Chiaroza

Otto ore


Otto ore in treno sono lunghe da occupare, soprattutto quando il libro che avresti potuto leggere è sul fondo del borsone, sotto un ammasso di sacchi con all'interno scarpe, vestiti, bottiglie di grappa, orecchiette e panini. La prima ora cerchi di passarla osservando il panorama, nonostante tu sia seduta di spalle, verso l'interno e dal lato del treno dove si vede il paesaggio meno bello. Una volta arrivata alle Murge decidi che è arrivato il momento di cambiare passatempo e sfoderare dalla borsetta lo smartphone, passando in rassegna tutti i giochi possibili compreso Snake, scaricato di proposito dall' app store perché ti senti in colpa per aver tradito la Nokia con la Samsung. Dopo circa una decina di partite a Scarabeo, dove ti sei sforzata ad incastrare lettere per ottenere parole come “ortoclorobenzalmalononitrile” ma la parola più complicata che riesci a comporre è “ orto”, pensi che sia arrivata l'ora di tornare a guardare di nuovo fuori. E sei ancora nelle Murge. Ti rassegni a fissarle sperando che contando gli ulivi prima o poi ti venga una botta di sonno che duri fino a Bologna. Quando ti risvegli, convinta che come minimo sia passata almeno un'oretta, ti accorgi che sono passati solo dieci minuti e sei rigida come uno tòcco di pane raffermo a causa dell'aria condizionata. Indossi il cardigan e senti un leggero languorino: pensi che sia ora di estrarre il panino dal marasma che c'è in valigia, e lo inizi a mangiare a piccoli bocconi cercando di farlo durare più tempo possibile. Per noia eh, mica per fame. Le restanti ore cerchi di occuparle tornando a giocare a Scarabeo, questa volta puntando tutto sulla parola “IRQ” sistemata ad hoc sopra il quadratino che la fa valere il triplo, ma sfortunatamente non ti capita la lettera “Q” e devi accontentarti nuovamente della parola “orto”. Ormai la rassegnazione regna sovrana ed hai esaurito tutte le attività ludiche possibili compresa contare la valigie rosse all'interno dello scompartimento, ti viene in mente che ormai hai sconquassato il borsone e potresti pure prendere in mano quel libro, solo che ormai non hai più voglia di leggere. Ed è lì che entrano loro. Sono in tre, chiassosi e spavaldi. Si siedono ed iniziano a parlare fra di loro a voce alta, due sono campani ed uno pugliese. Come se nulla fosse si buttano in un discorso infinito sulla droga, sugli anni che si sono fatti in carcere, su quei bastardi che hanno fatto i loro nomi, sulle discoteche in cui sarebbero andati a spacciare la sera stessa, su dita tagliate, sulla professionalità di certi produttori di pasticche e sulla raffinatezza sconfinata degli occhiali con lenti a specchio Oakley. Tirano fuori dei soldi falsi e se li passano di mano in mano per tastarne la buona fattura. Ed il tutto con la nonchalance con cui due ragazze parlerebbero di cazzo davanti ad un Mojito fatto male. Tu sei lì che fingi di non ascoltarli, guardando le Murge il paesaggio con lo stesso sguardo fisso e sbigottito di un vegano di fronte ad una testa di abbacchio. Per un attimo speri di trovarti nel bel mezzo di una puntata di Scherzi a parte, poi ti ricordi la Ventura e Columbro e ti spaventi ancora di più. Li ascolti, anche se non vorresti. “...a dhai ete difficile cu spacci, percé comu sentenu ca sinti terrone te minanu fore. Ti buttano fuori dal locale, diretto! Anche quando mi impegno e parlo l'italiano, quelli sentono subito la DECADENZA”. La decadenza, sì. E nel frattempo arrivi a destinazione.