Creato da fazzari_smith il 16/04/2013
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Equitalia condannata alle spese di giudizio

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Avv. Simone Fazzari

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La società concessionaria per la riscossione dei tributi ricorre avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale che aveva annullato una cartella di pagamento in quanto notificata oltre il termine perentorio di legge, con conseguente condanna della società alla rifusione delle spese di lite in applicazione del principio della soccombenza sancito dall’art. 91 c.p.c..

Spese di lite: la regola della soccombenza e la sua derogabilità

Secondo quanto stabilito dall’art. 91 c.p.c., il giudice condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa.

Tale regola generale soffre le eccezioni stabilite dall’art. 92 c.p.c..

In particolare, il comma 2 della predetta norma dispone che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, in due casi:

  1. soccombenza reciproca tra le parti;
  2. gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione.

Il mancato esercizio del potere discrezionale “derogatorio” della regola generale sulle spese di lite trova fondamento in un fatto negativo (mancanza di “giusti motivi” nel testo previgente dell’art. 92 c.p.c. o “gravi ed eccezionali ragioni nel testo attualmente vigente) ed è insindacabile in sede di legittimità, anche sotto il profilo della omessa od insufficiente motivazione, in quanto non soggetto a motivazione.

Notifica della cartella di pagamento oltre i termini ed eventuale condanna alle spese di lite della società concessionaria della riscossione dei tributi: insindacabilità in sede di legittimità

Fissato il principio dell’insindacabilità in sede di legittimità della mancata pronuncia di compensazione totale o parziale delle spese di lite da parte del giudice del merito, il Collegio si sofferma sulla tematica specifica della condanna alle spese di lite a carico della società di riscossione dei tributi a causa della notifica della cartella di pagamento oltre il termine perentorio di legge.

A tal proposito la Suprema Corte afferma che la condanna alle spese di lite è fondata sul criterio legale della soccombenza ex art. 91 c.p.c.. Non è utilizzabile, ai fini dell’eventuale esclusione della condanna alle spese di lite il diverso criterio fondato sull’accertamento della colpa della società concessionaria nel ritardo della notifica della cartella di pagamento.

In altre parole, i giudici di Piazza Cavour ritengono che la statuizione, nel merito, della condanna alle spese di lite in applicazione del principio legale della soccombenza sia intangibile in sede di legittimità, non potendosi riconsiderare l’assenza di colpa della società di riscossione dei tributi nella intempestiva notifica della cartella di pagamento ai fini di un eventuale riforma della condanna alla rifusione delle spese.

La pronuncia non va letta, quindi, nel senso che ogniqualvolta la società concessionaria violi il termine perentorio di legge previsto per la notifica della cartella di pagamento debba essere condannata al pagamento delle spese di lite.

Il significato è un altro: qualora il giudice del merito non abbia emesso una pronuncia (discrezionale) di compensazione delle spese, adottando il diverso criterio legale della soccombenza, la relativa statuizione è insindacabile in sede di legittimità.

 

Avv. Simone Fazzari 

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TRASFERIRSI E LAVORARE A DUBAI

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TUTTE LE ISTRUZIONI PER LAVORARE E VIVERE A DUBAI:


A cura di: Avv. Simone FAZZARI – Simone FAZZARI & Barry Smith Law Offices © Miami

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Prima di spostarsi a lavorare a Dubai, è utile avere qualche utile informazione, al fine di ben valutare la cosa.

A Dubai e negli Emirati Arabi gli stipendi sono generalmente maggiori rispetto a quelli offerti in Europa, però sicuramente c’è da sfatare il mito degli stipendi medi da decine di migliaia di euro al mese. A Dubai, come da altre parti, non regalano nulla. Al vantaggio di avere uno stipendio già di partenza sensibilmente più alto (anche se non sempre… un cameriere o una segretaria prendono sui 1000 € al mese), poichè Dubai e gli Emirati Arabi non prevedono tassazione personale, il reddito netto è maggiore: ciò rende estremamente attraente l’idea di lavorare a Dubai. La Qatar Airways, ad esempio, che sta assumendo personale in tutto il mondo a fronte di un incremento della flotta di oltre 100 velivoli, mette come benefit in evidenza lo stipendio tax free.


RETRIBUZIONE DEL LAVORO A DUBAI:


A cura di: Avv. Simone FAZZARI – Simone FAZZARI & Barry Smith Law Offices © Miami

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La retribuzione (soprattutto quando c’è stato il boom di Dubai) prevedeva vari fattori: stipendio base, rimborso spese od indennità per macchina e casa, copertura medica (il sistema a Dubai è strutturato sulla falsa riga di quello americano), un’educazione scolastica garantita per i figli dei lavoratori, più altre facilitazioni per la famiglia e per il ricongiungimento familiare e biglietti aerei destinati alle visite nel proprio paese d’origine (generalmente uno al mese; anche più per gli executive manager). Ad oggi invece i datori di lavoro tendono a pagare uno stipendio più alto, magari con bonus, ma limitando i benefit.

