla coscienza e dalla memoria il modo violento con il quale l'unità si ottenne, ammantando di leggende quei criminali che conquistarono il meridione, nascondendo le vicende della guerra civile, nonostante la formale, ma falsa annessione al Regno di Piemonte, e tacendo, soprattutto la circostanza che le popolazioni del sud, salvo una minoranza di latifondisti ed intellettuali liberalisti-massoni, che vedevano nella conquista del sud la possibilità di arricchirsi,  non avevano nessuna voglia di essere "liberate", e anzi reagirono violentemente contro coloro i quali, a ragione, erano considerati invasori.

 

In questi giorni di febbraio, proprio a Gaeta, sono state organizzate due manifestazioni diverse, per ricordare quest’avvenimento e per commemorare i caduti, specialmente i cadetti della Nunziatella, che scappati dalla Napoli ormai garibaldina, si recarono a Gaeta per unirsi al Re Francesco II, nella difesa del Regno, e che, dopo che era stato firmato l’armistizio, persero la vita insieme  a tanti civili, perché il criminale generale Cialdini, ordinò ancora di bombardare la città.

La caduta di Gaeta, epilogo della caduta del Regno stesso, ha segnato per il popolo meridionale quella condizione conosciuta ormai come “Questione Meridionale”, che resta una delle grandi contraddizioni della società italiana; da questa infatti trae origine il divario socio-economico esistente tra  nord e sud, la grande disoccupazione meridionale, lo spreco delle energie intellettuali, il decadimento nell'agricoltura, e la grande diaspora di emigrazioni. E oggi le condizioni non sono diverse, ancora assistiamo nel meridione a un vero degrado: la mala sanità, il problema dei rifiuti, il malaffare politico, la criminalità organizzata.

Da quel fatidico giorno ad oggi stiamo assistendo ad una mistificazione della storia, volendo addossare la gravità del degrado meridionale alla stessa popolazione del sud, ritenendola parassitaria, ed endemicamente corrotta. Non manca chi ancora confonde il cosiddetto brigantaggio, che fu una spontanea insorgenza del popolo meridionale contro la colonizzazione del proprio paese e l’imposizione della piemontesizzazione delle proprie tradizioni e origini, come antefatto di quella realtà negativa che è mafia e camorra. Volendo nascondere che tali negatività, nella Nazione meridionale preunitaria, erano limitate e circoscritte. Solamente dopo l’unificazione esse trovarono quel terreno fertile, dovuto alla corruzione e al potere latifondista, nonché agli accordi segreti con il governo sabaudo, per trasformarsi da una pura e circoscritta sfera delinquenziale comune, ad una vera impresa parastatale.

Questa mistificazione, poi, ha voluto allargarsi fino a creare una leggenda nera risorgimentale sui Borbone di Napoli, i cattivi e tiranni, opponendo i grandi e preinventati padri della patria italiana, i galantuomini, che avevano portato al sud povero e tiranneggiato, pane e libertà.

Ma proprio questa era la realtà? Realmente quello Stato, che abbracciava quasi due terzi della penisola italiana, era arretrato, povero e intellettualmente degradato? Il sud della penisola era realmente una terra di terribili delinquenti?

Eppure oggi i diversi documenti venuti alla luce e tenuti per circa un secolo e mezzo rinchiusi in archivi segreti, come le diverse pubblicazioni di storici e giornalisti, ci parlano di un’altra storia, così diversa da quella mistificata e falsa di uno Stato italiano, che, come diceva lo storico Gramsci, era stato per le isole e per le popolazioni meridionali, una vera tirannia.

Essi ci parlano di una Nazione, quella del regno borbonico, illuminista e socialmente progredito. Una Nazione all’avanguardia in Europa e nel mondo nei diversi settori della scienza, della cultura, dell’istruzione, dell’industria, dell’economia, del commercio, della sanità, della marina, dell’esercito. Una Nazione dove c’era libertà d’opinione e nella quale il Re, da buon Padre di Famiglia, si faceva prossimo al popolo, ne conosceva le esigenze, lo difendeva nel fabbisogno. Una Nazione dove l’ideale e la fede cattolica, che indirizzavano la vita morale dell’uomo, erano alla base della sua esistenza. Una Nazione all’avanguardia nel Diritto Civile e Penale, tanto è vero che lo stesso imperatore francese Napoleone III, manda alcuni osservatori perché possano apprendere dalle leggi napoletane l’equo modo di applicare la giustizia. In questo Stato borbonico, che per anni la falsità storica ha voluto tacciare come negazione di Dio, facendo propria la calunnia di un massone inglese, venne abolita la tortura, furono riformati i carceri, la pena di morte era una rarità, mentre nella civile Inghilterra, nella riformata Francia e nello sviluppato Piemonte, vi erano carceri tetri, e ancora la tortura era la massima espressione dell’interrogatorio dei prigionieri, e la pena di morte una corrente abitudine.

In questa nazione la donna era rispettata e difesa, i bambini ricevevano attenzione ed istruzione, c’era per tutti lavoro e rispetto. Mai si assistevano a quelle scene di diaspora migratoria, conosciuta solamente dopo l’unità d’Italia, anzi nell’antica seteria di San Leucio, come nelle tanti antiche o nuove industrie che si andavano sviluppando, trovavano lavoro tanti che emigravano dagli Stati del nord, verso il sud.

