OBSERVATORY

Post N° 39


Il cronista di neraDi Dave Randal, giornalista britannico e collaboratore di giornali britannici, africani, statunitensi e russi. È senior editor del settimanale 'Independent on Sunday' di LondraL'altro giorno un amico mi ha chiesto se conoscevo un buon detective. Pensavo che volesse far seguire sua moglie o spiare il vicino, perciò quando mi ha detto che il suo interesse era solo professionale mi sono sentito più tranquillo. È uno scrittore e stava cercando un protagonista per un giallo: un cronista di nera poteva andar bene? E potevo suggerirgli il nome di qualcuno?Il problema, ho provato a spiegargli, è che i cronisti di nera non indagano direttamente sui delitti. Girano intorno a quelli che lo fanno sperando di raccogliere qualche briciola di informazione da trasformare, sul giornale del giorno dopo, in qualcosa che somigli a un pasto completo. Di questi tempi, la concorrenza delle tv, delle radio e di internet significa che i cronisti di nera hanno così paura di perdersi anche solo una briciola, per quanto minuscola, che si aggirano in branchi sulla scena di un crimine e collaborano tra loro più di quanto i lettori o i telespettatori possano immaginare. La mischia dei mezzi d'informazione che si gettano su un fatto di cronaca nera somiglia a quelle scene che si vedono a scuola quando i ragazzi fanno capannello, si passano gli appunti e poi corrono a finire il compito in classe. Insomma, il mio amico scrittore avrebbe avuto qualche difficoltà a costruire in modo convincente la figura solitaria e leggermente eccentrica del suo eroe (o della sua eroina) prendendo a modello un cronista di nera. E avrebbe avuto anche un altro problema: il tipo di reati di cui si occupano questi giornalisti sono sempre più spesso abietti e violenti, più adatti ai racconti dell'orrore che a intriganti storie di mistero. In realtà non sono sicuro che i delitti siano più orribili di prima, probabilmente è cambiato solo il modo in cui li trattano i mezzi d'informazione. Ci raccontano solo i fatti sconvolgenti e i più violenti perché, in buona misura, è la tv che decide quali sono le notizie importanti, e il suo stile basato su poche frasi a effetto e su trenta secondi di filmato favorisce le notizie semplificate e brutali invece di quelle più sottili e sfaccettate.Così si crea un concentrato di rapimenti di bambini, aggressioni in strada, omicidi nel mondo della malavita e sparatorie nei campus universitari.Nei romanzi i delitti sono molto diversi: le cose non succedono in modo così caotico. Ci sono rancori, complotti, coscienze tormentate, e i possibili sospetti sono sempre più di uno. Qualcuno potrebbe dire che non si tratta di fatti successi veramente ma di cose inventate. Eppure fino a qualche decina di anni fa i delitti di cui parlavano i giornali erano molto simili a quelli che si trovavano nei romanzi gialli. C'erano persone che avvelenavano chi si metteva tra loro e un'eredità, donne che attiravano le loro rivali in amore in una villa isolata e le colpivano a morte con un asciugacapelli, e piccoli impiegati di banca apparentemente innocui che rubavano miliardi ai loro datori di lavoro per soddisfare i desideri delle donnine allegre di cui si erano innamorati e per le quali avevano organizzato l'eliminazione delle loro noiose mogli. Ereditiere, case di campagna, ville sontuose, gelosia, cedimenti alla lussuria a lungo repressa e la nascita di progetti omicidi nella mente di persone fino a quel momento rispettabilissime erano temi ricorrenti.I giornali spesso dedicavano pagine e pagine a storie assolutamente identiche alla trama di romanzi gialli che allora erano estremamente popolari e oggi lo sono ancora di più.Delitti del genere vengono ancora commessi. È cambiato solo quello che decidiamo di raccontare, e il modo in cui i giornali e le riviste lo raccontano. Non solo ci lasciamo condizionare dalla televisione, ma nelle redazioni di oggi, dove i giornalisti sono pochi e tendono a consultare Google invece di uscire per andare a cercare le notizie di prima mano, ci affidiamo sempre più spesso ai portavoce ufficiali, alle conferenze stampa e alle ricostruzioni della tv.Dovremmo resistere a questa tendenza a fare branco e andare a cercare storie più ricche di dettagli, carattere e complessità. Forse dovremmo rovesciare la domanda del mio amico e invece di chiederci se il giornalismo può fornire un eroe alla narrativa, dovremmo domandarci se la narrativa può ispirare il giornalismo. È una cosa su cui riflettere: articoli di giornale ricchi di dettagli, dialoghi, descrizioni, la sensazione di essere sul posto, il tutto di una lunghezza decente e popolato di personaggi che non sono soltanto nomi, età e occupazioni. Magari storie scoperte in qualche angolo di provincia e non i fatti del giorno nella capitale.In questo modo, forse, sul treno che la mattina mi porta in città, non vedrei solo lettori immersi nei loro gialli ma anche qualcuno che sfoglia il giornale.