Mediterranean

PRIMO CENSIMENTO DEI GIGANTI DEGLI OCEANI


 di Enrica BattifogliaROMA - Balenottere azzurre, orche e delfini all'inizio dell'800 popolavano i mari della Gran Bretagna, ma poco più tardi una pesca indiscriminata decimò le aringhe, la caccia alle meduse alterò la catena alimentare e una specie comune di molluschi migrò dalla Gran Bretagna alla Nuova Scozia ancorata alla chiglia delle navi sconvolgendo l'ecosistema. L'atlante dei mari del passato emerge dai giornali di bordo di antiche navi, testi letterati, documenti legali, manufatti di osso di balena, menù d'epoca e calendari ecclesiastici che dettavano i periodi di digiuno: un lavoro immane nato dal Censimento storico delle popolazioni animali del mare (Hmap), un progetto avviato nel 2000 e i cui risultati recenti saranno presentati dal 26 al 28 maggio in Canada, a Vancouver. E' la ricostruzione più vasta e dettagliata degli oceani nei secoli scorsi, che va indietro nel tempo fino all'Età della pietra, fra 300.000 e 30.000 anni fa (Paleolitico medio) quando, dieci volte più precocemente di quanto si credesse, l'uomo cominciò a saccheggiare i mari impoverendoli di conchiglie e grandi mammiferi. Un lavoro immane che, per uno dei responsabili del progetto, Andy Rosenberg, potrà modificare le nozioni di abbondanza, habitat e vulnerabilità della fauna marina. Per esempio, l'analisi di almeno 150 diari di bordo che documentano avvistamenti di balene ha permesso di stabilire con un'affidabilità del 95% che nei primi dell'800 al largo della Nuova Zelanda le balene australi erano fra 22.000 e 32.000, 30 volte più numerose rispetto ad oggi, e che sono state decimate con l'arrivo delle baleniere. Tanto che nel 1925 sopravvivevano appena 25 femmine in età riproduttiva. Oggi sono un migliaio e vivono attorno alle isole neozelandesi vicine dell'Antartide. Passando all'Europa, documenti medioevali testimoniano che già allora sfruttamento e inquinamento avevano impoverito di pesce le acque dolci. E "il Mediterraneo già nel '500 era abbastanza povero di risorse'', spiega la storica italiana Maria Lucia De Nicolò, dell'università di Bologna. Nel congresso la ricercatrice presenterà i dati relativi alla rivoluzione nella pesca avvenuta fra '500 e '600, con i cambiamenti tecnici nella costruzione dei pescherecci che permisero di avventurarsi in mare aperto e l'uso delle reti a strascico. "Fino ad allora era stato impossibile accedere alla navigazione in alto mare per problemi tecnologici, politici, economici, ma anche culturali". C'era, per esempio, "la paura che tutto ciò che venisse dal mare fosse pericoloso per la salute umana", quasi demoniaco. Tanto che il pesce obbligatorio nei digiuni imposti dalla cultura cattolica per ben due terzi dell'anno proveniva spesso dalle acque dolci. Ma le cose cambiarono a metà del '500, con la necessita' di nutrire una popolazione europea in crescita e l'invito della Chiesa della Controriforma a consumare pesce di mare. La fotografia più precisa e dettagliata del Mediterraneo del '700, prosegue la ricercatrice, viene invece da un uomo che, bandito dalla Serenissima, percorse il Mediterraneo in lungo e largo, descrivendo quanto vedeva con gli occhi di un pescatore: dai banchi di pesce di cui era ricco l'Adriatico ai cetacei del Tirreno.