Non mancavano, poi, tanti dall’estero, che attratti dal buon governo borbonico, venivano al sud per investire i loro capitali, rassicurati dal patrimonio dello Stato, che, come testimoniava lo stesso Francesco Saverio Nitti, era pari al 66 % di tutta la penisola italica.

Tutto questo finì con il crollo del Regno, e quella che fu tra le più grandi nazioni europee, divenne una colonia del Piemonte, spogliata del suo patrimonio economico, storico, culturale, industriale. La più bella capitale, terza in Europa, Napoli, divenne meno di una sottoprovincia.

Depredate le banche, fatte fallire le industrie, chiuse le scuole, iniziò quel genocidio, peggiore di quello fisico, il genocidio della memoria, spogliando il popolo meridionale della sua storia, della sua dignità, del suo valore. Ancora oggi siamo incatenati a questa maledizione, e tanti meridionali, costretti al duro esilio “sui fiumi di Babilonia”, provano gratitudine verso coloro che li hanno depredati persino della dignità. Tanti, anche nel nostro sud, si sentono inferiori e non amano la loro terra, le loro belle città, anch’essi prigionieri di quella leggenda che fa del meridione la terra dei briganti. È tempo, ormai, di rialzarci dal sonno. Abbiamo bisogno di politici nuovi, e che facciano il bene del sud. Abbiamo bisogno di fare verità sulla nostra storia, e che questa verità non resti solamente un rimpianto, ma diventi azione concreta di rinascita, di sviluppo, di presa di coscienza. Solamente così possiamo riuscire a rialzarci e risolvere quella questione meridionale impostaci come marchio indelebile di una colonizzazione che dura ormai da 150 anni.

    

Che questi incontri di Gaeta, in quella Gaeta alla quale tutti guardiamo con amore e passione perché ci rammenta l’eroismo del nostro popolo, e che purtroppo sono stati organizzati separatamente forse proprio per questa maledizione che ci portiamo dietro da 150 anni, e che  ha fatto del nostro popolo duo siciliano, una volta compatto e unito dall’amore alla propria terra e alle proprie tradizioni, un popolo diviso, non siano solamente ricettacolo di poche centinaia di persone, o esaltazione di personali ambizioni, o sterile e vano ricordo di un tempo che fu, ma siano un momento di riflessione, perché subito si dia inizio a un nuovo dialogo fra tutte le forze meridionaliste e identitarie del sud, desiderio di un dialogo che possa raggiungere il cuore di tutti gli uomini e le donne del sud, perché si possa realizzare un unico progetto socio-politico, perché un domani si  possano vedere affluire in quella città martire e redentrice, milioni di meridionali, e si possa finalmente costruire un altare per quei martiri, che sia un altare di vera memoria da opporre ai falsi altari della libertà, simboli di una verità corrotta, perché finalmente il popolo delle Due Sicilie si ritrovi compatto, consapevoli che mai ci siamo arresi, nell’unico ideale che unisce: la Verità e la Libertà.

                                                                 Massimo Cuofano

 

 
 
 
 
 

UNA MEMORIA DIMENTICATA

Foto di massimo.c58

Da anni in gennaio si commemora la “Giornata della Memoria”, per ricordare la Shoàh, cioè lo sterminio nazista di ben cinque milioni di ebrei. Questa commemorazione porta logicamente a riflettere sui tanti genocidi commessi nel mondo, che seppure meno numerici di quello del popolo ebraico, sono comunque episodi gravissimi: quello armeno, quelli perpetrati in terra d’America, o in Africa, oppure nell’Asia.

Anche in casa nostra, nel nostro “Bel Paese, c’è “la sagra della memoria”.

Ci si sforza di ricordare la follia di chi, per motivi di potere o di razza, e tante volte anche religiosi, ha reso la storia teatro di barbarie indescrivibili, dove non si definisce bene l’umano e il disumano.

Per ricordare si propongono discussioni, manifestazioni, mostre, lavori teatrali e cinematografici; si riempiono le nostre strade di manifesti commemorativi e di belle frasi fatte.

Tutti diventano attori ricercati in questa ”corsa alla memoria”, politici di destra o di sinistra, moderati o progressisti, associazioni religiose o civili, singoli e gruppi, tutti portavoce delle vittime innocenti; quelle del passato, o quelle recenti.

Come è strana questa memoria, lucida e perfetta tante volte per fatti lontani da noi, che seppure toccano la nostra coscienza poco ci appartengono, ma restia a riconoscere e ricordare “i mali di casa nostra”. E tante volte volutamente li dimentichiamo, coscienti che certi “spettri” è meglio lasciarli ben chiusi negli armadi della storia.

Questa nostra “Nazione Italiana”, così fiera della sua storia, ricca di aneddoti, di eroi, di padri nazionali, di mitici patrioti, uomini  tutto d’un pezzo, mentre pretende di celebrare le festi giubilari della sua fondazione, rifiuta di “ricordare” come realmente è stata fatta l’Italia.

Quando qualcuno, poi, si fa portavoce di questa “memoria dimenticata”, quanti egregi storici e patrioti s’inalberano, facendo ironia o contra battendo sugli argomenti trattati, portando come prova della loro “grande sapienza” le argomentazioni fasulle e rimpastate, che da ben 150 anni la storiografia di regime ci impone.

