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Vent'anni dopo

Post n°368 pubblicato il 18 Maggio 2008 da MacRaiser

Marco Travaglio ha fatto "outing", dichiarando di aver votato Antonio Di Pietro. Un voto coerente e conseguente, per una dichiarazione la cui trasparenza (anche se un po' a scoppio ritardato, e forse si capisce perche') ha fatto venir voglia anche a me di farne una mia, altrettanto chiara. Non dichiarero' pero' il mio voto alle scorse elezioni, dato che lo preannunciai gia' prima che le urne fossero aperte, ma a quelle dell'ormai lontano Giugno 1984. Ebbene si, io sono uno dei 400mila che sulla scheda per le elezioni al parlamento europeo scelsero il nome di Enzo Tortora. E certo mi biasimeranno senza pieta' i telepredicatori e vaffanculanti odierni; quelli del: "Parlamento pulito. Fuori gli inquisiti dal parlamento", dato che io votai per ottenere l'effetto esattamente opposto: "sporcare" il parlamento europeo con uno "spacciatore di cocaina per conto della camorra", un "cinico mercante di morte". Fanno vent'anni oggi dalla sua scomparsa e la bagarre Travaglio mi torna sincronizzata e utile per ricordare una vicenda che supero' letteralmente i limiti dell'immaginazione, e che seguii passo passo, addirittura ascoltando molte udienze del processo di primo grado contro la nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, alla quale Tortora era accusato di essere affiliato. Riguardando indietro a tutta quella vicenda, quando tutti gli ex magistrati (poi politici) alla Di Pietro (un suo omonimo fu l'uno dei "macellai" di Tortora, l'altro si chiamava Di Persia), tutti gli ex comici (pseudo-politici) alla Beppe Grillo e tutti i (con rispetto parlando) giornalisti (politicantemente corretti) alla Marco Travaglio, erano non solo convintamente colpevolisti, ma sponsor del criminale impianto accusatorio, basato sulla evidente subornazione dei pentiti, imbastito dall'allora procura "fogna" di Napoli, oggi non posso nascondere una certa dose di orgoglio. E forse una puntina di presunzione, perdonerete, nel dire a chi emette alti lai in difesa di questi epigoni (e non solo) del giornalismo giudizial-forcaiolo e dei loro fiancheggiatori togati, deputati, comiticizzati e non: attenti a chi difendete oggi. Probabilmente di questa difesa, diversamente da quanto ora accade a me, vi dovrete vergognare domani.


"Signor Presidente della Repubblica, non le sottopongo il caso di un mio collega, ma quello di un cittadino. Non auspico un suo intervento, ma non saprei perdonarmi il silenzio. Vicende come quella che ha portato in carcere Enzo Tortora possono accadere a chiunque. E questo mi fa paura". - Enzo Biagi

