Chiaroza

Disagio, dal latino "dis-adiacens".


Quando ero piccola, e per piccola intendo dai sei ai dieci anni, ricordo che il mio incubo ricorrente era quello di ritrovarmi nel cortile di scuola durante la ricreazione, vestita di tutto punto ma con ai piedi le pantofole. Probabilmente quella era la massima sensazione di disagio che la mia giovane mente fosse in grado di partorire. Progredendo anagraficamente, il disagio che risiedeva in quelle pantofole si è trasferito in un water in mezzo alla strada con una me a brache calate sedutaci sopra, poi in un'interrogazione dove non sapevo rispondere a nessuna domanda, in un esame fallito di fronte ad una platea di gente allibita, in un calzino bucato mentre una commessa mi aiutava a provare una scarpa, in un silenzio perplesso durante una battuta che reputavo geniale. E via dicendo, insomma. Solo l'altro giorno, trovandomi di fronte ad alcune cartelline ricolme di miei disegni risalenti ai tempi del liceo, aprendole e sfogliandole, impolverandomi le dita con certi vecchi ricordi, ho pensato che oggi, a venticinque anni, proverei meno disagio a farmi vedere seduta su un cesso in mezzo alla piazza, con i calzini bucati e ai piedi delle ciabatte, il tutto di fronte ad una platea allibita mentre fallisco un esame sciorinando battute pessime creando il gelo piuttosto che davanti ad una persona, intimamente, parlando in maniera brillante e con le scarpe ai piedi ma con quei disegni di merda in mano.