 

           

 

Ma se ci sentiamo, e siamo orgogliosi d’esserlo, realmente meridionali, innamorati delle nostre origini e della nostra fede, non possiamo tacere di fronte alla Verità; non possiamo anche noi tradire il nostro sangue e la nostra terra, pur di conservare una “poltrona” nel consesso dei vincitori.

È tempo ormai, la stagione è matura, che la Verità venga gridata sui tetti, dai nostri palchi; ne parlino i nostri giornali. Guai se non lo facessimo, verremmo meno all’appuntamento con la storia, una nuova storia che bisogna riscrivere per il nostro Sud martoriato.

Infatti senza la memoria non possiamo ritrovare la nostra identità nella storia, e continueremo ad essere una colonia dei vincitori.

Continueremo a vedere le nostre regioni meridionali impoverirsi, e ancora i nostri giovani emigrare.

Continueremo a pagare per i tradimenti, che portarono la Nazione delle Due Sicilie, tra le prime nell’Europa del XVIII e XIX secolo per sviluppo economico e civile, a diventare la cenerentola della penisola italica.

Infatti al genocidio fisico dell’antica Nazione Meridionale, che per circa otto secoli ha mantenuto invariata la sua costituzione fisica, e che la storia patria ha magistralmente seppellito per anni negli archivi, ancora più grave è sopravvenuto il genocidio culturale e della memoria.

Il giurista polacco Rafhael Lemkin, che ha definito il primo concetto di genocidio, sosteneva: 

"… genocidio non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione…esso intende designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali. Obiettivi di un piano siffatto sarebbero la disintegrazione delle istituzioni politiche e sociali, della cultura, della lingua, dei sentimenti nazionali, della religione e della vita economica dei gruppi nazionali e la distruzione della sicurezza personale, della libertà, della salute, della dignità e persino delle vite degli individui…non a causa delle loro qualità individuali, ma in quanto membri del gruppo nazionale".

Proprio questo è stato fatto in questa parte meravigliosa dell’Italia, che il nostro storico Giacinto De Sivo definisce “il sorriso del Signore […..] abbondante e prospera, lieta e tranquilla, gaia e bella, aveva leggi sapienti, morigerati costumi e pienezza di vita, aveva esercito, flotta, strade, industrie, opifici, templi e regge meravigliose”.

Con la propaganda e la calunnia si è cercato innanzitutto di minare il sistema politico e sociale. Memori di quello che diceva il padre della rivoluzione francese Voltaire: "Calunniate, calunniate: qualcosa resterà", iniziò da subito la campagna denigratoria, con una propaganda velenosa e falsa contro l’intera dinastia dei Borbone, e nei confronti dell’uomo meridionale, ritenuto “beduino”, “africano”, “incivile”, “sudicio”, “brigante”, calunnie preconfezionate nelle logge massoniche, e che gli “scribacchini” della nuova idea andavano spargendo come il vento.

 

     

 

Dopo aver sparso veleno per tutta l’Europa, in un momento difficile e transitorio per il Regno, subito dopo la prematura morte di Re Ferdinando II, approfittando dell’inesperienza e della giovinezza di Francesco II, attraverso la corruzione di alcuni ministri e ufficiali, e la ormai riconosciuta “alleanza segreta” con mafia e camorra, la massoneria internazionale appoggia l’ambizioso Vittorio Emanuele di Savoia, nella conquista e nel saccheggio del Sud. Fa da battistrada il “rivoluzionario” Garibaldi e i suoi mille. Quante leggende ci hanno insegnato, tra cui l’eroica spedizione dei mille, accolti da un popolo festante. Lo stesso Giuseppe Bandi, garibaldino, in una sua cronistoria ha scritto: :"Fummo accolti dai marsalesi come cani in chiesa".

Da qui inizia la parabola discendente del nostro Sud: soprusi, saccheggio, tasse, ingiustizie, impoverimento. Non mancarono deportazioni, l'incubo della reclusione, persecuzione della Chiesa cattolica, profanazioni dei templi, fucilazioni di massa, stupri, perfino bambine (figlie di "briganti") costretti ai ferri carcerari. E gli eroici soldati meridionali, che vollero rimanere fedeli al loro giuramento, trattati come bestie, deportati a migliaia nel freddo Piemonte.

Dopo l’annessione al nuovo Regno, per circa dieci anni , la stessa istruzione entrò in crisi, dopo la chiusura e la soppressione di diverse scuole, perché bisognava oltre al genocidio fisico, cancellare la memoria del passato, disintegrando la nostra cultura, le nostre tradizioni, i sentimenti di fedeltà al proprio Re e alla Nazione, la nostra lingua, persino la nostra fede. Furono soppresse Chiese e Conventi, arrestati e mandati in esilio vescovi e preti, alcuni furono uccisi, cacciati dai loro istituti frati e suore. Una vera guerra alla civiltà e alla religione.

Forse furono diversi i metodi piemontesi da quello dei nazisti? E le carceri e i lager piemontesi, il più terribile tra tutti quello di Fenestrelle, non erano forse uguali a quelli tedeschi? Le vasche di calce vivo di Fenestrelle non somigliavano tanto ai forni crematori di Auschwitz?

