Creato da mytridate il 09/02/2013
Dopo 130 anni la tipografia del Messaggero di Roma chiude. 33 esuberi, licenziamenti e 45 giorni soli per bloccarli. Ecco la nostra storia

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MESSAGGERO/Accordo pessimo ma tutto il CdR è stato in buona fede

Post n°59 pubblicato il 19 Febbraio 2013 da mytridate

MESSAGGERO/Accordo pessimo ma tutto il CdR è stato in buona fede

 

accordo cdr parte 2

Dallo stesso sito, e si parla della stessa cosa. Praticamente una risposta al messaggio precedente. Lo stile aziendale è lo stesso. Potrei essere d’accordo con quasi tutto, se non fosse per una frase:

” La direzione aziendale si muove da oltre quindici anni secondo una logica arrogante secondo cui il giornale guadagna (centinaia di milioni di euro dall’ingresso nel gruppo Caltagirone) perché i manager sono bravi, perde perché i giornalisti sono troppi.”

Va bene tutto, ma la direzione aziendale dice pure che perde pure perché i poligrafici sono troppi. Anzi, che sono morti e che di loro non ci si deve preoccupare. Ci duole dire che anche qualche giornalista che la pensa così.

“Alla trattativa – chiamiamola così solo per comodità lessicale – sullo stato di crisi, la direzione aziendale si è presentata deponendo sul tavolo una pistola carica: decine di richieste di cassa integrazione, già compilate, pronte da spedire al ministero del Lavoro.” stesso sistema applicato con noi. Anzi, con noi anche peggio.

MESSAGGERO/Accordo pessimo ma tutto il CdR è stato in buona fede

Gli accordi che segnano l’inizio dello stato di crisi al “Messaggero” sono pessimi. Anzi, non sono neppure accordi: un accordo è un patto liberamente stipulato fra due o più soggetti. Qui uno dei contraenti, il Comitato di redazione, è stato pesantemente ricattato dall’altro.

La direzione aziendale si muove da oltre quindici anni secondo una logica arrogante secondo cui il giornale guadagna (centinaia di milioni di euro dall’ingresso nel gruppo Caltagirone) perché i manager sono bravi, perde perché i giornalisti sono troppi.

Alla trattativa – chiamiamola così solo per comodità lessicale – sullo stato di crisi, la direzione aziendale si è presentata deponendo sul tavolo una pistola carica: decine di richieste di cassa integrazione, già compilate, pronte da spedire al ministero del Lavoro.

Dopo una strenua resistenza, la maggioranza del Comitato di redazione non se l’è sentita di far correre questo rischio a tanti colleghi, e ha firmato.

Una minoranza riteneva che si trattasse di un bluff, e ha preferito non firmare.

Non mi pronuncio su quale delle due posizioni sia da condividere: mi sono trovato in situazioni analoghe a quella, so fin troppo bene che è impossibile giudicare queste scelte.

Di una cosa sono assolutamente certo, ed è l’assoluta buona fede di tutti i membri del Cdr, che conosco a fondo. Hanno tutti agito secondo coscienza, e vanno tutti ringraziati per aver avuto il coraggio di assumersi delle responsabilità, di fronte a una controparte di cui la Federazione editori dovrebbe vergognarsi.

Michele Concina”

http://www.senzabavaglio.info/index.php?option=com_content&view=article&id=584%3Amessaggeroaccordo-pessimo-ma-tutto-il-cdr-e-stato-in-buona-fede-&catid=1%3Aultime&Itemid=37

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MESSAGGERO/ La crisi, i precari e le colpe del sindacato Leave a reply

Post n°58 pubblicato il 19 Febbraio 2013 da mytridate

MESSAGGERO/ La crisi, i precari e le colpe del sindacato

MESSAGGERO/ La crisi, i precari e le colpe del sindacato

Articolo di neanche un anno fa circa, che si riferisce all’accordo siglato dal CDR dei giornalisti, con l’avallo della Fnsi, che pur avevamo chiesto allora di contattare. L’articolo presente cita solo i danni per i giornalisti, non menziona il fatto (e tutto il CDR lo sapeva perché gli era stato detto), che quello stesso accordo (che di fatto prevedeva il trasferimento di diverse mansioni poligrafiche ai giornalisti) ha praticamente aperto la strada agli attuali licenziamenti dei lavoratori poligrafici del Messaggero. Ma ora è inutile recriminare contro i giornalisti, che per altro ora ci stanno appoggiando. E ‘ solo per far capire lo stile della dirigenza dell’azienda Messaggero.

