Melamente assorto

Carthago delenda est


Se il PD calpesta le sue stesse regole"E’ passato poco più di un anno da quando la nomenklatura dei Ds e della Margherita riuscì a convincere Walter Veltroni a fare il segretario del nuovo Partito Democratico, lasciando la confortevole poltrona di sindaco di Roma. Marini, D’Alema, Rutelli, Fassino and company non erano animati da speciale predilezione per Veltroni, ma la situazione del governo Prodi appariva loro disperata dopo un pessimo risultato elettorale nelle amministrative della primavera 2007. Consideravano “bollito” il presidente del consiglio e fallita la coalizione di governo. Su tutto il resto si dividevano: dalle ricette economiche al sistema elettorale, dai rapporti con l’establishment a quelli con la Chiesa. Convennero, però, che nonostante la sua leggerezza Veltroni fosse il miglior sostituto possibile di Prodi, in quanto avrebbe colmato il deficit di comunicazione con l’avversario Berlusconi. Proprio così: Veltroni fu scelto nella tenue speranza di rivincere le elezioni (o più probabilmente di perderle “bene”) grazie alla sua abilità nella comunicazione, comparabile se non superiore a quella di Berlusconi. Il sindaco di Roma sapeva che l’impresa era disperata, e si negava. Ce l’aveva con Prodi per la sua pretesa di ricandidarsi nel 2006: lui era sicuro che avrebbe fatto meglio, se Prodi gli avesse ceduto il passo. Infine cambiò idea e accettò l’incarico quando verificò che la richiesta di sostituire Prodi veniva da tutte le correnti della nomenklatura: fu allora che Bersani ritirò la sua candidatura e venne confezionato un astruso regolamento delle primarie per consentire che tutti quanti potessero accomodarsi sulla scialuppa Veltroni anche se la pensavano diversamente (lì c’ero anch’io, votai contro quel regolamento e poi appoggiai Rosy Bindi rimasta fuori dal pateracchio). Quello a mio parere fu il primo errore di Veltroni: pensare che l’unità del nuovo partito richiedesse il pateracchio dei soliti noti, e che lui al massimo avrebbe potuto affiancare loro qualche “giovane”. Un anno dopo, gli stessi che lo prescelsero organizzano correnti con cui prendono le distanze in vista della sua successione, perché scommettono sulla sua prossima sconfitta alle europee del 2009. Sepolto anzitempo il governo Prodi, e dunque incoraggiata pure la sinistra di Bertinotti a una separazione consensuale ma suicida, il progetto di Veltroni si è caratterizzato per un anno di inseguimento della destra sul suo stesso terreno. Si è convinto che il veltronismo rappresentasse di per sé un valore aggiunto, come e più del berlusconismo, dimenticando che il veltronismo è solo un fenomeno mediatico mentre il berlusconismo rappresenta un pezzo della società italiana. Sulle tasse, sulla sicurezza, sui romeni, perfino sulla Card destinata ai più poveri, ha trasmesso il messaggio: io saprò fare, meglio di lui, quel che Berlusconi vi promette. Quest’ultimo ha sorriso, ringraziato, perfino accennando una specie di dialogo. Poi, sulle ceneri del governo Prodi, ha calato il suo asse pigliatutto. Veltroni a un certo punto si era generosamente illuso di vincere, invece ha vissuto uno sconfitta di quelle in cui oltre che perdere la sinistra italiana rischia anche di perdersi. Io non credo che il Partito Democratico sia destinato alla scomparsa: è l’unico progetto sensato di modernizzazione riformista per un paese come l’Italia. Ma oggi vedo i suoi dirigenti perseverare nell’errore. Si dividono fra chi vuole il sistema proporzionale per allearsi con l’Udc e/o la sinistra radicale; e chi vuole il maggioritario da consolidare facendo le riforme con il Pdl. Nel frattempo votano tutti insieme la nuova direzione, evitando accuratamente di confrontare le diverse opzioni e di contarsi. Calpestano l’idea-guida del nuovo partito, che dovrebbe essere un partito fondato sulla sovranità dei cittadini attraverso le primarie: perché l’opacità delle trattative di vertice può reggersi solo sulla trasgressione delle procedure democratiche. Esattamente come gli altri partiti italiani, oggi il Pd non supererebbe una verifica di regolarità dei suoi deliberati di fronte a nessun tribunale civile. Con l’aggravante che il Pd, a differenza degli altri, si era giustamente proposto come partito della cittadinanza attiva e come antidoto alla crisi della democrazia. Archiviato il dialogo con Berlusconi; offuscate le differenze con la destra su questioni fondamentali come l’immigrazione, la sicurezza, le politiche sociali; calpestate le sue stesse regole innovative: il Partito democratico passa di sconfitta in sconfitta. E continuerà così finchè non riuscirà a liberarsi di una classe dirigente rivelatasi drammaticamente inadeguata." - Gad Lerner