MUSICA GENTE

Post N° 473


“Ashes Against The Grain”, nuova fatica del combo di Portland, è un lavoro quasi infernale.Emana un calore, un’intensità ed un pathos unici, sin dalla copertina.Gli Agalloch hanno saputo costantemente rinnovarsi nei loro album, pur mantenendo invariata la loro matrice stilistica essenzialmente decadente.Sonorità strettamente legate alla natura ed ai suoi mutamenti, con un approccio di pensiero di tipo nordico tanto che riesce difficile credere di trovarsi al cospetto di una band statunitense.Da “Pale Folklore” ed i suoi stilemi gotici, passando per “The Mantle” e le sue linee neofolk, si giunge alla perfetta maturazione con l’ultimo “Ashes Against The Grain”, pregno di atmosfere post-rock e di vaghi influssi prog.Band, come si è potuto notare, atipica nella scena americana caratterizzata dal crossover più commercializzato e scadente. L’opener “Limbs” si caratterizza per l’intro elettrico assolutamente ipnotico e coinvolgente che si arresta per dar spazio alla melodicità dell’arpeggio di chitarra classica che lascia successivamente il campo al tipico incedere doom style, in un crescendo rossiniano di emozioni.Suggestiva “Falling Snow”, che come la neve cadente, ci accarezza con i suoi riffs psichedelici che incalzano incessantemente sopra un tappeto sonoro di chitarre in cui si staglia l’alternanza di clean vocals e growl di grande impatto.L’elettronico minuto strumentale di “This White Mountain on Wich You Will Die”, ci accompagna verso il delicato arpeggio di “Fire Above, Ice Below” che, insieme al ritmo cadenzato delle percussioni, dei growls quasi sussurati e degli assoli centrali minimali ma affascinanti, ci richiamano alla mente luoghi fatti di foreste impenetrabili, di desolate distese di campi innevati, di rituali degli Indiani di America.Si arriva, quindi, a “Not Unlike The Waves”, forse la canzone più psichedelica dell’intero opus, e dove risaltano maggiormente le recenti infatuazioni per la musica post-rock e prog.Si giunge, infine, al trittico concept di chiusura “Our Fortress is Burning”, in cui la prima parte strumentale, contraddistinta dalle melodie malinconiche sapientemente create dai nostri, fà da apripista a “Bloodbirds”, song straziante e sofferta che ti lacera intimamente, per poi concludersi con “The Grain” ed il suo il coacervo di rumori industriali che ti lasciano totalmente spiazzato. In conclusione, c’è poco da dire, se non uno dei migliori album usciti nell’ultimo periodo.