Qualche puritano dirà che sono esagerazioni, fantasie, rimarrà scandalizzato, questa è storia. Già lo scrittore Carlo Alianello aveva scritto: “Nessuno […] venga a lamentarsi delle stragi naziste. Le SS del 1860 e degli anni successivi si chiamarono, almeno per gli abitanti dell’ex reame, piemontesi. Perciò smettiamo di sbarrare gli occhi, di spalancare all’urlo le bocche, di stringere i pugni e di tendere il collo a deprecare violenze altrui in questo e in altri continenti. Ci bastino le nostre, per sentire un solo brivido di pudore. Noi abbiamo saputo fare di più e di peggio”.

E bisogna smetterla di giustificare questo genocidio infangando la memoria di quei soldati e di quei patrioti del sud con il titolo di briganti, è pura ipocrisia. Non vi è alcuna differenza tra i combattenti meridionali legittimisti del 1860, che lottavano per difendere la loro Patria, il loro Sovrano, i propri diritti, le proprie famiglie, e i partigiani del 1943.

Siamo nel 150° anniversario dell’unificazione, sarebbe quindi opportuno non celebrare, spendendo soldi che possono essere utilizzati a opere più necessarie, ma solamente commemorare.

Commemorare non è un semplice ricordare, così da mettere a posto la coscienza, potrebbe non bastare il semplice ricordo per guarire il male che portiamo nel nostro tessuto sociale; bisogna invece attraverso la memoria rendere vivo il passato, perché esso ci insegni a vivere bene, a non commettere più quegli orrori di razzismo, di sopraffazione e di odio, che ancora attendono giustizia.

Commemorare perché si possano finalmente cancellare quelle ferite e lacerazioni che ci portiamo dietro da 150 anni, lacerazioni che sempre più in questi anni sembrano dividerci, facendo nascere nuove e più gravi distanze, che creano nuovi razzismi e che alimentano nuovi focolari di odio, coscienti che l’unità non si costruisce con la violenza e l’usurpazione, ma nel rispetto reciproco, nell’accettazione delle proprie differenze, nell’amore alla Verità,  nella concordia reciproca.

 

                 

 
 
 

Per ricordare alcune vicende del risorgimento

Post n°53 pubblicato il 02 Gennaio 2011 da massimo.c58
Foto di massimo.c58

Controrisorgimento, la fucilazione della bambina Angela

Di Annibale Cerrati

 

                                  

Quello che segue è uno dei migliaia di avvenimenti crudeli che accaddero all’indomani della non voluta unità d’Italia e che non sono mai ricordati nei libri di scuola o nei testi universitari.

Per chi ama la Sicilia, i fatti che leggete possono essere percepiti come un pugno nello stomaco e potranno dissestare qualche animo sensibile.

A chiarimento di quegli avvenimenti è opportuno ricordare che, mentre la parte continentale dell’ex Regno delle Due Sicilie, a guerra di conquista terminata, fu interessata dalla resistenza che ancora oggi viene disprezzata e designata con il nome di “brigantaggio(che per un decennio tenne in scacco l’esercito invasore), in Sicilia non vi fu tempo di organizzare una resistenza.

Il governo sabaudo aveva inviato nell’isola il generale Covone, conferendo allo stesso poteri speciali che comportavano la dichiarazione del continuo stato d’assedio. In virtù di essi, ai militari piemontesi era consentito potere di vita e di morte sugli isolani.

Fatti particolarmente luttuosi accaddero a Castellamare del Golfo, in provincia di Trapani. E di fatti reali che portarono alla rivolta del gennaio 1862 in quella cittadina, scaturirono dal clima di grande conflittualità lasciato in Sicilia dall’avventura garibaldina e di cui approfittarono i nobilotti chiamati “cutrara”.

Questi si individuarono negli approfittatori senza scrupoli ed in coloro che si divisero la “coltre” del dominio con i loro maneggi politici che danno ricchezza e potere con il supporto della delinquenza organizzata, dai piemontesi chiamata “mafia”, ma a cui si appoggiarono per mantenere un presunto ordine pubblico, decretandone così, un enorme salto di qualità.

La scintilla di quei moti popolari, ignorata dalla storia ufficiale, fu provocata dall’introduzione in Sicilia della leva militare obbligatoria, la cui legge fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del Regno il 30 giugno 1861.

La norma, fin dall’inizio, non fu accettata dal popolo siciliano che non era abituato all’arruolamento, inesistente con i Borbone. Oltretutto esso comportava l’allontanamento per sette lunghi anni di tanti giovani dalle loro famiglie e dalle loro terre; terra dalla cui coltivazione essi traevano il loro sostentamento.

In poche parole, con la loro partenza, per le famiglie rimaste era la fame e quindi la morte. Per altro, i figli dei ricchi cutrara, pagando, erano esonerati dal servizio militare. Si determinò, così, un forte risentimento verso queste classi di privilegiati che si erano appropriati delle terre demaniali e della Chiesa.

La conseguenza fu, dunque, che quasi tutti i giovani chiamati alle armi si diedero alla macchia, trovando rifugio sulle montagne che sovrastano Castellamare del Golfo, piene di anfratti naturali e grotte.