"Ci conoscemmo ai tempi della Lega Italiana per l’Istituzione del Divorzio (LID), che Tortora fu tra i pochissimi ad aiutare in modo militante al momento giusto. Eravamo poi divenuti sufficientemente amici da esser ospite di Enzo, alcune volte, nei miei passaggi milanesi. Una sera quasi altercammo. Enzo era stato amico del commissario Luigi Calabresi, con il quale anch’io avevo avuto occasioni sporadiche di incontro e di dialogo, ma amico ero stato soprattutto di Pino Pinelli. Pino era morto da poco, Calabresi non era stato ancora assassinato. Non avevo certezze, se non una: Pino era entrato in piene condizioni di salute in Questura, ne era uscito cadavere. Per Enzo la sua morte non poteva che esser dovuta a suicidio o a un mero incidente. “Se dovessi pensare che in uno Stato come il nostro, e da parte di un cittadino e di un poliziotto come Calabresi, una qualsiasi altra spiegazione possa esser fornita, mi crollerebbe il mondo addosso.” Come sappiamo , gli crollò. Per anni non ci vedemmo più tranne nel 1979 quando mi invitò ad una delle sue “tribune elettorali”, consistenti in un dialogo fra lui “barbiere” ed il politico suo cliente, dal quale egli esclude qualsiasi riferimento ai problemi della giustizia e delle legislazioni dell’emergenza, che pure sempre più avevano caratterizzato la nostra e la mia azione. Ma il clima, l’atmosfera anche prima e dopo l’intervista furono da parte sua più che cordiali, affettuosi. Mi scrisse da Regina Coeli, poi dal carcere di Bergamo, ricevendo la nostra lite di un tempo (“vivevo in un altro mondo, che non c’era…”), sgomento e tramortito, nell’incubo riuscito di una epopea della giustizia italiana. Camorristica e partitocratica, corrotta intellettualmente prima ancora che moralmente, stragista e profittatrice, in perfetta osmosi con il ceto politico dominante, malgrado che al suo interno, più ancora forse che da noi, si manifestassero resistenze e oppressioni verso centinaia e centinaia di magistrati capaci ed onesti, troppo spesso tentati e vinti dalla rassegnazione e dalla rabbia. Non ebbi pregiudizi, nè nei suoi confronti ed a suo favore, nè contro i magistrati. Nè me li chiese, o mi rimproverò di non averne avuti. Il mondo carcerario, le ordinarie storie dei carcerati e di imputati, cominciarono ben presto, mediati e arricchiti dalla sua cultura, che era autentica e autenticamente illuminista e liberale, a fargli ripetere il voltairriano “tali le carceri, tale il Paese”, o la goethiana verità sui mostri prodotti nel mondo dai sonni della ragione. Giravamo, noi radicali, nelle carceri, da sempre e - allora - da soli. Accumulammo informazioni, atti di giustizia, che studiavamo. Eravamo ancora impegnati a ottenere i processi per gli imputati del “7 aprile”, ed Enzo ne scopriva la verità, non dissimile per molti versi da quella che lo aveva investito come un ciclone caraibico, divellendolo come un fuscello. Ancora cinque mesi dopo il suo arresto, sulla stampa ed alla televisione, grandinavano calunnie, diffamazioni, falsità. Il festival turpe dei “pentiti” subordinati, ricattati, nutriti, unica fonte giornalistica per quasi tutte le testate, incalzava, lo “pugnalava”, in “una immonda Piedigrotta”, mentre i muri delle sue celle divenivano riedizione delle pagine kafkiane, di Castelli e di Processi mortali. Dalle sue lettere, i tasselli del puzzle si componevano via via con gli altri: la tangentopoli napoletana del dopo terremoto, del Valenzi II, del caso Cirillo, di questo spostarsi sul fronte napoletano e campano del golpismo piduista, di “unità nazionale”, dello scalfarismo sfascista, dopo l’esito per loro disastroso del “caso d’Urso”, l’azione terroristica ed i disegni folli del terrorismo di Senzani, la necessità di un diversivo di taglia, adeguato, per depistare e il dibattito e lo scontro politico, e la feroce spartizione dell’immenso bottino finanziario e di potere e sottopotere delle sovvenzioni statali nell’universo camorristico dei ceti dominanti a Napoli, in Campania, per tanta parte a Roma. Di tutto questo Enzo, a lungo, restò all’oscuro, non metabolizzando il suo organismo intellettuale e fisico una così complessa realtà politica di regime; in un certo senso egli restò costretto ad una simbiosi con l’universo giudiziario e criminale, giornalistico e televisivo, che ogni giorno lo sottoponevano puntualmente a tortura. Perchè egli era altro che innocente. L’innocenza di un individuo, in genere, pur sempre s’inquadra in un contesto nel quale in qualche misura egli