MUSICA GENTE

Post N° 462


Symphonies of SicknessCarcass, Symphonies of Sickness (1989) - METAL - Earache - dischi: 1 - giudizio:
1988, Liverpool. Da un transfuga dei Napalm Death, Bill Steer, nascono i Carcass. Voci fonde e violente come mai si era ascoltato prima nel mondo del metal, riff brutali e “super” slayeriani, copertine composte da collage di immagini necrofiliache, testi (di solito opera del batterista Ken Owen, laureato, sembra, in medicina) trasposti direttamente o quasi dai volumi di anatomia comparata. Il grind-core, ai suoi livelli eccelsi.Difficile, però, scegliere un unico album a rappresentare i nostri, provate a chiedere a dieci diversi fan e le risposte saranno altamente contraddittorie.Stringendo il campo si rimane con tre titoli: Symphonies of Sickness, Necroticism: Descanting the Insalubrious e Heartwork.Ma laddove il primo si può indicare ancora come appartenente in tutto e per tutto ai territori grind, i due lavori seguenti risentono di una (naturale?) evoluzione compositiva pronta a sacrificare certa brutalità in favore di riff più elaborati, vicini ai territori del death metal. Capolavori, sicuramente.Ma noi preferiamo Symphonies of sickness, proprio in virtù del suo rappresentare una delle punte più elevate dell’intero genere grind-core. Siamo nel 1989 e i Carcass, freschi reduci dal devastante Reek of Putrefaction, entrano in studio con un produttore professionista e pronti a lasciare il segno nella storia del metallo.Le “canzoni” si allungano sensibilmente, i riff suonano solo un poco più complessi, ma il ruggito dei due growlers Steer e Walzer rimane terrificante, cavernoso e iperagressivo. Dieci diamanti grezzi pronti a esplodervi fra le mani, fra storie di necro-ordinarietà (Empathological Necroticism, con l’anatomo patologo che si lamenta di quanto sia duro il suo lavoro, sfinito dopo una giornata passata a guardare “dentro” alla gente) o allegre considerazioni sulla superiorità del cibo un po’ frollato (quello dei cadaveri riesumati) rispetto a quello fresco.Brevi tessiture di synth spuntano qua e là, ma sono solo vaghe ombre nel mare magnum dell’assalto sonoro di uno dei migliori titoli mai pubblicati dall’ottima Earache.