Ben presto, però, si stancarono di quella vita, piena di disagi e decisero di inaugurare il 1862 insorgendo contro il potere straniero piemontese. Si radunarono circa 400 giovani, armati come capitava, verso le ore 14 del 2 gennaio, entrarono senza paura in paese al grido “nuautri avemu na parola sula e un canciamu bannera”, assalendo l’abitazione del commissario di leva Bartolomeo Asaro e del comandante della Guardia Nazionale Francesco Borruso, due emblemi dell’odiato governo che furono trucidati e le loro case bruciate.

La furia vendicativa dei piemontesi non si fece attendere e l’indomani da Palermo furono inviati interi battaglioni di soldati, sia via terra quanto via mare. Nel porto di Castellamare ben due navi da guerra sbarcarono sin dall’alba centinaia di bersaglieri al comando dell’oscuro generale Quintini, già garibaldino della prima ora e che aveva fatto rapida carriera grazie alla sua crudeltà.

I bersaglieri diedero subito la caccia agli insorti, mentre la gente abbandonava in gran fretta il centro abitato e i giovani disertori si dileguavano. Le truppe regie, nei loro frenetici rastrellamenti riuscirono a trovare in contrada Villa Falconeria, un gruppetto di gente, che forse si era ritirato in quella campagna per evitare qualsiasi coinvolgimento negli scontri.

E qui il generale Quintini in persona ed una compagnia di bravi bersaglieri piemontesi, non avendo altri prigionieri e dopo un sommario interrogatorio, adempirono in nome e per conto di Sua Maestà il Re d’Italia Vittorio Emanuele II di Savoja al loro compito di giustizia, fucilando tutta quella gente, senza processo e con la scusa che erano parenti dei disertori.

Furono uccise sette persone: Don Benedetto Palermo, di anni 43, sacerdote; Mariano Crociata, di anni 30; Marco Randisi, di anni 45; Anna Catalano, di anni 50; Antonino Corona, di anni 70; Angelo Calamia, di anni 70.

E poi il loro capolavoro, davanti al plotone d’esecuzione venne portata e fucilata la bambina Angelina Romano, di appena 9 anni. Erano le ore 13 di venerdì 3 gennaio 1862. Questo è solo un esempio di ciò che tante persone ignorano e che si apprestano a festeggiare. 150 anni di eventi scaturiti da un odio senza speranza che non ebbe alcuna pietà.

 
 
 