vive, egli passa o è passato. E’, insomma, colui che interpreta il ruolo dell’innocente in un dramma dove i colpevoli sono altri, ma che è pur sempre dramma comune. Invece Enzo era totalmente, antropologicamente, esistenzialmente, sul piano della cronaca, “estraneo”, “alieno” alla vicenda ed ai fatti, misfatti, invenzioni, crimini in cui l’avevano coinvolto. Magistrati, giornalisti, pentiti, testimoni, opinione pubblica di regime, avvocati, coimputati, “innocenti” e colpevoli, “omonimi” e politici coinvolti, potevano esser tutto, fuori che “estranei”, come lui. Incapace quindi di capire l’insieme, inchiodato a scoprire ogni volta, sgomento, la nullità, l’impossibilità di ogni nuova accusa, che viveva invece, immediatamente, con la forza di una condanna. Riacquistò forza e intelligenza adeguate solo dopo che lo strappammo dal carcere, lo volemmo eletto al Parlamento europeo, occupammo il suo spazio, la sua casa, i suoi giorni, vivemmo e facemmo vivere il suo processo come nostro, e di tanti. Leonardo Sciascia s’era convinto anche prima di me, di molti di noi, non solamente della mostruosità dell’intera vicenda, ma della assoluta innocenza di Enzo. Tortora parlamentare europeo, esponente politico, militante del Partito Radicale, imputato non connivente nemmeno con le “prudenze” processuali e tattiche, cui quasi tutti si rassegnavano e si rassegnano nel processo italiano, ha dato vita a comportamenti che il nostro Paese non ignora ma non comprende ancora. Ne ha nozione, non conoscenza. Si sa, ma non si comprende cosa questo significhi, abbia significato, che, secondo la tradizione del Partito Radicale e della nonviolenza, ma in un contesto senza precedenti per gravità, egli si dimise dal Parlamento europeo per protesta contro il voto assolutamente unanime, scandalizzato, veemente, contrario alla autorizzazione a procedere contro di lui, ed al suo arresto, emesso da parlamentari di dodici Paesi, e di ogni famiglia politica. E tornò in tal modo agli arresti domiciliari, dopo esser stato condannato da un plotone di esecuzione più che da un Tribunale di un Paese civile come “cinico mercante di morte”, camorrista e via bestemmiando, mentre quasi tutti temevano un giudizio di appello e di cassazione di ordinaria ingiustizia. Vivemmo insieme da compagni, da colleghi, da fratelli. Dissentendo spesso nelle analisi, nelle opportunità da scegliere, specie per quel Partito Radicale che egli finì quasi per amar troppo, tanto gli pareva impossibile che il regime corrotto e corruttore, violento e antidemocratico per tanti versi, potesse avere la stessa feroce efficacia che aveva avuto conto di lui, anche contro quel suo Partito. Egli restava in verità disarmato rispetto alla concreta, specifica nequizia di questo tempo, di questa società. Si alternavano in lui disperazione e entusiasmi, dinanzi alle cronache italiane. L’ignobile, e anticostituzionale, “legge Vassalli” che ha liquidato il risultato referendario sulla giustizia giusta e la responsabilità civile dei magistrati, autentico anche se marginale “colpo di Stato” avallato dal Presidente Cossiga, gli inferse l’estrema pugnalata. L’80 per cento del Paese gli aveva dato ragione e giustizia e speranza. Con un colpo di spugna tutto era tornato come prima, peggio di prima. O così gli apparve. Ma non volle andarsene rassegnato, battuto. Così scrivemmo insieme un appello ed un articolo che il Corriere della Sera pubblicò annunciando la costituzione di una “Fondazione Enzo Tortora” volta a assicurare in Italia ed in Europa quella difesa ed affermazione dei diritti fondamentali, a cominciare da quelli alla propria immagine, alla propria identità, alla propria onorabilità e reputazione per ogni persona, senza i quali non v’è vita civile e democratica possibile in una società contemporanea. Volta anche -nelle sue e nostre intenzioni- a lanciare un “premio Nobel” per la giustizia che, incredibilmente, manca nel mondo. Per anni abbiamo cercato di ottenere che questa Fondazione vivesse, avesse aiuti ed incoraggiamenti adeguati. Il 30 giugno dovremo invece, probabilmente, annunciarne la scomparsa. Perchè il Paese, i suo intellettuali, i suoi “partiti”, le sue forze “democratiche e civili”, le sue istituzioni, anche, l’opinione pubblica, disinformata, non hanno mostrato alcun interesse. La “Fondazione” doveva anche occuparsi di salvaguardare sul piano giudiziario la onorabilità e la memoria di Enzo. Epoca, i suoi lettori, ci aiuteranno ad impedire quest’altra pugnalata?" - Marco Pannella