 

“l Messaggero è in una gravissima crisi. L’editore ha chiesto il prepensionamento di 26 colleghi, che si aggiungono a quelli allontanati dalla redazione lo scorso anno durante l’ultimo stato di crisi.

Il declino della gloriosa testata capitolina comincia diversi anni fa. Si fa acuta nel 2009, quando, in occasione dello stato di crisi, il Cdr “duro” viene di fatto sfiduciato dalla redazione. Subentra un Cdr più accomodante, che firma un accordo in cui l’azienda dichiara, e il Cdr ne prende atto, che avrebbe considerato esuberi e messo immediatamente in cassa integrazione i giornalisti collaboratori che avessero vinto una causa e il giudice avesse ordinato l’assunzione come redattori del giornale a pieno titolo. *)

Quell’accordo fu oscenamente controfirmato dall’Associazione Stampa Romana (il segretario Paolo Butturini), dall’Assostampa Umbra e dalla Fnsi, cui abbiamo sempre rimproverato questo cedimento. Dopo tante contestazioni, se non altro Gigi Ronsisvalle, che controfirmò nel 2009 per il sindacato nazionale, ha ammesso onestamente che è stato un errore e ha promesso che non avrebbe mai più firmato una cosa del genere.

Questa volta però ha fatto peggio: nel nuovo accordo raggiunto in questi giorni, non c’è la clausola affonda-collaboratori-che-fanno-causa , ma si prevede la cassa integrazione per 24 mesi per 5 collaboratori che hanno il contratto articolo 2 a tempo indeterminato. Due anni in cassa integrazione, una bella botta per loro e anche per l’Inpgi.

Siccome non c’è scritto testualmente la parola “licenziamento”, la FNSI ha firmato. Nonostante il direttore generale del Messaggero abbia spiegato, se non altro onestamente, che fine l’azienda intende far fare a questi colleghi: dopo due anni di cassa integrazione, licenziarli. Ma non è finito: quest’ultimo accordo precarizza il lavoro, perché sull’organico a regime di 137 giornalisti articolo 1, la proprietà ha detto ha detto chiaramente che intende anche i contratti a tempo determinato (ex articolo 3 del contratto), e che non voleva specificare “a tempo indeterminato”.

Morale: i più deboli sono abbandonati da tutti. L’unico membro del CdR a difenderli fino alla fine è stato Fabio Morabito, ma ha solo potuto condividere la loro solitudine e non ha firmato l’accordo.

Racconta un collega del Messaggero: “Fabio ha lasciato la riunione finale consegnando un biglietto destinato agli altri membri del CdR. Non so cosa ci fosse scritto. E’ andato via senza stringere la mano a nessuno”.

G. A.

*) L’accordo del 2009 era su 38 esuberi dopo una richiesta iniziale di 48, ma siccome molti colleghi lasciarono il giornale con il famigerato articolo 33 del contratto (quello che dice che l’azienda può far cessare il rapporto di lavoro, in caso di determinati requisiti: 35 anni di contributi e 59 anni nel 2009, 60 nel 2010 e così via), alla fine le uscite furono 54, più 5 che erano già usciti dall’inizio della richiesta dello stato di crisi alla firma del ministero del Lavoro. Riepilogando: richiesta iniziale 48, uscite effettive 54 più 5, uguale 59. Undici uscite in più rispetto alla richiesta dell’azienda.

 

Senza Bavaglio”

 

http://www.senzabavaglio.info/index.php?option=com_content&view=article&id=582:messaggero-la-crisi-i-precari-e-le-colpe-del-sindacato&catid=1:ultime&Itemid=37

 
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CALTAGIRONE, UN UOMO SOLO AL COMANDO. I POTERI FORTI E L’EDITORE ROMANO CHE FA TREMARE LE GALASSIE DEL NORD

Post n°56 pubblicato il 19 Febbraio 2013 da mytridate

CALTAGIRONE, UN UOMO SOLO AL COMANDO. I POTERI FORTI E L’EDITORE ROMANO CHE FA TREMARE LE GALASSIE DEL NORD

http://www.legnostorto.com/index.php?option=com_content&task=view&id=…

 

CALTAGIRONE, UN UOMO SOLO AL COMANDO (PANORAMA)

 

 

giovedì 23 giugno 2005

 

POTERI FORTI: L’EDITORE ROMANO CHE FA TREMARE LE GALASSIE DEL NORD di Paolo Madron 

 