17 MARZO: FESTA DELL’UNITÀ D’ITALIA

Post n°52 pubblicato il 22 Luglio 2010 da massimo.c58
Foto di massimo.c58

Quanti preparativi già in atto per la ricorrenza dei 150 anni dell’Unità d'italia, che si celebrerà il prossimo 2011. Manifestazioni in cui si spenderanno milioni di euro e alle quali parteciperanno Capi di Stato e di Governo di mezzo mondo. Abbiamo già assistito alla falsa e coreografica rappresentazione dello sbarco dei mille a Marsala, alla quale in pompa magna ha presenziato il Presidente della Repubblica, dando ancora a questo’atto piratesco e illegale una aurea di sacralità. Non è mancata poi la proposta parlamentare di istituire la festa nazionale dell’Unità d’Italia per i giorno 17 marzo, che ricorda la fatidica data del 17 marzo1861, quando un altro parlamento, quello piemontese, arbitrariamente e basandosi su falsi plebisciti, ammetteva al Piemonte l’ex-Regno delle Due Sicilie e costituiva il Regno d’Italia, sotto la reggenza di Vittorio Emanuele II di Savoia e dei suoi successori.
Ma quest’atto del parlamento piemontese si promulgava senza tener conto che ancora truppe regolari dell’esercito napoletano non si erano arrese alle truppe piemontesi, e tanto più si teneva conto della guerra civile che si andava vivendo nel mezzogiorno, da parte dei contadini e degli ex-soldati duosiciliani, che continuavano la guerra partigiana delle Due Sicilie contro l’esercito occupante piemontese.
Questi politici superficiali e corrotti, non diversi dal loro sovrano, desiderosi di acquistare potere su un territorio ed una popolazione la più vasta di tutta la penisola italica, ma ancor più desiderosi di sfruttarne le ricchezze a loro favore, non tennero conto delle distanze politiche, culturali, sociali che dividevano il Nord dal Sud, creando una frattura gravissima tra le popolazioni. Ma ancor più crearono al Sud una situazione grave di povertà, causata dai saccheggi, dai trasferimenti di capitale dal Sud al Nord, dalla distruzione delle industrie e delle attività meridionali, che il buon governo borbonico aveva ben radicato nei suoi lunghi anni di Regno, e dalla promulgazione di leggi che mai sarebbero potute essere accettate dalle popolazioni meridionali. All’indomani del 17 marzo del 1861, nacque il conosciuto fenomeno del “Brigantaggio”, che divenne argomento di discussione nei salotti piemontesi e di mezza Europa. I “briganti” non erano soltanto braccianti affamati, contadini e pastori che lottavano contro i proprietari terrieri ed i latifondisti, ma anche borghesi e ufficiali ex garibaldini delusi da quello che stava accadendo, da numerosi soldati e nobili fedelissimi dei Borbone, che fedeli alla loro promessa al proprio Sovrano Francesco II, innalzando e sventolando la bandiera bianca gigliata borbonica, lottarono eroicamente contro i conquistatori piemontesi e gli ascari meridionali. L'annessione al Regno d’Italia era sentita dalla popolazione meridionale come una minaccia alla propria fede, alle proprie tradizioni, alla propria terra e alla propria libertà.
Secondo diversi storici, tra il 1861 e il 1870 furono deportati migliaia di giovani tra i 20 e i 30 anni, tutti soldati del Regno delle Due Sicilie o partigiani, nel famigerato carcere di Fenestrelle, privo di finestre, dove i deportati dormivano su pagliericci privati persino dell’abbigliamento e di un vitto sostanzioso, provocandone la morte per freddo o per fame, distruggendone poi i cadaveri nella calce viva, oppure nel lager di “San Maurizio Canavese”
Inoltre con la legge Pica del 1863, promulgata dal Parlamento della Destra Storica, il Sud fu preso d’assalto da 120mila soldati inviati per compiere rastrellamenti di massa, per acciuffare i giovani maschi meridionali renitenti alla leva obbligatoria, fino alla fucilazione di centinaia di migliaia di persone. La terribile reazione dei piemontesi alla lotta partigiana fu terribile, uccisioni di massa, distruzione completa di decine e decine di paesi del Sud, con l’eccidio delle popolazioni inerme: uomini, donne, vecchi, giovani, bambini, e tanti tra preti e religiosi; lo stupro e il massacro persino di adolescenti e di donne adulte da parte delle truppe piemontesi; i saccheggi e le deportazioni di massa.
E dove non riuscirono le violenze piemontesi-garibaldesche, si accanirono malattie, pestilenze e fame, causate dall’atroce guerra civile, e che causarono ancora altri morti.
Un vero genocidio, ancora sconosciuto e nascosto.
E non bastando tutto questo, spogliate di autonomia e libertà, nonché del proprio benessere, le popolazioni meridionali, costrette alla povertà e alla disoccupazione, a migliaia di migliaia furono costrette al volontario esilio, emigrando negli anni seguenti per terre sconosciute e lontane.
Ma la cosa più raccapricciante è il voler ancora disconoscere questa verità, continuando a tenere vivi certi miti risorgimentali falsi e gretti. Ancora si alimenta, attraverso il falso storico, la colonizzazione del sud, la non mai risolta questione meridionale nata all’indomani dell’unità, e causata dall’enorme dislivello economico tra nord e sud, quel solco di differenza, oggi più profondo di ieri.
Mentre si parla di festeggiamenti dell’unità d’Italia, invece di preoccuparsi a buttare via milioni in manifestazioni antagoniste ed inutili, sarebbe più logico e valido rendere pubblici alcuni importanti e clamorosi documenti tenuti nascosti nell’Archivio Storico della Farnesina e che riscriverebbero nuovamente la Storia dell’Unità d’Italia, quella mai insegnata dai libri di scuola, ancora di stampo fortemente sabaudo.
In questi vagheggiati festeggiamenti un posto d’onore spetterebbe proprio alla verità storica, dopo che per 150 anni il sud è stato vittima di un genocidio della memoria. Tutti dovrebbero sapere che noi meridionali abbiamo contribuito alla famosa unità, non solo in termini di vite umane ma anche sul piano più strettamente monetario, come testimoniano dati contabili certi. Dopo il 17 marzo 1861 il grosso debito pubblico dei piemontesi fu risolto con il denaro delle popolazioni duosiciliane, alle quali toccò farvi fronte con nuove e numerose tasse. Da questa nuova nostra Storia emergerebbe come questi 150 anni sono stati per il sud una vera tragedia tra sfruttamenti, questione meridionale, disoccupazione, mafia e camorra, che proprio all’indomani dell’unità divennero più forti e audaci. Ci si renderebbe conto come la paventata unità altro non ha causato che continue guerre e crisi economiche, che specialmente hanno portato al sud maggiori vittime e problematiche.
Potremmo finalmente conoscere la vera storia dell’unificazione italiana che non ci hanno mai fatto leggere, che mai ci hanno insegnato, scritta e vissuta dalle “nostre popolazioni meridionali” e che qualcuno continua a tenere nascosta.
Dopo quel 17 marzo 1861, per il Sud, e per tante altre popolazioni italiane, altro non si è avuto che immondizia e cacca.
Invece di pensare a costituire questa vergognosa data del 17 marzo come festa dell’Unità, ci si dovrebbe preoccupare di costruire questa unità, messa in pericolo ancora maggiormente da una politica corrotta e univoca, sempre e maggiormente antimeridionale.
Bisognerebbe ridare alle popolazioni del Sud la dignità e il rispetto che meritano. E noi meridionali dovremmo “pretendere” la nostra parte, quella che ci hanno tolto in 150 anni… cominciamo a ricostruire la nostra storia, la nostra identità sociale e politica, la nostra economia.
Dobbiamo riavere le nostre banche, le nostre assicurazioni, le nostre società idriche, elettriche, telefoniche e del gas. Un nostro commercio e una nostra industria. Dobbiamo liberarci da questa tirannia delinquenziale e della malapolitica ereditata dopo l’unità. Dobbiamo rialzare la nostra testa ed essere noi i costruttori del nostro futuro, attraverso una nuova classe politica idealista, coerente ed onesta.
Cancelliamo finalmente dai nostri libri quel maledetto 17 marzo e tutti i miti del risorgimento, e riscriviamo giorno per giorno una nuova storia, erede della nostra vera storia, quella storia che fece del popolo meridionale un popolo grande.