P.S. Nessuno dei magistrati coinvolti in primo piano nella vicenda Tortora e istruttoria/assise Processo NCO, ha mai pagato per i propri errori e colpe. Essi hanno anzi proseguito nel loro iter all'interno della magistratura, raggiungendone in alcuni casi, i gradi piu' alti e delicati di potere e responsabilita'.

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Commenti al Post:
tonya800
tonya800 il 18/05/08 alle 09:27 via WEB
la giustizia purtroppo è fatta dagli uomii e in quanto tale è imperfetta, io sono per la libertà di parola ma anche per la libertà intelligente e non il smeplice sparare su questo o su quello, forse però in Italia dovremmo imparare proprio ad essere più attenti e vigili , perchè rifacciamo sempre gli stessi errori e guardiamo sempre al passato pronti a giustiziare anche chi è mosso da ragioni diverse.
 
 
MacRaiser
MacRaiser il 18/05/08 alle 11:23 via WEB
Ciao, Tonya :)
 
springfreesia
springfreesia il 18/05/08 alle 10:47 via WEB
Bel post:-) Serena domenica. Lucia
 
 
MacRaiser
MacRaiser il 18/05/08 alle 11:23 via WEB
Grazie :D Ciao, Springy :)
 
magdalene57
magdalene57 il 18/05/08 alle 11:13 via WEB
Non conoscevo bene questa storia, non così dettagliatamente, per questo, grazie Mac. A margine annoto che la Forleo ha fatto proprio una gran bella carriera... costellata di momenti altissimi, direi..:-(( ciao..***
 
 
MacRaiser
MacRaiser il 18/05/08 alle 11:24 via WEB
Gia'.. quella della Forleo non la sapevo neppure io. Non si finisce mai d'imparare. Ciao, Maggie :) *
 
72rosalux72
72rosalux72 il 18/05/08 alle 16:45 via WEB
non conoscevo bene nemmeno io questa storia, molto interessante quello che hai postato. io mi ricordo soltanto il ritorno in tv di tortora, col suo "dove eravamo rimasti?". portobello era il mio programma preferito. ps: però non credo che travaglio sia colpevolista, io i suoi libri li ho letti quasi tutti, e se ti riporta le confessioni dei politici che sono finite negli atti giudiziari, secondo me fa solo un servizio ai cittadini. quello di informarli. ciao
 
 
MacRaiser
MacRaiser il 18/05/08 alle 17:32 via WEB
Se c'e' una cosa che questa vicenda ha insegnato, e' che piu' il giornalista, nello scrivere, e' mosso dal sacro fuoco della "verita'" e dalla buonafede, piu' devastante e' il danno che sara' in grado di fare. Paolo Gambescia docet. Riportare semplicemente gli atti giudiziari NON e' fare il giornalista. Tantomeno lo e' usare gli atti della pubblica accusa come fossero vangelo. Non perche' la Procura non abbia diritto a pubblicare cio' che la legge consente, ma perche' il giornalista non DEVE avere un vangelo. La ricognizione dei cassetti del sostituto la puo' fare qualsiasi segretario di cancelleria, Rosa; non c'e' bisogno di avere il tesserino. Il giornalismo deve saper coltivare qualche altra e "alta" qualita', ti pare? Ti rimando agli articoli che ho riportato, nei post precedenti, di Giuseppe D'Avanzo su Repubblica. Essi rappresentano, secondo me, tanto un vademecum del BUON giornalista, quanto una impietosa requisitoria contro il "travaglismo", che e' cosa completamente diversa. Ciao :)
 
   
72rosalux72
72rosalux72 il 19/05/08 alle 22:09 via WEB
travaglio e d'avanzo sono due ottimi giornalisti, ma qualche volta sono uomini prima che giornalisti ed entrambi sono incappati in polemiche sbagliate. travaglio ha pagato discrete multe in sede civile, ma resta la sua opera di denuncia - che sarà pure d'archivio, ma se nessuno la racconta, beh. d'avanzo ha fatto un lavoro straordinario sul sismi e sulle fonti citrulle, impagabile. poi si è lasciato prendere da brighe personali e ha tirato addirittura in ballo una vacanz ain sicilia di travaglio, ipotizzando che, forse, forse, poteva essere stata pagata da gente che aveva rapporti con la mafia. ecc..
 