Francesco Gaetano Caltagirone, detto Franco, 62 anni compiuti a marzo. Imprenditore e finanziere, ha una spiccata predilezione per i quotidiani: nella scuderia, «Il Messaggero», «Il Mattino», «Il Corriere Adriatico», «Leggo» e, Benetton permettendo, «Il Gazzettino». Di recente ha avanzato anche una pingue offerta per «La Stampa». POTERI FORTI: L’EDITORE ROMANO CHE FA TREMARE LE GALASSIE DEL NORD di Paolo Madron Francesco Gaetano Caltagirone, detto Franco, 62 anni compiuti a marzo. Imprenditore e finanziere, ha una spiccata predilezione per i quotidiani: nella scuderia, «Il Messaggero», «Il Mattino», «Il Corriere Adriatico», «Leggo» e, Benetton permettendo, «Il Gazzettino». Di recente ha avanzato anche una pingue offerta per «La Stampa». Prima costruttore, poi editore. Non sopporta i «palazzinari» e i salotti buoni, che guarda con distacco forte dei suoi 2 miliardi di liquidità. Con i quali vuol comprare una banca. E La Stampa.Forse Francesco Gaetano Caltagirone, detto Franco, un’idea ce l’ha su tutte queste vicende che squassano il capitalismo nobile, lo stesso che lo ha sempre tenuto ai margini dei suoi salotti, bollandolo come «palazzinaro» e romano de Roma, nato e vissuto in quella che per antonomasia certi considerano capitale dell’ozio e dei maneggi. Pensando così di fargli un dispiacere, quando invece il suo pensiero sulle consorterie con cui i soliti noti hanno legato per decenni i loro destini è noto: puro intrallazzo, dove il tanto decantato «salotto buono» è un paravento che nasconde debolezza e mediocrità dei suoi membri, e dove lui mai ha chiesto di entrare. Però Caltagirone ammette che il pregiudizio è forte, che se avesse fatto come qualche suo concittadino, emigrare al Nord e lasciarsi avvolgere dalla grigia ma laboriosa temperie dei luoghi e delle anime, sarebbe forse andata diversamente. Ma così il Paese non va da nessuna parte e invece la sua idea di capitalismo non contempla che i legami consociativi prevalgano sulla logica dei numeri. Le azioni, insomma, si contano e quando si pesano vuol dire che qualcosa non funziona. Intanto, a 62 anni compiuti in marzo, sta seduto sulla sua montagna di soldi e può permettersi il lusso di guardare dall’alto i salotti buoni che si squagliano come neve al sole. Quando scenderà, sarà solo per comandare, non per fare il vassallo di qualcuno. Insomma, per fare quello che ha sempre fatto, il padrone che alterna il pugno di ferro al guanto di velluto, con una naturale propensione per il primo, che quando picchia lascia il segno. Perché, se non comanda, Caltagirone si stufa presto del giocattolo, come è successo con il Corriere della sera, da cui è uscito quatto quatto mentre il nuovo re di denari Stefano Ricucci, quello sì un palazzinaro vero, imperversava. Ricucci chi? A parlarne come di un suo emulo si irrigidisce. La differenza fra i due non sta solo nell’età e nel blasone, ma anche nell’approccio. Uno compra e vende palazzi, l’altro li costruisce. Anzi, costruisce quartieri, città, infrastrutture, progetta agglomerati urbani assecondando la parte visionaria della sua indole.Altro che le scorribande di rapina, compro oggi vendo domani, che gonfiano la bolla creando una ricchezza fittizia. Ma come la mettiamo con i Ricucci boys, i mattonari che stanno con lui nella laboriosa guerra per il controllo della Bnl?Compagni di strada occasionali, gente da prendere per quello che al momento ti può dare, un po’ come erano i partiti per Eugenio Cefis: taxi che ti scarrozzano sulla accidentata via del potere. Potere forte il «Calta»? Sì, ma non di quelli che tramano nell’ombra, che muovono uomini e situazioni senza farsi vedere. La forza gli viene da tutta quella liquidità che ne fa uno degli imprenditori più ricchi del Paese, 2 miliardi che possono essere moltiplicati dall’effetto leva del debito dandogli una capacità di fuoco devastante. Altro che patti di sindacato, scatole cinesi, industriali che vogliono governare con percentuali che non superano lo zero virgola. Qui ci sono i soldi, quelli veri. Qui (Vianini, Cementir) si compra per contanti. Caltagirone ha tutti i tratti di un novello Citizen Kane. Del personaggio di Orson Welles condivide il mestiere di editore e la passione per l’arte, ma soprattutto i dubbi, la solitudine e un’ossessione primigenia, la molla che tutto ha fatto partire. In Quarto potere era «Rosebud», magico nome dello slittino che evocava l’infanzia felice del protagonista; qui è l’emulazione per un padre che non c’è stato, che ha conosciuto solo nelle parole della madre che gliel’ha raccontato. Psicoanalisi e affari, impasto esplosivo che fa di lui un imprenditore anomalo, tutto preso a ripercorrere le orme di un padre che non ha conosciuto, fino ad abitarne fisicamente i luoghi della memoria: come la via Barberini, dove ha impiantato l’ufficio e che fu una delle prime a vedere all’opera il padre, che nel 1926 aveva lasciato la Sicilia per Roma. Quarto potere si apre con un piano sequenza su Xanadu, il castello dimora di Kane, dove campeggia un cartello, «Non oltrepassare», che è un invito a trasgredire. Caltagirone è un po’ lo stesso: la sua biografia, l’espressione del volto che sembra una maschera calata a nascondere i sentimenti, il non detto sono una sfida a svelarne un segreto da cui, come la marea deposita sulla spiaggia oggetti che racchiudono una storia, di tanto