Creato da ChiaraLed il 22/01/2008

Chiaroza

Una cacata di blog

 

Gente dinamica, bella e bionda.

Post n°377 pubblicato il 15 Novembre 2013 da ChiaraLed

Stasera riflettevo.
Chiaramente nulla di pretenzioso, avevo finito le vite a Candy Crash Saga e dovevo aspettare una ventina di minuti affinché si rigenerassero, poiché mi vergogno a mandare le richieste ai miei contatti Facebook.
E quindi niente, come dicevo, mi sono messa a pensare. Arrivando alla conclusione che Abercrombie & Fitch è un negozio di merda.
Nel sito vanta di aver vestito personalità come Greta Garbo, Clark Gable, Ernest Hemingway ed altri pezzi grossi che non sto qui ad elencarvi, ma io continuo a rimaner fissa sul mio pensiero senza scrematura alcuna: posto di merda.
Tempo fa mi capitò di entrare in un negozio “Hollister Co.”, un marchio sempre appartenente al signor Abercrombie, ma rivolto ad una fascia di gente più giovane. Gente teenager, diciamo.
Gente magra.
Gente figa.
Gente possibilmente bionda.
Gente che passa la propria vita in muta da surf e ciabattine infradito, nutrendosi di acqua dell'Oceano Pacifico, sabbia finissima, sole e Mitch Buchannon.
Non so bene cosa mi spinse ad entrare in quel negozio, probabilmente lo scambiai per un chiosco gestito da caraibici di mezza età dove bermi una Piña Colada comodamente seduta su di una poltrona costruita in bucce di banana essiccate.
Con profondo disappunto mi resi conto che ad accogliermi non c'era nessun José con camicia lustra aperta fino al terzo bottone e nessuna Guadalupe con culo alto e zeppe in sughero, bensì un Mike e una Hannah, all'anagrafe Michele Bortolon e Anna Boscolo.
Ma mi stavano salutando in inglese! Mi stavano salutando in inglese all'interno di un centro commerciale in provincia di Venezia. Mi stavano salutando in inglese all'interno di un centro commerciale in provincia di Venezia indossando delle infradito. Mi stavano salutando in inglese all'interno di un centro commerciale in provincia di Venezia indossando delle infradito durante il mese di Febbraio.
Quindi, oltre a sentirmi anagraficamente decrepita, fisicamente poco dotata e tricologicamente troppo castana, iniziai pure a sentirmi in soggezione per il fatto di indossare delle scarpe chiuse in inverno. Forse, pensai, infradito is the new anfibio.
Qualsiasi cosa era lì per fomentare il mio disagio, partendo da tutto quel biondo fino alle ormai blasonate ciavattine in gomma, iniziando dai vestiti per gente che ai pubblicitari piace descrivere come “dinamica e giovane”, per poi finire con la musica sunshine pop in stile Beach Boys.
Ma più giovani e ancora più biondi, chiaro.
Feci un giro veloce del negozio, mi resi conto che nessun pantalone avrebbe potuto donare al mio fisico da over 25 e me ne andai fuori pensando alla Piña Colada e ai seggiolini in buccia di banana.
Ok, si è fatta una certa e credo che ormai mi si siano ricaricate abbastanza vite su Candy Crash Saga per poter passare il Livello 89. Ero partita dicendo che questa sera riflettevo.

Riflettevo sul fatto che secondo me Greta Garbo, Clark Gable, Ernest Hemingway ed altri pezzi grossi che non sto qui ad elencarvi non avrebbero mai indossato quelle ciabatte di merda.

 
 
 