     
MacRaiser
MacRaiser il 19/05/08 alle 22:34 via WEB
Rosa, non e' cosi'. D'Avanzo ha semplicemente dato una dimostrazione del metodo Travaglio. Facendoglielo sentire sulla pelle. E ti assicuro che ad Annozero gli si leggeva in faccia, mentre si difendeva accanitamente, che ha accusato il colpo. Non e' in questione l'onesta' di Travaglio, ma il suo modo di manipolare i fatti. Ciao :)
 
     
quotidiana_mente
quotidiana_mente il 20/05/08 alle 10:33 via WEB
Anch'io ho letto l'articolo di D'Avanzo con la tua stessa ottica. Invece Annozero non l'ho visto.
Grazie per questo post dedicato ad Enzo Tortora: aiuta la memoria.
 
     
MacRaiser
MacRaiser il 20/05/08 alle 15:33 via WEB
Grazie a te per il commento, Quoti. Ciao :)
 
     
MacRaiser
MacRaiser il 20/05/08 alle 15:41 via WEB
Last but not least, Rosa.. questo meccanismo che si sta sempre piu' incardinando, del "damoje addosso che diventamo ricchi, potenti e famosi" (i tre esempi di Di Pietro, Grillo e Travaglio sono perfetti, in questo senso), francamente comincia ad inquietarmi parecchio. Di piu': a provocarmi un certo senso di nausea. Ciao :)
 
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ANTONELLA ANEDDA

Vedo dal buio
come dal più radioso
dei balconi.
Il corpo è la scure:
si abbatte sulla luce
scostandola in silenzio
fino al varco più nudo -al nero
di un tempo che compone
nello spazio battuto
dai miei piedi
una terra lentissima
- promessa

---

Perfino adesso vedo
un gesto nuziale
dopo l'immensa distanza
di questa estate lenta
nell'arco dei suoi steli amari
dopo gli anni che in avanti
hanno sbarrato l'amore
perche' non si perdesse
fino a perderlo
attutito contro l'erba.
Oggi e' una notte di pioggia
possiamo traversarla
in due diversi bagliori
senza luce
dire, toccando il gelido bordo
di un bicchiere,
che tanta lontananza
non e' stata un errore
se ha cinto e sciolto segretamente
ogni irreale desiderio.


---

Volevo che
il mio amore non finisse
che resistesse intero
in disaccordo
perfino col ricordo
e ignorasse il corpo
che da me si scostava
che ne ignorasse
distanza e indifferenza
e fosse cosa mia
doppiamente intrecciata
cesta di giunco e aria,
cesta per acqua
forma che la mano conosce
e che la storia medita quando
– così di rado
per questo raramente sacra –
salva un bambino dal suo Nilo.
Così a volte
fanno canestri i pazzi
per il silenzio – credo –
che sale dagli spazi
per quella paglia
che le dita oscurano
per quel nodo terreno
di aria e di materia.


---

Se ho scritto è per pensiero
perché ero in pensiero per la vita
per gli esseri felici
stretti nell'ombra della sera
per la sera che di colpo
crollava sulle nuche.
Scrivevo per la pietà del buio
per ogni creatura che indietreggia
con la schiena premuta
a una ringhiera
per l'attesa marina
- senza grido - infinita.
Scrivi, dico a me stessa
e scrivo io per avanzare
più sola nell'enigma
perché gli occhi mi allarmano
e mio è il silenzio dei passi,
mia la luce deserta
- da brughiera -
sulla terra del viale.
Scrivi perché nulla è difeso
e la parola bosco
trema più fragile del bosco,
senza rami né uccelli
perché solo il coraggio può scavare
in alto la pazienza
fino a togliere peso
al peso nero del prato.

 
Questa felicità promessa o data
m'è dolore, dolore senza causa
o la causa se esiste è questo brivido
che sommuove
il molteplice nell'unico
come il liquido scosso nella sfera
di vetro che interpreta il fachiro.
Eppure dico: salva anche per oggi.
Torno torno le fanno guerra cose
e immagini su cui cala o si leva
o la notte o la neve
uniforme del ricordo.

