Capitolo I

Sunshine: abbagliati o scottati?


Sunshine non è un film sufficientemente innovativo da essere innalzato a cult della fantascienza. L’anello debole è un soggetto che trae dichiaratamente spunto da titoli che hanno fatto la storia, da 2001- Odissea nella spazio ad Alien. E’ però un omaggio ossequioso piuttosto che uno sterile tentativo di richiamare i passati fasti. Perché il film ha una propria forza. Un elemento originale, capace di renderlo autosufficiente rispetto ad un intreccio narrativo che non convince del tutto e che non risulta pienamente chiaro (un possibile salto temporale come annunciato in un dialogo all’inizio?), sta nella lettura di Danny Boyle (Trainspotting, 28 giorni dopo, The Beach) che si sofferma sugli elementi più originali e su sequenze visivamente impressionanti, anziché accontentarsi di imbastire una storia abusata con effetti speciali milionari. Ne deriva una sorta di lungo videoclip psichedelico su temi sonori degli Underworld che hanno impiantato un progetto inedito rielaborando i suoni dello spazio catturati dalla Nasa. E, pur mettendo a dura prova lo spettatore, che esce dalla sala frastornato dalle continue sollecitazioni, risulta essere un veicolo perfetto per far scorrere la visione. E’ ben riuscita la combinazione tra il pur abusato cliché dello strenuo tentativo di salvare la Terra dall’apocalisse con le elucubrazioni pseudo-scientifiche e le farneticazioni misticheggianti. Il nodo del film è la sfida tra uomo e Dio, la tensione umana verso il divino attraverso la scienza, interpretata in senso originale rispetto a tanta produzione hollywoodiana degli ultimi tempi, che si affaccia piuttosto verso la letteratura di genere, da Isaac Asimov a Philip K. Dick. Nella seconda parte il film degenera o, a seconda dei gusti, progredisce arricchendosi di elementi di thrilling. Indovinato l’uso delle lenti anamorfiche che esasperano le situazioni di forte tensione e aggiungono un velo di mistero ad inseguimenti altrimenti troppo prevedibili, esaltano una fotografia ben riuscita, imperniata sul contrasto tra le sequenze fredde e quelle dove i caldi riflessi del sole regalano un’atmosfera che tende al trascendente. Bella la contrapposizione tra il micro (la polvere, le inquadrature che scrutano i dettagli, l’uomo che sfida le leggi dell’universo) e il macro, lo spazio siderale che rappresenta il vero antagonista a livello narrativo, gli esterni realizzati digitalmente restituiscono un universo composito e spaventoso, che non solo fa da sfondo, ma interagisce con la storia. Enigmatico, escatologico, claustrofobico, coraggioso, Sunshine si presta alla visione di un pubblico vario, dai cultori delle fini riprese a chi cerca nel film qualche emozione surrogata.