 
 
 

UNA SCUOLA DEDICATA A RE FERDINANDO II DI BORBONE

Post n°51 pubblicato il 24 Maggio 2010 da massimo.c58
 
Foto di massimo.c58

Una bellissima manifestazione il giorno 22 maggio è avvenuta a  Scafati, bella cittadina del principato citra, dove il coraggio e la determinatezza di un Preside, ha permesso la realizzazione di un evento, che anni fa era impensabile: intitolare un plesso scolastico a Re Ferdinando II di Borbone.
Innanzitutto mi viene dal cuore un grazie al Sindaco Aliberti e al Consiglio Comunale di Scafati, che all'unanimità hanno accolto e approvato questa proposta... e un grazie veramente grande e particolare al prof. Vincenzo Giannone, che pure di fronte a difficoltà e a critiche, ha portato avanti questo suo progetto.

 

                   

 


Qualcuno, professorone di dubbio talento, ha detto che questa scelta fosse un'imbecillità storica... quale blasfemità e sciocchezza. E' tempo ormai che si dia onore alla verità.
Le relazioni ascoltate nelle conferenze che hanno preceduto l'inaugurazione del plesso, tenute da nomi ormai famosi nel mondo meridionalista, il magistrato Dott.  Edoardo Vitale, il prof. Giovanni Pepe, il prof. Angelo Pesce, il prof. Gennaro De Crescenzo, il cap. Alessandro Romano, e tutte documentate da prove, hanno esaurientemente spiegato il perché di questa scelta.
Ferdinando II è stato un grande Re, dotto e impegnato, che ha lottato con coraggio e determinatezza per difendere l'autonomia del Sud e il suo popolo. Promotore di progresso e civiltà per il nostro antico Regno delle Due Sicilie. Oltre che uomo magnanimo e di ottimi sentimenti.
Finalmente si sfatano le calunnie e le dicerie che i vincitori hanno voluto raccontare di lui, e quel venticello, che è la calunnia, ormai è disperso dinanzi alla verità della storia.
Ferdinando II per il bene della Nazione e del popolo Duosiciliano, ha regnato con giustizia, equità e progresso civile... non facendo mancare al suo popolo solidarietà e rispetto.
Guardando a quelli che ci hanno governato da 150 anni ad oggi, è veramente da rimpiangere e desiderare un Re come Ferdinando di Borbone.
La manifestazione ha avuto il suo culmine nello scoprimento del nome, avvenuto al suono dell'inno delle Due Sicilie scritto dal maestro Paisiello, e con l'alzata della nostra gloriosa bandiera biancogigliata da parte di un’alunna della scuola.

                            

 

Dalla numerosa folla un grande applauso, commosso e continuo. Stupenda coincidenza. Il 22 maggio, giorno della prematura morte di re Ferdinando, la sua memoria e il suo valore si perpetuano in quest'evento straordinario.
Certamente quei piccoli che andranno in quella scuola chiederanno il perché di quel titolo, e chi è quel personaggio.... e finalmente la verità della storia comincerà il suo corso.
E' un primo passo, ma certo precursore di tanti altri. Proprio in questo tempo, nel quale si vogliono celebrare le vergognose azioni del risorgimento e il fallimento dell'unità d'Italia fatta dai Savoia, e che altro non è stato che la piemontesizzazione del sud, di Roma e di altre regioni della penisola italica, finalmente nasceranno coraggiosi, che abbatteranno i monumenti e cancelleranno le strade intitolate ai criminali del risorgimento, e innalzeranno monumenti e dedicheranno strade e scuole e istituti ai grandi sovrani del Sud e agli eroi combattenti per l'indipendenza e la libertà del popolo meridionale.
Commovente e gratificante ammirare in alto, sul frontespizio della scuola, il nome del grande Ferdinando.
Incoraggiante per chi da anni lotta per l'avvento della verità, sprono a chi si avvicina alla verità.
Che questo evento, anche accompagnato dagli auguri e dal pensiero di S.A. Carlo di Borbone, che ha inviato un suo messaggio, sia per tutti noi il motivo per unificare le nostre forze e alimentare con coraggio la nostra battaglia identitaria.

              

 

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: massimo.c58
Data di creazione: 09/12/2007
 

UN AVVISO PER I VISITATORI DEL BLOG

Per avere un quadro più completo delle tematiche affrontate in questo blog vi consiglio di leggere i diversi post, i vari box  e di vedere i video inseriti, dove tratto sulla storia e le vicende del Regno delle Due Sicilie, della sua arbitraria occupazione e sulle vicende nere del risorgimento italiano.

