Memorie di una colf

Memorie di una colf. COTRAL.


Il paese è tra le nuvole. Cammino nella luce giallina dei lampioni e tutto pare circondato d’ovatta. L’unico rumore è il canto degli usignoli che saluta la notte che sta per andar via. Non c’è nessuno per le strade tranne me e la mia valigetta nera. Vado avanti, un passo dopo l’altro, tra rivoli d’acqua che corrono a nascondersi nelle fenditure dei tombini. Guardo in alto e non ci sono stelle. Intuisco la chioma dei pini ad ombrello e dal quel tetto verde si staccano, pigre, grosse gocce di pioggia. Incontro la vetrina di un bar. La stanza è vuota ma la luce è accesa. C’è solo un uomo con un grembiule bianco addormentato su una sedia, come se ieri sera, dopo aver chiuso, si fosse addormentato li dimenticando di avere una casa. Giro l’angolo e davanti ad una panchina lucida di pioggia ci sono tre persone. Nessuno parla, nessuno si muove, tutto sembra fermo in un eterno presente. Mi fermo anch’io e aspetto. Aspetto che il mondo si svegli. Che un paio di fari mi porti via. Aspetto….con le mani in tasca e i pugni chiusi.