Mario Luzi

---

Venite pensieri
vi penseremo a fondo
ora che e' mattino.
La luce vi fa sembrare tanto forti
da raschiare il buio
come se avessimo un coccio
e la notte fosse cuoio.
C'e' un geco sul granito.
Il suo ventre oscilla
come acqua di fonte.
E' spaventato. E' attento.
Aspetta senza capire.
Come succede a noi
quando un saluto di colpo
si trasforma in addio

---


Che speri,
che ti riprometti, amica,
se torni per così cupo viaggio
fin qua
dove nel sole le burrasche
hanno una voce
altissima abbrunata,
di gelsomino odorano e di frane?
Mi trovo qui
a questa età che sai,
né giovane né vecchio,
attendo, guardo
questa vicissitudine sospesa;
non so più quel che volli
o mi fu imposto,
entri nei miei pensieri
e n'esci illesa.
Tutto l'altro che deve essere
è ancora,
il fiume scorre,
la campagna varia,
grandina, spiove,
qualche cane latra
esce la luna, niente si riscuote,
niente
dal lungo sonno avventuroso.

Mario Luzi

---

il vento
è un'aspra voce che ammonisce
per noi stuolo
che a volte trova pace
e asilo sopra questi rami secchi.
E la schiera
ripiglia il triste volo,
migra nel cuore dei monti,
viola scavato
nel viola inesauribile,
miniera senza fondo
dello spazio.
Il volo è lento, penetra a fatica
nell'azzurro che s'apre
oltre l'azzurro,
nel tempo ch'è di là dal tempo;
alcuni mandano grida acute
che precipitano
e nessuna parete ripercuote.
Che ci somiglia
è il moto delle cime nell'ora
- quasi non si può pensare
né dire -
quando su steli invisibili
tutt'intorno
una primavera strana
fiorisce in nuvole rade
che il vento
pasce in un cielo
o umido o bruciato
e la sorte della giornata è varia,
la grandine, la pioggia,
la schiarita.

Mario Luzi

---

Poco dopo si è qui come sai bene,
file d'anime lungo la cornice,
chi pronto al balzo,
chi quasi in catene.
Qualcuno sulla pagina del mare
traccia un segno di vita,
figge un punto.
Raramente
qualche gabbiano appare.

Mario Luzi
 
E’ pur nostro il disfarsi delle sere.
E per noi è la stria che dal mare
sale al parco e ferisce gli aloè.
Puoi condurmi per mano,
se tu fingi di crederti con me,
se ho la follia di seguirti lontano
e ciò che stringi, ciò che dici,
m’appare in tuo potere.
Fosse tua vita quella
che mi tiene sulle soglie
e potrei prestarti un volto,
vaneggiarti figura. Ma non è,
non è così. Il polipo che insinua
tentacoli d’inchiostro tra gli scogli
può servirsi di te.
Tu gli appartieni e non lo sai.
Sei lui, ti credi te.

Eugenio Montale

---

Sempre di nuovo,
benchè sappiamo
il paesaggio d'amore
e il breve cimitero
con i suoi tristi nomi
e il pauroso abisso silente,
dove per gli altri è la fine:
torniamo a coppie tuttavia
di nuovo tra gli antichi alberi,
ci posiamo sempre, di nuovo,
con i fiori contro il cielo.

Rainer Maria Rilke

---

Felicita’ raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede,
teso ghiaccio che s’incrina;
e dunque non ti tocchi
chi piu’ t’ama.
Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari,
il tuo mattino
e’ dolce e turbatore
come i nidi delle cimase.
Ma nulla
paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case.

Eugenio Montale

---

Il suo sguardo,
dopo tanto fissare,
e’ divenuto cosi’ stanco
che non puo’ accettare null’altro.
Per lei
e’ come se le sbarre
fossero migliaia,
e oltre le migliaia di sbarre:
nessun mondo.
Nel suo girare
in quel cerchio ristretto,
senza soste,
la sua potente falcata
diviene una danza rituale
attorno ad un centro,
dove una grande volonta’
si trova come paralizzata.
A volte,
le palpebre si sollevano in silenzio
ed una forma entra,
scivola attraverso
l’angusto silenzio tra le spalle,
raggiunge il cuore,
e muore.

Rainer Maria Rilke – La pantera

---

Gettava pesci vivi
a pellicani famelici.
Sono vita anche i pesci fu rilevato,
ma di gerararchia inferiore.
A quale gerarchia
apparteniamo noi
e in quali fauci…?
Qui tacque il teologo
e si asciugo’ il sudore.