Rabbocco

Post n°376 pubblicato il 11 Ottobre 2013 da ChiaraLed

E così, mentre nel mondo impazzano mode che hanno la stessa durata dell'interno coscia di un pantalone della tuta in acetato quando si va a correre e le gambe strusciano l'una con l'altra, a casa mia si instillano tradizioni che tendono a protrarsi in eccesso, come la vita di Priebke.
Una di queste consiste nel rabboccare le confezioni di roba nuova con gli ultimi superstiti di confezioni precedenti. E fino a qui la cosa non sembra più grottesca di quanto possa esserlo un braccialetto in stoffa Cruciani venduto alla modica cifra di euro venti nelle migliori gioiellerie.
Il fatto è che in genere il rabbocco consiste quasi sempre in roba che non c'entra un cazzo con la confezione designata ad ospitarlo.
Vi spiego.
Mentre faccio colazione, frugo nel sacchetto dei Pan di Stelle e pesco un Pavesino.
Fine.
Dai, è una cosa obiettivamente brutta. Non solo perché mi costringe a dover pensare persino per tirare fuori correttamente i biscotti da un sacchetto, ma anche perché in questo modo quei tre Pavesini lì perdono tutto l'appeal che potevano avere nella loro bella confezione, risultando scialbi e poco appetibili vicino ai Pan di Stelle.
La questione si conclude sempre alla stessa incresciosa maniera: i Pan di Stelle finiscono mentre i tre Pavesini rimangono ancora lì, valorosi ultimi superstiti di una settimana di colazioni, nell'attesa di essere spostati in un'altra confezione pronta ad accoglierli. Ed è proprio questo che intendevo all'inizio del post, quando parlavo di cose che si protraggono troppo a lungo.
I tre Pavesini sono sempre gli stessi.

Per fortuna almeno Priebke è morto, va'. 

 
 
 

Otto ore

Post n°375 pubblicato il 03 Settembre 2013 da ChiaraLed

Otto ore in treno sono lunghe da occupare, soprattutto quando il libro che avresti potuto leggere è sul fondo del borsone, sotto un ammasso di sacchi con all'interno scarpe, vestiti, bottiglie di grappa, orecchiette e panini.
La prima ora cerchi di passarla osservando il panorama, nonostante tu sia seduta di spalle, verso l'interno e dal lato del treno dove si vede il paesaggio meno bello. Una volta arrivata alle Murge decidi che è arrivato il momento di cambiare passatempo e sfoderare dalla borsetta lo smartphone, passando in rassegna tutti i giochi possibili compreso Snake, scaricato di proposito dall' app store perché ti senti in colpa per aver tradito la Nokia con la Samsung.
Dopo circa una decina di partite a Scarabeo, dove ti sei sforzata ad incastrare lettere per ottenere parole come “ortoclorobenzalmalononitrile” ma la parola più complicata che riesci a comporre è “ orto”, pensi che sia arrivata l'ora di tornare a guardare di nuovo fuori.
E sei ancora nelle Murge.
Ti rassegni a fissarle sperando che contando gli ulivi prima o poi ti venga una botta di sonno che duri fino a Bologna.
Quando ti risvegli, convinta che come minimo sia passata almeno un'oretta, ti accorgi che sono passati solo dieci minuti e sei rigida come uno tòcco di pane raffermo a causa dell'aria condizionata. Indossi il cardigan e senti un leggero languorino: pensi che sia ora di estrarre il panino dal marasma che c'è in valigia, e lo inizi a mangiare a piccoli bocconi cercando di farlo durare più tempo possibile.
Per noia eh, mica per fame.
Le restanti ore cerchi di occuparle tornando a giocare a Scarabeo, questa volta puntando tutto sulla parola “IRQ” sistemata ad hoc sopra il quadratino che la fa valere il triplo, ma sfortunatamente non ti capita la lettera “Q” e devi accontentarti nuovamente della parola “orto”.
Ormai la rassegnazione regna sovrana ed hai esaurito tutte le attività ludiche possibili compresa contare la valigie rosse all'interno dello scompartimento, ti viene in mente che ormai hai sconquassato il borsone e potresti pure prendere in mano quel libro, solo che ormai non hai più voglia di leggere. Ed è lì che entrano loro.
Sono in tre, chiassosi e spavaldi. Si siedono ed iniziano a parlare fra di loro a voce alta, due sono campani ed uno pugliese. Come se nulla fosse si buttano in un discorso infinito sulla droga, sugli anni che si sono fatti in carcere, su quei bastardi che hanno fatto i loro nomi, sulle discoteche in cui sarebbero andati a spacciare la sera stessa, su dita tagliate, sulla professionalità di certi produttori di pasticche e sulla raffinatezza sconfinata degli occhiali con lenti a specchio Oakley. Tirano fuori dei soldi falsi e se li passano di mano in mano per tastarne la buona fattura.
Ed il tutto con la nonchalance con cui due ragazze parlerebbero di cazzo davanti ad un Mojito fatto male.
Tu sei lì che fingi di non ascoltarli, guardando le Murge il paesaggio con lo stesso sguardo fisso e sbigottito di un vegano di fronte ad una testa di abbacchio. Per un attimo speri di trovarti nel bel mezzo di una puntata di Scherzi a parte, poi ti ricordi la Ventura e Columbro e ti spaventi ancora di più.
Li ascolti, anche se non vorresti.
“...a dhai ete difficile cu spacci, percé comu sentenu ca sinti terrone te minanu fore. Ti buttano fuori dal locale, diretto! Anche quando mi impegno e parlo l'italiano, quelli sentono subito la DECADENZA”.

