per non smarrirmi

A volte ritornano... (ma sempre sull'articolo 18?)


Eccoli: i padroni (questi non sono "imprenditori"...) sono tornati e reclamano di nutrirsi del corpo dei diritti degli individui, cominciando da quello dell'articolo 18.Lo fanno in accordo col Governo di Renzi e dei centristi (della sinistra non c'è traccia), in nome dell'ennesima emergenza-lavoro, che tutto faccia passare, ma non il fatto che paghi chi debba farlo.Le riforme hanno tutte un costo, che qualcuno deve pagare. Perché non esiste nessun concetto più impossibile della gratuità, visto che qualsiasi cosa, prima o poi, qualcuno la paga.La riforma del mercato del lavoro, se dovesse includere la cessione di diritti, avrebbe già qualcuno a pagare: quell'essere umano che è comunque il lavoratore dipendente.Non so abbastanza dei tecnicismi del Jobs Act (ma un nome italiano, no?), però so abbastanza di società, di economia, di mondo produttivo e mastico un po' di politica. Di tutte le riforme che ci vengono richieste, credo che non ce ne sia nessuna inutile, come l'abolizione, o anche il solo ridimensionamento, dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori (legge 300 del 20 maggio 1970).Ma, prima di tutto, vogliamo chiederci che diamine dice questa benedetta norma? Io suggerirei prima di leggerla e poi di ragionarci sopra.Semplificando, si dice che questa norma impone al datore di lavoro di un'impresa con più di 15 dipendenti, di reintegrare il lavoratore licenziato senza giusta causa (fatto accertato da un giudice).Bene! Già nel 1970, qui in Italia abbiamo scritto una norma molto "intelligente" e direi molto "umana": se si accerta un'ingiustizia in una impresa abbastanza grande, s'impone il totale annullamento del danno: nessun lavoratore, né la sua dignità, dev'essere ostaggio del mero arbitrio del suo datore di lavoro.Dopo quasi mezzo secolo, sembra assurdo che invece di estenderla anche ad entità produttive più piccole, si pensi di sopprimerla! Ma come, il mondo va avanti e in Italia si va indietro?L'assurdo parte del presupposto sbagliato, cioé che il datore di lavoro non assuma nuovi lavoratori, perché poi impossibilitato a mandarli via. Peccato che la crociata ideologica dei padroni, dimentichi sempre di ricordare che il limite al licenziamento sancito dalla legge sia la "giusta causa".Poi, anche dal punto di vista logico, l'ulteriore precarizzazione del lavoro, non può che portare ad un eccesso di prudenza nei consumi: siamo sicuri che per far ripartire il paese serva questo?Il problema più che tecnico od economico, è puramente ideologico e politico: il governo (pseudo) di sinistra, si regge su una parte di voti di liberisti incalliti e i nostri imprenditori, invece che pensare a ridurre i loro guadagni, per impiegare risorse che aumentino la propria competitività, ragionano vecchiamente solo in termini di costi inutili.E per i padroni, l'unico costo su cui possono agire è il dipendente: l'essere umano si usa e si butta, quando non lo vuoi più. Facile? E poi, invece di lavorare a rendere la propria azienda più produttiva, preferiscono agire sui dipendenti, grazie ad un'ulteriore arma di ricatto: "O ti ammazzi lavorando per me, o ti caccio...!"Eppure, la soluzione per aumentare la produttività dei dipendenti, non può consistere nella cancellazione di un principio importante, quello che tutela dalle ingiustizie.Se proprio si vuole agire, che lo si faccia ragionando, di concerto coi sindacati "seri", su ciò che può essere definito come "giusta causa": se  rubi, se l'azienda rischia la chiusura, se si fa sabotaggio, se non si rispettano procedure importanti, se si è assenteisti cronici (ecc...), magari la licenziabilità dovrebbe essere più semplice...E lo Stato, invece di assumersi i costi dei fannulloni-assenteisti, spenda qualcosa e riformi se stesso, in modo da non tutelare gli approfittatori, stroncandone il parassitismo di cui è complice per ignavia: ne avrebbe tutto da guadagnare...Se vogliamo fare una riforma epocale: 1) estendiamo i diritti, ché in un paese moderno, è questo che si fa; 2) colpiamo i parassiti in seno al tessuto produttivo, in modo più oggettivo; 3) evitiamo che questa riforme importantissima, sia fatta sulla spinta dell'emergenza.