in tanto emergono indizi.Talvolta di paura. Paura che qualcuno torni a privarlo della libertà, come successe ai tempi di Tangentopoli, 13 processi e altrettanti tardivi verdetti di piena assoluzione. O che possa portargli via ciò che ha costruito, ciò che lo rende un protocapitalista che accumula aziende così come fa con le collezioni di monete o di oggetti d’arte. Il protocapitalista Caltagirone deve sentire risuonare dentro di sé echi delle origini familiari, l’ossessione per la «roba» di verghiana memoria, il senso della fatica che si fa per conquistarla e che si è sforzato di insegnare ai tre figli che lavorano con lui senza la patente di «figli di» che, noblesse oblige, passano per banche d’affari o esotici master.Ma protocapitalista non è sinonimo di rozzezza, tutt’altro. E non perché Caltagirone è uno che si diletta di storia antica e ha una passione autentica per l’arte, ma perché coltiva una visione del mondo e un suo progetto paese. E la modernità del capitalismo rifugge clientele e incroci incestuosi. Talvolta a emergere sono indizi di orgoglio, quello che viene dalla consapevolezza dell’aver lasciato una traccia di sé con il rosario delle grandi opere che il gruppo ha costruito in giro per il mondo.Mentre gli altri, e per altri leggasi i milanesi, stanno ancora al plastico o hanno appena messo la prima pietra dei loro avveniristici cantieri. La paura spesso si trasforma in diffidenza e genera solitudine e sindrome da complotto. Caltagirone ha un pugno di collaboratori fidati, molte conoscenze e amici veri che si contano sulle dita di una mano, come Raffaele Ranucci e Paola Severino.In politica è ecumenico quel tanto che basta per abbracciare tutto. Gli piacciono Gianfranco Fini e dall’altra parte Massimo D’Alema e Walter Veltroni.Anche con Gianni Letta ha un ottimo rapporto, ma preferisce non incontrarlo a Palazzo Chigi, perché Silvio Berlusconi è pur sempre quello che ha fatto Milano due, dunque un «concorrente».Per lo stesso motivo, se non c’è feeling con Salvatore Ligresti, ce n’è molto con Cesare Geronzi e Pellegrino Capaldo (che lo ha assistito nell’acquisto del Messaggero), i padri fondatori della Capitalia. Si dice che la voglia di comprare giornali gli sia venuta dopo l’esperienza di Mani pulite e guardando alla cronologia sembra vero: prima Il Mattino di Napoli, poi Il Messaggero, preceduto da toccata e fuga sul Tempo. Ma la passione per la carta stampata è cosa che in realtà risale a prima, a quando finanziava Prospettive nel mondo, la rivista diretta dal fanfaniano Giampaolo Cresci, e poi il Sabato quando a occuparsi del giornale c’era Vittorio Sbardella, lo squalo dell’acquario andreottiano. E ancora, sul finire degli anni Ottanta, il salvataggio di Paese Sera, che lacerò le anime belle dell’allora Pci, tutte prese a interrogarsi se il fine giustificasse il ricorso a quel compagno di viaggio, e con lui a quel connubio di calce e martello un po’ scomodo per la stretta ortodossia di Botteghe Oscure. Considera i giornali un presidio, anche se si rende conto di quanto ambigua e scivolosa possa essere la definizione. Un presidio contro un’altra deriva giustizialista, un deterrente perché gli spettri di quel passato non tornino.E anche questo fa parte del suo progetto paese. Ma sono anche un business, e che business. Le sue aziende sono prime per redditività, più del Corriere e della Repubblica, e si dice che questo sia anche il frutto di uno spietato controllo sui costi, che quando proliferano sono come un tarlo che corrode i bilanci e mina la competitività. Con i suoi direttori inizialmente ha buoni rapporti.Ma siccome, come direbbero gli inglesi, l’uomo è «demanding», uno che pretende, a volte si guastano. E si guastano senza passare per fasi intermedie, come gli amori che di colpo si tramutano in odi.Magari non c’è una ragione vera, ma una sensazione, un presentimento, una parola di troppo che lo ha irritato. Si racconta che i direttori con lui siano sempre sotto esame, non solo quando scade il mandato (a giugno, cioè adesso, tocca a due di loro, Paolo Gambescia e Mario Orfeo). Per il futuro ha grandi progetti dietro le spalle che intende realizzare. Vuole una banca, e forse finirà per mettersi d’accordo con gli spagnoli del Bilbao che sono la sua controparte in Bnl, rimpiangendo che il suo iniziale progetto di matrimonio con il Montepaschi (fusione della banca romana con la Banca Agricola Mantovana, una controllata del Monte) non abbia convinto quelle teste dure della Fondazione senese. Forse rilancerà la posta come leader del contropatto di sindacato, o alla fine venderà tutto e guarderà altrove, magari al Sanpaolo che potrebbe aprirgli le porte della Stampa: per averla, ha messo sul piatto un’offerta da capogiro, di quelle a cui nonostante l’affezione degli attuali padroni è difficile dire no. Così, dopo aver collezionato giornali da Roma in giù, potrà prendere a tenaglia la capitale morale che gli ha fatto patire troppe discriminazioni attaccando anche da Nord-Est col Gazzettino, dopo aver fatto i conti con il sussulto d’orgoglio dei Benetton che non lo vogliono più mollare. Covando, in cuor suo, la convinzione che saranno i capitalisti gallonati della galassia del Nord ad aver bisogno di lui, non lui di loro. Sempre che quei capitalisti ci siano ancora, che un «Ricucci chi?» nel frattempo non li abbia sbaragliati.