Eugenio Montale
 

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MARIA LUISA SPAZIANI

Quelle labbra
ch'era peccato mordere
tanto infantili e tenere s'aprivano
(neve di sogno
non può il tempo sciogliere)
chiude un sigillo di divina cera.
Ma avete flauti eterni
come il mare,
o labbra più profonde della sera.

 

ANTONELLA ANEDDA

Dell'incedere a scatti di quell'uomo
che nella strada per Venaco
gridava dentro il sole
non s'e' mai detto nulla
nulla della camicia
strappata sulle ascelle
e dei piedi circondati di paglia
ne' della voce bruciata di francese.
Lo aspetto' l'inverno,
lo strinse nel ramo di una scala
lo spinse piano
col volto tra i vasi di gerani

---

Per trovare la ragione di un verbo
perché ancora
davvero non é tempo
e non sappiamo
se accorrere o fuggire.
Fai sera come fosse dicembre
sulle casse innalzate
sul cuneo del trasloco
dai forma al buio
mentre il cibo
s'infiamma alla parete.
Queste sono le notti
di pace occidentale
nei loro raggi vola
l'angustia delle biografie
gli acini scuri dei ritratti,
i cartigli dei nomi.
Ci difende di lato un'altra quiete
come un peso marino nella iuta
piegato a lungo, con disperazione.

---

Non esiste innocenza
in questa lingua
ascolta come si spezzano i discorsi
come anche qui sia guerra
diversa guerra
ma guerra - in un tempo assetato.
Per questo scrivo con riluttanza
con pochi sterpi di frase
stretti a una lingua usuale
quella di cui dispongo
per chiamare
laggiù perfino il buio
che scuote le campane.

 

PEDRO SALINAS

Non voglio che ti allontani,
dolore, ultima forma
di amare. Io mi sento vivere
quando tu mi fai male
non in te, né qui, più oltre:
sulla terra, nell'anno
da dove vieni
nell'amore con lei
e tutto ciò che fu.
In quella realtà
sommersa che nega se stessa
ed ostinatamente afferma
di non essere esistita mai,
d'essere stata nient'altro
che un mio pretesto per vivere.
Se tu non mi restassi,
dolore, irrefutabile,
io potrei anche crederlo;
ma mi rimani tu.
La tua verità mi assicura
che niente fu menzogna.
E fino a quando ti potrò sentire,
sarai per me, dolore,
la prova di un'altra vita
in cui non mi dolevi.
La grande prova, lontano,
che è esistita, che esiste,
che mi ha amato, sì,
che la sto amando ancora.

---

Quello che sei
mi distrae da quello che dici:
Lanci parole veloci,
pavesate di risa,
invitandomi
ad andare dove mi porteranno.
Non ti presto attenzione,
non le seguo: sto guardando
le labbra da cui sono nate.
Intanto guardi lontano.
Fissi lo sguardo laggiù,
non so in cosa, e già si precipita
a cercarlo la tua anima
affilata, come saetta.
Io non guardo dove guardi:
io ti vedo guardare.
E quando desideri qualcosa
non penso a quello che vuoi
nè lo invidio: è il meno.
Ciò che ami oggi, lo desideri;
domani lo dimenticherai
per un nuovo amore.
No. Ti aspetto
oltre qualsiasi fine o termine
in ciò che non deve succedere.
Io resto nel puro atto
del tuo desiderio, amandoti.
E non voglio altro
che vederti amare.

 

REINER MARIA RILKE

Niente è paragonabile.
Esiste forse cosa
che non sia tutta sola
con se stessa e indicibile?
Invano diamo nomi,
solo è dato accettare
e accordarci
che forse qua un lampo,
là uno sguardo ci abbia sfiorato,
come se proprio in questo
consistesse vivere la nostra vita.
Chi si oppone
perde la sua parte di mondo.
E chi troppo comprende
manca l’incontro con l’eterno.
A volte
in notti grandi come questa
siamo quasi fuori pericolo,
in leggere parti uguali
spartiti fra le stelle.
Immensa moltitudine

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Sii paziente verso tutto ciò
che è irrisolto nel tuo cuore
e cerca di amare le domande,
che sono simili
a stanze chiuse a chiave
e a libri scritti in lingua straniera.
Non cercare ora le risposte
che non ti possone essere date
poichè non saresti capace
di convivere con esse.
E il punto è vivere ogni cosa.
Vivi le domande ora.
Forse ti sarà dato,
senza che tu te ne accorga,
di vivere fino al lontano giorno,
in cui avrai la risposta.