La decadenza, sì. E nel frattempo arrivi a destinazione.

 
 
 

QUELLA A CUI IL ROSSO DELLA CASACCA NON DONAVA AFFATTO

Post n°374 pubblicato il 14 Giugno 2013 da ChiaraLed

Collèga [kol'lɛga] s.m. e f.
compagno nell'esercizio di una professione, in un lavoro d'ufficio e simili.

Ma partiamo dalla definizione di quel “e simili”. Nel mio personalissimo caso, “e simili” sta per “erogare caffè in maniera ininterrotta cercando di spiegare le peculiarità e le differenze di ogni miscela, la praticità e facilità d'utilizzo delle innovative capsule e la toccante bellezza delle nuovo design minimalchicverysmartsabbiainculo delle macchinette ad una masnada di gente interessata unicamente ad un'altra parola, molto più corta di minimalchicverysmartsabbiainculo: GRATIS.

“Collèga”, sempre nel mio personalissimo ed interessantissimo caso, sta per “compagno nell'esercizio di una professione, in un lavoro d'ufficio e simili, come ad esempio erogare caffè in manieraetc, con cui sei obbligata a passare otto ore mordendoti la lingua per evitare di riversare quel fiume di nefandezze che, solo una volta arrivata a casa, seduta sul divano in pigiama e ciavatte, riverserai sul tuo partner che ti ascolterà con lo stesso interesse delle persone in fila per il caffè e con in testa una parola molto più corta di mannaggiaoggiquanteglieneavreidate: POMPINO.
Ditemi voi però, cari i miei Gandhi, come si possono tenere a bada le mani e la lingua quando ci si trova ad avere a che fare con:

QUELLO CHE A TUTTI SEMBRA RICCHIONE MA NESSUNO OSA DOMANDARGLIELO
ma in compenso qualcuno osa fargli notare quanto se la cava bene con la lingua inglese, innescando un'istantanea erezione del pène e dell'ego, refill dell'autostima e snocciolamento di traguardi lavorativi con tono di voce pacato e paraberlusconiano. “Ho studiato un anno all'estero, ora faccio il consulente politico e mi occupo di campagne elettorali”.
Bravo, ecco a te la crocchetta Royal Canin. Hop!


Salve, le faccio un Ethiopia o preferisce la miscela classica?

 

QUELLA CHE SI SENTE IN DOVERE DI COMPORTARSI DA KAPO non solo per i fluenti ed autoritari baffi che la natura le ha donato, ma per il fatto che ha qualche contatto in più con l'agenzia, il ché la fa sentire autorizzata a prendersi la pausa pranzo per prima, facendola durare più del dovuto ma dichiarandone la metà e usare termini che metterebbero a seria prova l'autocontrollo di Nanni Moretti in Palombella Rossa.
Ma come parla? (cit.)



Guardi, se posso consigliargliene uno, direi Brasile.



QUELLA INCAPACE DI SORRIDERE NONOSTANTE LA SUA BOCCA NON SIA TRATTENUTA DA QUALCHE PARESI
eh no. Proprio non ce la fa. Albert Fish nella sedia elettrica aveva un'aria più serena e distesa. Certo, lei non credo sia né urofila né coprofaga, in compenso offre tazzine di caffè con lo stesso entusiasmo che si può avere nell'offrire una tazzina dimmerda.

 

Prego, a lei. Attenzione che scotta!

 

QUELLA CHE NON FA NULLA PER SMENTIRTI SUL FATTO CHE LE BIONDE SIANO STUPIDE
io ci ho provato in tutti i modi a non fare discriminazioni in base al colore dei capelli, ma davvero non riesco a smettere. Soprattutto se una ha dei colpi di sole color biondo miele e una propensione alla logorrea senza respiro. Vi giuro, andava in apnea. Dev'essere l'abitudine a.



Immagino vogliate un caffè, vero?
Ethiopia? Brazil? Guatemala? Miscela classica o deca?

 
 
 

POLENTA & FRISELLE

Post n°373 pubblicato il 31 Ottobre 2012 da ChiaraLed

Per chiunque fosse interessato, il mio blog ha una succursale esattamente QUI.

 
 
 
 

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