per non smarrirmi

Qualcosa di me... (19)


Ragazzone di 180 centimetri (altri, ne avrei aggiunti), in lotta con un po' di scoliosi, dopo la ginnastica correttiva, dopo il nuoto, dopo il canottaggio...arrivai al baschet...Sì, lo so, l'ho scritto male, ma nella mia ignoranza d'inglese (al tempo, di norma, si faceva una sola lingua straniera e la mia era il francese), fù così che lo scrissi la prima volta, sulla copertina di un mio quaderno.In vita mia, ho sempre amato fare sport e, fino al giorno in cui non mi sono massacrato per l'ennesima volta i legamenti del ginocchio, mi ci sono dedicato con tanta passione: qualunque fosse, in qualunque contesto, mi ci sono sempre gettato anema & core. Addirittura, ricordo una partita a volàno (o badminton, che dir si voglia) in quel del locale YMCA di Bath, nell'estate del 1987, con un gruppo di francesi: non sapevo (e ancora non so) bene le regole, ma giocai con la stessa intensità che se avessi giocato la finale dei campionati mondiali [a tal proposito, mi piace pensare che fù proprio la mia "intensità" che conquistò Dominique, la ragazza del gruppo...]Per un animo così competitivo, fù impossibile non innamorarmi di uno sport, in cui non si stava mai fermi: il bello della pallacanestro è che o si attacca, o si difende; non ci sono fasi di gioco in cui ti puoi estraniare.In quegli anni, Mediaset trasmetteva (da principio in orari assurdi) le telecronache NBA commentate dall'incredibile Dan Peterson e ciò contribuì a legarmi ancor più a questo sport: vedere i maestri all'opera, mi fece sognare ancor più; mentre godevo del gesto atletico, la mia "fame di mondo" si saziava con il racconto della società americana, fatto dal piccolo americano.A onor del vero, non posso dire di essere mai stato un campione, né un gran giocatore: malgrado la passione e l'impegno profuso, avevo degli innegabili limiti fisici, che han fatto sì, che questo sport, abbia ringraziato che io mi sia dedicato ad altro.In quegli anni, in America, la grande sfida era tra i Los Angeles Lakers ed i Boston Celtics: non so più quante volte le due squadre si siano contese il titolo nella finale, ma fatico a ricordarne altre. Le due squadre erano l'incarnazione di due mondi, di due modi di giocare, di due paesi all'interno di uno solo.Boston era la squadra piena di "bianchi", con un campo assurdo ma storico, che giocava (a quanto ricordo) un basket molto manovrato e muscolare, il cui leader era, in tutti i sensi il biondo Larry_Bird. Los Angeles, squadra quasi tutta di "neri", con un campo modernissimo e fastoso, che giocava un basket molto veloce, era capitanata dal mio idolo Earvin_"Magic"_Johnson.Questi giocatori erano la quintessenza del mio amore per lo sport: pur ricchissimi, in campo davano l'anima, con uno spirito competitivo (pur sempre nell'ambito della massima sportività), con un desiderio di vittoria della squadra, che andava al di là delle mirabilanti statistiche in cui svettavano. Entrambi avrebbero anche chiuso il tabellino con zero-punti, pur di vedere la propria squadra vincere. Eppure erano molto diversi tra loro: l'uno chiuso e un filino presuntuoso; l'altro estroverso e anche auto-ironico. Ma l'uno disse dell'altro, che era l'unico giocatore per il quale avrebbe pagato il biglietto (mon Dieu, com'è americana, 'sta cosa!), per vederlo giocare...Per anni, li ho pensati distantemente nemici, troppo sigorili, per insultarsi, ma quasi con un odio sportivo, feroce, a separarli. Entrambi sapevano del valore dell'altro e ne avevano il giusto timore; in campo, poi, la presenza del rivale, li rendeva ancor più competitivi del solito.In quegli anni di casa-scuola-sport, ho goduto del loro incredibile talento, della loro rivalità, della loro corretta competitività. Mi sono cibato dei tiri dell'uno e dei passaggi dell'altro. Sono cresciuto col mito de "Si-Vince-Tutti-Assieme" (che richiamava gli insegnamenti paterni), facendomelo traslare dallo sport alla vita e, in qualche modo, plasmando parte del mio carattere, così com'è oggi.Quando, dopo infortuni e scelte pratiche, avevo praticamente smesso con lo sport praticato regolarmente (...), un giorno arrivò la notizia in cui Magic annunciava di essere sieropositivo. Questa cosa, fù quasi un segnale, per me: l'ora dei giochi era definitivamente finita. Da allora, ho fatto qualche partitella tra amici e ho portato i figli a far due tiri al campetto; ma, pur sempre con quel mio spirito di squadra, non ho più avuto voglia di restare calato nella mia (ormai ex-) passione sportiva.In questi giorni di convalescenza dall'intervento, potendo sforzarmi poco, leggo e guardo molto la tv. Ieri, al David Lettermann Show, ritrasmesso da RAI5 con i sottotitoli, ho potuto vedere la puntata dell'11 aprile 2012, con entrambi i campioni. Ho avuto il piacere di ridere, di commuovermi, per qualcosa legata allo sport e alla mia visione della vita: erano anni che non mi accadeva.Ringrazio entrambi per l'esempio che m'hanno dato e per quello che hanno dimostrato d'essere: parrà stupido, ma in questi piccole dimostrazioni, ritrovo un po' del mio amore per l'umanità. E ritorno quel ragazzo che, invitato ad una partitella (unico giocatore di una squadra di basket, in tutto il gruppo), ha rimontato in fretta e furia il motorino che stava revisionando (non che fossi un buon meccanico, ma ci provavo...), per andare lì: in tutto il pomeriggio, mi divertii a far segnare tutti i miei compagni di squadra e tirai solo nell'ultima azione della partita.Se oggi mi viene il prurito alle mani per andare a fare due tiri (dannata immobilità!), è anche perché Magic è ancora vivo, perché i due accerrimi avversari sono diventati amici, perché per 22 minuti, ho rivissuto momenti di anni mitici...