 

 CON CHI VA D’ACCORDO, E CHI NON GLI PIACE

AMICI

Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianfranco Fini, presidente di An Massimo D’Alema, presidente dei Ds Walter Veltroni, sindaco di Roma Cesare Geronzi, presidente Capitalia Emilio Botin, presidente Banco di Santander Fulvio Conti, amministratore delegato Enel Pierluigi Fabrizi, presidente del Monte dei Paschi di Siena 

NEMICI

Luigi Abete, presidente della Bnl Diego Della Valle, imprenditoreE lio Catania, presidente delle Ferrovie Innocenzo Cipolletta, economista, presidente del Sole 24 OrePaolo Panerai, giornalista ed editore Giuseppe Mussari, presidente della fondazione Monte dei Paschi di Siena

 
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IS AN HONOURABLE MAN

Post n°55 pubblicato il 19 Febbraio 2013 da mytridate

IS AN HONOURABLE MAN

IS AN HONOURABLE MAN

“…Il male che uno fa, spesso gli sopravvive; il bene spesso resta sepolto con le sue ossa… così sia di Cesare” (WILLIAM SHAKESPEARE – GIULIO CESARE)

Si dice, secondo fonti poco affidabili, che il Direttore Generale, Alvise Zanardi, avrebbe affermato in sede Fieg che i grafici e gli infografici prodotti dal personale interno al Messaggero sono pessimi, che lui possiederebbe un pacco alto non si sa quanto di elaborati contestati, e che bisognerebbe perciò licenziare tutti e affidare il lavoro fuori. 

Ma sicuramente queste affermazioni lui non può averle fatte davvero: è stato frainteso. Egli è come il Bruto di Shakespeare: is an honourable man…è un uomo d’onore

Se infatti fossero state queste le sue esatte parole (e non possiamo davvero crederlo), sarebbe inutile cercare di far rilevare l’ottusità piena di malafede di questa affermazione, o di spiegare che i professionisti che lavorano al Messaggero, vi operano da più di un ventennio e che hanno avuto molti apprezzamenti e riconoscimenti nel corso degli anni. Sarebbe come voler cavare sangue da una rapa (e la metafora della rapa qui appunto si adatterebbe alla perfezione). Ma il DG non può davvero aver detto questo. Egli è infatti un uomo d’onore.

