Melamente assorto

Niente cioccolato, siamo svizzeri


Eppure la Svizzera, lo sappiamo, e' il paradiso che tutti noi sognamo qui a due passi dal caos italico. Niente criminalita', niente disoccupazione, pulizia, lavoro, famiglia, stato, religione, legge e ordine. Neutralita' e pace perenne. Ah.. dimenticavo la cosa piu' importante: soldi. Tanti soldi. Dunque dicevo.. come mai questa acuta fobia dello straniero, dell'africano? Addirittura gli spot televisivi, ora. Mi chiedo se le autorita' svizzere abbiano, anche per un solo secondo, riflettuto o immaginato il numero di televisori installati in Camerun o in Nigeria. Temo di no, e capisco anche il perche'. Perche' lo spot in questione non e', con ogni evidenza, indirizzato ai nigeriani o agli africani in genere. E' indirizzato agli svizzeri stessi. Cosi' come il nostro decreto "sicurezza" non e' ideato per essere efficace, ma per dare a noi stessi una certa immagine di noi. Farci credere che stiamo facendo alla svelta e concretamente qualcosa di buono, qualcosa di utile. Purtroppo non e' cosi', e presto lo scopriremo.
Clicca sulla foto"Sulla spietatezza del nazismo e magari dei paesi occupati dal nazismo, molto è stato scritto e girato per lo schermo. Sulla spietatezza dei paesi neutrali ben poco, specie nel cinema. Questo relativo silenzio si deve in gran parte alla ferma ostilità dimostrata da molti di quei paesi verso il razzismo, ciò metteva in ombra il fatto che quegli stessi paesi non andavano esenti dalla mentalità xenofoba e nazionalista che era dopo tutto all´origine lontana dell´antisemitismo. In pratica, in quegli anni terribili fu messo alla prova il grado di cristianizzazione dell´Europa. In molti casi, purtroppo, la prova fallì. La barca e piena di Markus Imhoof racconta un episodio di questo fallimento, precisamente in un paese neutrale come la Svizzera che ha nella sua storia le più antiche tradizioni di impegno cristiano. Il film racconta il caso di un gruppo di profughi che, dopo essere fuggiti da un treno che li portava dritti dritti al campo di sterminio, riescono ad entrare clandestinamente in Svizzera. Del gruppo fanno parte un vecchio, un bambino, una bambina, una donna, un ragazzo, tutti ebrei, nonché un soldato tedesco disertore. Essi non sono parenti tra di loro e questo è il problema che debbono risolvere per restare in Svizzera, perché, secondo le leggi elvetiche, essi possono penetrare nel paese soltanto se costituiscono un gruppo familiare con un bambino di meno di sei anni. In caso diverso la legge è inflessibile: «I rifugiati solo per motivi razziali, per esempio gli ebrei, non sono considerati rifugiati politici e sono dunque senz´altro da respingere». Il gruppo di fuggiaschi approda nella trattoria di un borgo e subito la loro presenza divide gli animi. C´è chi vuole aiutarli, c´è chi vuole ignorarli, c´è chi vorrebbe denunziarli e farli estradare, c´è chi vorrebbe semplicemente che se ne vadano dal borgo. In generale la popolazione è favorevole alla loro permanenza in Svizzera nella misura in cui il gruppo ha meno a che fare con essa. Infatti il contegno più oscillante e contraddittorio è tenuto appunto dal proprietario della trattoria e da sua moglie costretti direttamente dalla presenza stessa dei fuggiaschi a impegnarsi in decisioni irreversibili. Va a finire che il gruppo organizza una specie di recita per sfuggire all´estradizione: il vecchio si dichiarerà il nonno dei due bambini, la donna la madre, il disertore il padre. Il ragazzo, invece, si fingerà disertore indossando la divisa dell´esercito tedesco: la legge prevede infatti che i disertori non possano venire estradati. E tutto andrebbe forse bene senza l´imprevisto del carattere di Peter Bigler, il gendarme, carattere crudele, zelante, rigido. Ma si tratta davvero di un imprevisto? Oppure invece di qualcosa di prevedibile dato le norme emanate dalle autorità e lo stato d´animo della popolazione per quanto riguarda il problema dei profughi? La commedia straziante della finta famiglia naufraga così contro lo scoglio dello zelo spietato di Bigler; i fuggiaschi vengono smascherati e respinti alla frontiera per essere consegnati alle autorità tedesche che li spediranno direttamente ai forni crematori. Il film è un analisi molto sottile e molto intensa del nazionalismo, diciamo così, "cantonale". Imhoof eccelle in una rappresentazione molto sfumata e graduata che va dall´individuale al comunitario e da questo al nazionale. Come dire che Bigler, il fattore, la moglie e pochi altri personaggi simboleggiano il villaggio e il villaggio simboleggia la Svizzera. A loro volta i profughi, con le loro false parentele e la loro atomizzazione simboleggiano la sorte delle masse disperse dalla persecuzione razzista." - Alberto Moravia, Un villaggio come metafora di una nazione, «L´Espresso».
Per la cronaca: Svizzera-Nigeria 0-1