Melamente assorto

Ma non era un raffreddore


Mi fanno quasi tenerezza lo sconcerto e il dolore, mascherati un po' goffamente con frasi alla Rossella 'O Hara in "Via col vento", che visibilmente traspaiono dai vari editoriali e commenti circolanti in questi giorni per siti e blog Mac-centrici. La notizia e' quella
arcinota: l'addio di Apple alle storiche kermesse-appuntamenti con i suoi Macfan di tutto il mondo, e in particolare l'addio al MacWorld. Gia' il titolo della manifestazione in se', dice quanta importanza essa abbia sempre rivestito nell'immaginario collettivo della comunita' Mac-addicted. Un pezzo di storia dell'informatica che scompare; un'era che finisce. E viene reso tanto piu' amaro da bere, quel calice, dalla concomitante e misteriosa assenza, annunciata in zona Cesarini (pur se preconizzata dagli osservatori piu' accorti), del padre-padrone della multinazionale californiana: Steve Jobs. D'altra parte e' stata ineludibile anche per i piu' superstiziosi, l'evidenza piu' che la sensazione, di un nesso causale tra i due eventi. Certo questo sarebbe stato comunque uno degli ultimi MacWorld. La crisi mondiale e la conseguente necessita' di abbattere i costi hanno gia' decimato questo tipo di manifestazioni in casa Adobe e altrove; ma nulla riesce a scacciare la spiacevole consapevolezza che, se Jobs fosse stato in condizioni di salute decenti, la decisione non sarebbe stata presa. Non ora, comunque. Aggiungiamo che questo MacWorld, a detta della gran parte
degli utenti, e' davvero stato poco piu' che un bluff. Nessun prodotto realmente innovativo (d'altra parte sono anni che Apple non introduce reali novita' in informatica; il prodotto piu' innovativo e' stato il MacBook Air: un portatile ultrafino, ultracostoso e ultramonco) o anche solo "nuovo" s'e' visto. Il risultato e' quello di un diffuso sentimento di delusione, tra gli utilizzatori. Cio' dovrebbe preludere ad una progressiva presa di coscienza (per chi pervicacemente non ha voluto prenderne atto da almeno tre anni a questa parte) della direzione che Apple sta prendendo sempre piu' chiaramente: quella che porta alla lenta e progressiva dismissione del Macintosh. A confermarla, ancora una volta, lo spettacolo di questo MacWorld, dove hanno sfilato in pompa magna prodotti che in altri tempi non avrebbero meritato piu' di un'inserzione pubblicitaria sulle riviste specializzate. Nulla, se non ulteriori release di software che hanno gia' detto praticamente tutto cio' che avevano da dire, oltre che la versione a schermo da 17 pollici del MacBook Pro (mancante da tempo dalla gamma). Il cambiamento eclatante del portatile "ammiraglio" di Cupertino e' stato quello di rendere la batteria inamovibile. Per sostituirla occorrera'
infatti rivolgersi (a pagamento, ovviamente) al servizio assistenza Apple. Questo perche' la batteria e' di nuova concezione e "dura tanti anni". Cosi' dicono (chissa' perche', pero', Apple la garantisce solo per un anno). Per il resto,  disco a 7200 giri a pagamento, schermo opaco a pagamento, telecomando a pagamento,  niente FireWire 400, una sola FireWire 800, cavetti per l'uscita video (proprietaria, chiaramente) a pagamento, niente DVD BlueRay.. e 2500 euro per il modello base, grazie. In un mercato dove un portatile Intel non Apple di piu' pari caratteristiche costa circa la meta', dire "siamo fuori dalla realta'" pare ormai piu' che generoso: scontato. Ma non e' questo il punto sul quale voglio soffermarmi oggi, quanto quello della vexata quaestio: lo stato di salute del CEO di Apple, e quindi (dato che egli ha cosi' poco saggiamente legato a doppio filo l'azienda ai propri personali destini) il futuro stesso dell'intera compagnia. Ricapitoliamo, tanto per tracciare una cronologia dei fatti e delle dichiarazioni rilasciate in questi mesi sotto la pressione dei clienti, dei media e degli investitori. 11 Giugno 2008: "Si, e' smagrito ma non e' malato; sono pettegolezzi da menagrami. Si tratta solo un raffreddore". 23 Luglio: "Steve Jobs e' okay, biechi sciacalli speculatori vergognatevi!". 28 Luglio 2008: "Ribadiamo, Steve Jobs sta bene. Si, e' stato malato, ma niente di grave." 10 Settembre 2008: "La mia malattia?
Non esiste, si tratta solo di speculazione finanziaria". 16 Dicembre 2008: "Steve Jobs assente al MacWorld. Forse ha davvero problemi di salute". 17 Dicembre 2008: "Se Steve Jobs e' malato, il giornalismo lo e' piu' di lui (perche' se ne occupa)". 3 Gennaio 2009: "Apparizione di Steve Jobs in buona salute, dentro yogurteria" (ebbene si, ad alcuni appare come la Madonna). 5 Gennaio 2009: "E' vero, sono malato, ma e' solo uno scompenso ormonale, mi sto curando e tornero' presto". Insomma non era raffreddore, dopotutto. Ora, ma non certo da ora, viene da chiedersi: ma perche' sparare queste balle indecenti? Che bisogno c'era? E sopratutto: stavolta avra' detto la verita'? Certo e' che un numero crescente di utenti resta perplesso e deluso da questo inspiegabile atteggiamento, oltre che dai "nuovi" prodotti informatici, e' evidente. Certo e'' ovvio, nemmeno occorrerebbe sottolinearlo, che sta a Jobs e a lui solamente decidere se e fino a che punto informare i media sul proprio stato di salute; e' un suo sacrosanto diritto. Ma e' altrettanto ovvio che esiste il diritto di chi e' coinvolto, volente o nolente, nell'ecosistema Apple (utenti, investitori e indotto) di pretendere che, nel comunicare verso l'esterno, Apple dimostri un minimo di onesta' e di rispetto per la verita' dei fatti; in modo che chi lavora con questi strumenti abbia per un minimo la possibilita' di programmare il proprio futuro professionale e finanziario; e sopratutto che non venga meno quello che resta del rapporto di fiducia che lega il cliente Macintosh alla casa madre. Insomma, per dirla senza mezzi termini, se Steve Jobs vuol tacere il suo stato di salute, lo taccia pure; ma per favore adesso basta con queste patetiche bugie.