Sarebbe bello però, poter sfidare colui che s’azzardasse a dire cose simili, come anche a provare, carte alla mano, ciò che afferma (ma purtroppo solo la RSU avrebbe la possibilità di parlare – ammesso che con una persona che si atteggia a questo modo si possa discutere – con chi si lancia in queste gravi accuse). Ma, lo ripetiamo, il direttore generale non può assolutamente aver detto ciò. Egli è infatti un uomo d’onore.

Perché la domanda allora sarebbe: che dirigente è mai quello che arriva in un’azienda, senza conoscere nulla della realtà lavorativa di chi vi opera ogni giorno, e comincia a denigrarne ed attaccarne gli impiegati? Ma, appunto, il direttore generale non può assolutamente aver detto ciò. Perché egli è davvero un uomo d’onore

Ognuno fa la sua parte in questo mondo, ognuno recita il suo ruolo, come ci ha insegnato sempre il grande Shakespeare. 

Se un nuovo dirigente arrivato qui al Messaggero perché deve fare “L’eliminatore” s’accomodi pure! Che tiri sempre in ballo la crisi economica e industriale e i costi insostenibili del CCNL dei poligrafici a fronte dei vantaggi del lavoro affidato all’esterno, è un leitmotiv degli editori da anni; e diciamo che ci si può benissimo aspettare che si dica ciò, come ci si aspetta che certi cavalli di battaglia del teatro facciano regolarmente parte del repertorio di qualche guitto.

Ma la gaffe fatta da chi producesse queste affermazioni, sarebbe davvero grossa. Sarebbe un boomerang. Perché il rampante dirigente che avesse pronunciato quelle parole, è come se, implicitamente avesse dato del cretino a chi per anni ha messo dei perfetti incapaci a produrre il giornale. Cioè avrebbe dato del fesso al direttore del personale (che ricopre ancora oggi quel ruolo, e lo ricopre da prima che altri dirigenti arrivassero) e al direttore tecnico (anche esso a capo della struttura da parecchio tempo).

Quindi è come se avesse detto che debbono essere cacciati anche loro perché incapaci. Ma il direttore generale non può assolutamente aver detto ciò. Perché egli è, ricordiamo, un uomo d’onore

Non solo: è come se avesse detto che per anni tutti hanno imbrogliato l’editore, il quale sarebbe un’idiota calzato e vestito, perché in tutto questo tempo non si sarebbe accorto che la grafica del giornale era confezionata in maniera pessima da dei perfetti incompetenti.

In breve, l’ipotetico dirigente che avesse detto quelle parole, avrebbe dato dell’imbecille ai suoi più stretti collaboratori e al suo datore di lavoro.

Ma non solo: è come se avesse affermato che i lettori del Messaggero, che hanno acquistato il giornale in tutti questi anni, sono, nel migliore dei casi, degli sprovveduti, perché hanno pagato per anni per avere un quotidiano prodotto da incompetenti. Ma il direttore generale non può assolutamente aver detto ciò. Perché egli è e rimarrà sempre, un uomo d’onore

Sarebbe infatti evidente che colui che affermasse tutto ciò, non frequenta molto il mondo di internet, che magari poi esalta e da cui afferma di venire. Altrimenti, costui avrebbe letto sui social network e su svariati siti, cosa invece i lettori ed ex lettori del Messaggero pensano dei contenuti e della nuova grafica del Messaggero, prodotta da un art director esterno. E non sono certo commenti generosi.

Ma gli basterebbe perfino solo salire su di un autobus e ascoltare quel che dice la gente. Ma il direttore generale non può assolutamente aver detto tutto ciò. Perché egli è davvero un uomo d’onore.

E sarebbe davvero un peccato che la RSU non desse sufficiente risalto a questi clamorosi autogol, qualora eventualmente si verificassero ad opera di alcuni dirigenti.

Perché far riflettere quelli sulle conseguenze del loro parlare a vanvera, potrebbe procurar loro del sano imbarazzo…forse.

Ma né il Direttore Generale, né alcun altro dirigente possono aver detto cose del genere…perché sono tutti, tutti quanti uomini d’onore…

“SUTOR NE SUPRA CREPIDAM”

 

 

 

 
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