 
Che io debba ricevere il castigo
neppure si discute. Resta oscuro
se cio’ accada in futuro oppure ora
o se sia gia’ avvenuto
prima che io fossi.
Non ch’io intenda evocare
l’esecrabile fantasma
del peccato originale.
Il disastro fu prima dell’origine
se un prima e un dopo
hanno ancora un senso.

Eugenio Montale

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Perfino adesso vedo un gesto nuziale
dopo l'immensa distanza
di questa estate lenta
nell'arco dei suoi steli amari
dopo gli anni che in avanti
hanno sbarrato l'amore
perche' non si perdesse
fino a perderlo attutito contro l'erba.
Oggi e' una notte di pioggia
possiamo traversarla
in due diversi bagliori senza luce
dire, toccando il gelido bordo
di un bicchiere,
che tanta lontananza
non e' stata un errore
se ha cinto e sciolto segretamente
ogni irreale desiderio.

Antonella Anedda


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Mia vita,
a te non chiedo lineamenti
fissi, volti plausibili o possessi.
Nel tuo giro inquieto
ormai lo stesso sapore
han miele e assenzio.
Il cuore che ogni moto tiene a vile
raro è squassato da trasalimenti.
Così suona talvolta nel silenzio
della campagna un colpo di fucile.

Eugenio Montale

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Volevo che
il mio amore non finisse
che resistesse intero
in disaccordo
perfino col ricordo
e ignorasse il corpo
che da me si scostava
che ne ignorasse
distanza e indifferenza
e fosse cosa mia
doppiamente intrecciata
cesta di giunco e aria,
cesta per acqua
forma che la mano conosce
e che la storia medita quando
– così di rado
per questo raramente sacra –
salva un bambino dal suo Nilo.
Così a volte
fanno canestri i pazzi
per il silenzio – credo –
che sale dagli spazi
per quella paglia
che le dita oscurano
per quel nodo terreno
di aria e di materia.

Antonella Anedda

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Se ho scritto è per pensiero
perché ero in pensiero per la vita
per gli esseri felici
stretti nell'ombra della sera
per la sera che di colpo
crollava sulle nuche.
Scrivevo per la pietà del buio
per ogni creatura che indietreggia
con la schiena premuta
a una ringhiera
per l'attesa marina
- senza grido - infinita.
Scrivi, dico a me stessa
e scrivo io per avanzare
più sola nell'enigma
perché gli occhi mi allarmano
e mio è il silenzio dei passi,
mia la luce deserta
- da brughiera -
sulla terra del viale.
Scrivi perché nulla è difeso
e la parola bosco
trema più fragile del bosco,
senza rami né uccelli
perché solo il coraggio può scavare
in alto la pazienza
fino a togliere peso
al peso nero del prato.

Antonella Anedda
 
Questo tetto che affiora dalla notte
ci protegge piu' di una croce o un santo.
Ora che improvvisamente piove
e' benedetto.
In un'abside di plastica bagnata
splende una pianta di ortensie azzurro-fuoco

Antonella Anedda

---

...
Soffiero' su quel viso
mischiando i suoi gesti
a quelli di amori passati,
prendendo i ricordi migliori
le poche frasi di ognuno
fino a costruire il mio Golem
il mio amore brucera' altissimo e ignoto
lungo la cappa del camino.
...

Antonella Anedda


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Vergine altera, mia compagna
t'arde un mistero negli occhi.
Non so se odio o amore
e' questa luce eterna
della tua nera faretra.
Con me verrai
finche' proietti un'ombra il corpo
e resti ai miei sandali arena.
La sete o l'acqua sei
sul mio cammino?
Dimmi, vergine altera,
mia compagna.

- Antonio Machado -

---

...
Pensi davvero che basti non avere colpe
per non essere puniti,
ma tu hai colpe.
L'aria e' piena di grida.
Sono attaccate ai muri,
basta sfregare leggermente.
Dai mattoni salgono respiri,
brandelli di parole.
...

Antonella Anedda
 

 

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