Inoltre chi desidera saperne di più può visitare i seguenti siti web

Reale Casa dei Borbone delle Due Sicilie

 Associazione dei neoborbonici

Casa editrice Il Giglio

http://www.comintatiduesicilie.it/ 

 

o ad  altri link che ho inserito nella lista apposita

e raccomando l'iscrizione alla Rete di Informazione delle Due Sicilie, diretta da Alessandro Romano, per farlo basta inviare una mail a 

 alessandro.romano19@tin.it  

 

UNA PROPOSTA PER TE

Se ami questa nostra terra e ti senti figlio di questa Nazione e vuoi veramente riprendere la tua identità storica, allora è necessario che tu ti informa.... vengo a proporti, oltre i libri che di tanto in tanto inserisco, di abbonarti alle seguenti riviste:

L'Alfiere, Pubblicazione Napoletana Tradizionalista, fondata nel 1960 da Silvio Vitale. Esce ogni quattro mesi, 24 pagine. Per sottoscrivere l'abbonamento o per richiedere gli arretrati disponibili, scrivete ad Edoardo Vitale: edoardo.vitale@tele2.it

visitate il sito:   http://www.lalfiere.it/ 

Per sottoscrivere un abbonamento annuo alla rivista Nazione Napoletana, tiratura quadrimestrale, basta versare 10 € sul CCP N° 31972805, intestato a Gabriele Marzocco, corso Chiaiano 28 - 80145 Napoli - Na.

  http://www.nazionenapulitana.org

        

Due Sicilie, periodico per l'indipendenza dei Popoli delle Due Sicilie, diretto da Antonio Pagano.

Si pubblica ogni due mesi, quaranta pagine a colori. 

Per informazioni: anpagano@alice.it oppure due.sicilie@alice.it

    

Riscossa Meridionale, organo del Movimento Politico "Terra e Libertà"

www.terraelibertasud.it

  

 mensile “Il Nuovo Sud” periodico  di opinione  ilnuovosud@libero.it

 

ANDIAMO A LEGGERE CHI SONO I SAVOIA

 

Lo stato italiano (leggasi piemontese) è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'italia meridionale e le isole uccidendo, crocifiggendo, squartando vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti (Antonio Gramsci)

Antonio Ciano: 

I SAVOIA E IL MASSACRO DEL SUD Editore Grandmelò( Prefazione di Lucio Barone )

Davanti alla perseverante politica antimeridionale  l'autore, senza peli sulla lingua, stila un atto d'accusa forte e determinato nei confronti delle classi dirigenti passate e presenti.

Il fraseggio è volutamente pesante  come a significare che la pazienza è finita e che non è più tempo di plagi, di arrotondamenti, di bugie artatamente costruite ai fini della mistificazione più becera della verità che è e resta sacra in quanto tale.

Il lettore potrà in un primo momento risentirsi per gli epiteti indirizzati alla volta degli "assassini" del Sud, ma proseguendo nella lettura si accorgerà che essi sono utili ad esternare lo stato d'animo dell'autore che desidera sopra ogni cosa risvegliare l'orgoglio dei meridionali per  troppo tempo oppressi da una montagna di falsità.  

Non ci sono dubbi. L'inizio dei guai economici del meridione è da ricondurre al momento della cruenta conquista da parte del Piemonte, così come la condizione di continuo sbando delle popolazioni del Sud è frutto di una gestione discriminante dei governi unitari che si sono succeduti dal 1861 al giorno d'oggi.

Antonio Ciano racconta gli eventi della barbara conquista savoiarda rimarcando più e più volte le figure dei cosiddetti "eroi nazionali", cui sono state dedicate strade e piazze in tutt' Italia, evidenziandone la crudeltà e la ferocia con la quale essi  hanno spento nel sangue tutti i tentativi di insorgenza che vanno dal 1861 al 1870.

Per l'autore il tempo della menzogna è finito, la coscienza del Sud riemerge giorno dopo giorno e per i criminali di guerra piemontesi sta giungendo il giorno del giudizio.

La convinzione più che la speranza è che, in concomitanza con il recupero della verità storica, le popolazioni del Sud potranno finalmente riscattare l'autonomia, l'autodeterminazione, la libertà.      

 

Le Loro Altezze Reali

i Principi Carlo e Camilla di Borbone delle Due Sicilie,

Duca e Duchessa di Castro

 

 

 

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OMAGGIO AI RE DELLE DUE SICILIE

                         

 

 ONORE AI NOSTRI

AUGUSTI SOVRANI

ONORE AI RE E ALLE REGINE

 DI BORBONE

 DELLE DUE SICILIE

 

    sempre nei nostri cuori

 

AI DIFENSORI DEL REGNO DELLE DUE SICILIE

Ormai tutti sanno che l'occupazione del Regno di Napoli fu un sorpruso da parte del Piemonte, che attraverso intrighi politici e la complicità della massoneria, corrompendo ufficiali e ministri e provocando scontri interni attraverso la collaborazione di mafiosi e camorristi, con lo sbarco dei mille iniziò l'usurpazione della nostra terra. Ma contro quest'usurpazione lottarono fino alla fine gli eroici soldati del Regno, il popolo duosiciliano,  uomini e donne che furono poi chiamati briganti, ma che si opposero a quest'ingiustizia. Con questi,  quegli eroici soldati del Volturno, e quelli che insieme ai  cittadini di Gaeta, di Civitella del Tronto e di Messina,  co il loro  Re Francesco II e la Regina Maria Sofia, continuarono a lottare per il Regno e la libertà.

         Onore  agli eroici

        difensori del Regno

         delle Due Sicilie

        

I libri che parlano dei nostri eroi:

       

AA. VV.  La difesa del Regno

Gaeta  Messina  Civitella del TrontoEd. Il Giglio

         

Non mi arrendo. Romanzo storico.

Da Gaeta a Civitella, l'eroica difesa del Regno delle Due Sicilie.

Gianandrea De Antonellis  Editore Contro Corrente

 
 

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