Melamente assorto

Your psychosis, our passion


Ma si, in fondo sono solo "balordi" isolati, schegge impazzite, "giovinastri" da "rieducare". Il calcio non c'entra, la destra fascista non c'entra, le ronde notturne non c'entrano, arancia meccanica non c'entra, la cultura leghista non c'entra, i muri eretti a Padova non c'entrano, la fobia e l'odio contro "l'altro" non c'entrano, la rabbia e la paura coltivate in vitro per vincere le elezioni non c'entrano, l'opulento razzismo che insozza ormai gran parte del nord Italia non c'entra, l'ignoranza e il qualunquismo che diventano orgogliosi di loro stessi non c'entrano, la violenza e il disprezzo nelle parole dei comizi non c'entrano. Niente deve entrare con niente, pur di poter continuare a dare la colpa di ogni cosa "all'altro". E a concimare il nostro terreno con il letame migliore, quello "doc", quello a base di paura. Ed infatti ecco qui i giovani virgulti che ci donano gia' i primi frutti.Una sola ideologia: guerra al "diverso" - Paolo Colonnello - La StampaVerona - Il biondino e i suoi amici si muovevano come una banda di Arancia Meccanica negli ambienti degli skinheads fronte Veneto e dei neofascisti, sperando d’incontrare se non proprio il plauso della città, per lo meno la sua indulgenza. Chè Verona si sa, è sempre stata
una città nera. E ricca. E gelosa di sè. E se anche il sindaco leghista Falvio Tosi adesso invoca «pene esemplari» , si capisce che il Biondino e i suoi amici in fondo erano funzionali a una certa cultura. «Che poi è un modo di pensare - dice il procuratore Guido Papalia - molto diffuso di questi tempi che esclude il diverso, chi non si veste come noi, non mangia come noi, non parla con il nostro accento, in difesa di un sistema ritenuto semplicemente migliore di altri e dunque da difendere anche con la violenza. E’ un modo di sentirsi rassicurati ancorandosi a cose che invece andrebbero analizzate più approfonditamente. Non è un problema solo di polizia. E’ questione di educazione che dovrebbe portare a pensare che è l’inclusione quella che paga. Non l’esclusione». Invece il Biondino e gli amici stavano proprio in questa logica. Anche loro di ronda - che oggi va tanto di moda - per punire «i diversi», «quelli che sporcano», quelli che offendono «il decoro del nostro bel centro». Quelli che non ci garbano, in definitiva. Che, come si sa, sono sempre tanti e affollano impuniti le nostre paure. E allora, giù botte. Come a Nicola Tommasoli il grafico di 29 anni massacrato a pugni e calci e ridotto in fin di vita per essersi rifiutato l’altra notte di offrire una sigaretta. «Anche lui - spiega il procuratore aggiunto di Verona, Mario Schinaia - era stato individuato come un diverso. A loro bastava trovare qualcuno che magari aveva semplicemente i capelli lunghi e volavano schiaffi». Quasi ogni sabato, con la bella stagione, a pattugliare strade e piazze storiche, a prendere a schiaffi «i negri» ma anche «i terroni», come i tre parà picchiati mesi fa perchè «parlavano meridionale». O il ragazzo con la maglietta del Lecce massacrato di botte «perché terrone». O quello picchiato in piazza delle Erbe perché sedendo su alcuni gradini «danneggiava l’immagine di Verona, città di classe». O la vita resa impossibile ai venditori di khebab. Tutte
scuse, per nascondere il vero obiettivo: la violenza fine a se stessa. «Una violenza programmata, per difendere quello che consideravano il loro territorio - sottolinea Schinaia - sono tutti di una certa area ma alla fine l’ideologia o l’appartenenza a gruppi politici definiti conta poco. La cosa vera che li unisce è la caccia al “diverso” da loro. Ed è questa l’unica ideologia. Tanto che per questo ripetersi delle aggressioni, avevamo ipotizzato l’esistenza di un nuovo gruppo organizzato, ancor più pericoloso di altri per questo fine esclusivo di violenza». La scorsa estate la banda di neofascisti era stata fermata dalla Digos e identificata: 17 giovani in tutto, alcuni rampolli della buona borghesia, altri figli di operai. Molti legati agli ultrà dell’Hellas Verona, quasi tutti trovati con simboli nazisti e fascisti in casa. Il Biondino, ovvero R.D., 19 anni, studente, capelli castani chiari, si era distinto come uno tra i più attivi e violenti, destinatario perfino di una diffida a non entrare allo stadio. La notte del primo maggio R.D. non era nemmeno ubriaco. «Noi non ci droghiamo, non beviamo, siamo gente a posto», ha raccontato nell’interrogatorio-confessione reso ieri dalle 8 alle 12 nella questura di Verona. Ma sì, un bravo ragazzo senza vizi, come tanti da queste parti. Come i due di Ludwig, ricorda ancora il procuratore Schinaia, anche loro «figli della buona borghesia, laureati, perbene. Pensavano di ripulire il mondo uccidendo le persone». Il pm Rombaldoni, il capo della Digos e il colonnello dei carabinieri aspettavano R.D. da qualche ora. Individuato dalle indagini, pressato dai genitori, incalzato dal suo legale, dopo aver passato tre giorni fuori casa, non si ancora bene aiutato da chi, sentendosi il fiato sul collo, alla fine si è costituito. Si è presentato col suo legale, Roberto Bussinello, candidato sindaco per Forza Nuova alle scorse elezioni. Per confessare ma solo in parte, ammettendo di aver dato pugni e calci ma senza ricordare «di aver colpito quel ragazzo quand’era a terra»; confermando i nomi di almeno due dei complici, già individuati, ma senza fare il nome degli altri due perchè «di loro non voglio parlare». Eppure ha esordito dicendosi «dispiaciuto», «spaventato dalle conseguenze» del suo gesto.