A Dubai non sono previsti i regimi pensionistici statali; alcune compagnie internazionali offrono vari benefit, tra cui possono rientrare anche i contributi per la pensione (che vengono però versati nel Paese di origine. L’accantonamento obbligatorio ai fini pensionistici è una soluzione adottata in alcuni Paesi, dove il pensionamento assicurato dallo Stato ha avuto e continuerà ad avere la sua funzione “di garanzia” e di tranquillità. Se si apportano un contributo verso un regime pensionistico nel vostro paese d’origine, è opportuno continuare a farlo il più a lungo possibile. Molte aziende offrono regimi pensionistici privati a Dubai, con la possibilità di fare una somma forfettaria o di pagamenti regolari contributi.

Altri benefit comunemente offerti ai dipendenti di grandi imprese multinazionali che lavorano a Dubai possono comprendere:

  Contributo per spese di alloggio;

  Contributo per i costi di leasing dell'auto;

  Contributo per le tasse scolastiche per i bambini;

  Assicurazione medica;

Per lavorare a Dubai bisogna avere un resident Visa (visto per residenti), che da diritto a: affittare casa, comprare l’auto, aprire il conto in banca e così via. Nel momento in cui un’azienda ci assume, in automatico ci viene rilasciato il visto, che è legato all’azienda. L’azienda cioè ci fa da sponsor; nel momento in cui dovessimo interrompere il rapporto lavorativo con questa azienda, bisogna cercare entro 90 giorni un altro lavoro (con un’altra azienda che ci possa fare da sponsor) ovvero deve esserci un familiare stretto (moglie, marito, genitori, ecc..) che ci facciano da sponsor e per cui conserviamo il diritto di rimanere a Dubai. Attenzione quindi anche alla professionalità ed alla serietà di chi vi offre lavoro; se infatti ci fossero problemi con l’azienda, questa (in caso di inadempienze o per reati contro l’azienda stessa o per qualsiasi cosa possa rappresentare una giusta causa) può richiedere alle autorità il ritiro del vostro resident Visa e chiedere che siate cacciati dal Paese.

Diverso è il discorso quando aprite voi una società: in quel caso avete diritto al resident Visa e non dovete dare conto a nessuno.

Oltre allo stipendio, alle persone sotto contratto di lavoro viene riconosciuta un’indennità di fine periodo contrattuale, solitamente stimata sul salario base, escludendo i bonus (una sorta di liquidazione). Il valore dell’indennità ammonta solitamente, per i primi tre anni, a 15 / 20 giorni di paga basilare annua per occupazione e, successivamente, allo stipendio mensile annuale.


Profili ricercati per lavorare a Dubai:


A cura di: Avv. Simone FAZZARI – Simone FAZZARI & Barry Smith Law Offices © Miami

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I profili maggiormente ricercati nel settore sono in ambito finanziario, ingegneristico in generale ed in particolare edile-civile (strutture ed infrastrutture soprattutto). L’ambito infrastrutturale è ancora molto ricercato soprattutto nei Paesi adiacenti (in Qatar si disputeranno i mondiali di calcio nel 2020 e sono in corsa per le Olimpiadi).

Altra importante indicazione è la tipologia di lavoro da ricercare a Dubai. Anche se non ci sono regole scritte, molti lavori sono appannaggio di determinate classi sociali o etniche (nel bene e nel male); ad esempio i tassisti sono tutti indiani o pakistani o del bangladesh; lavori di segreteria di profilo basso, lavori come cameriere nei centri commerciali e nelle grandi catene, lavori di manovalanza sono per indiani, pakistani, bengalesi, filippini. Quindi per intenderci un italiano non potrebbe andare a Dubai e cercare lavoro come operaio semplice o cameriere in un fast food, anche se per lui/lei andrebbe bene: sia perchè non verrebbe preso in considerazione, sia perchè sarebbe considerato “screditante” per gli italiani (per quanto ogni lavoro abbia una propria dignità). E se inoltre riuscisse a trovare un tale posto (magari perchè il titolare dell’azienda vuole vantarsi di avere del personale italiano), poi sarebbe difficile risalire. Diverso è il caso per un operaio specializzato (che quindi si propone come esperto di una tal cosa), un barman di fama o per un cameriere / maitre / chef in un grande ristorante (magari italiano).

Inutile dire che la conoscenza dell’inglese ad un livello medio/alto (almeno B2 intermediate) è necessaria per vivere a Dubai e per trovare lavoro. L’italiano è praticamente inesistente; i vari dialetti dell’India sono molto diffusi (più del 50% della popolazione residente viene da quelle parti) ma di fatto non ha utilità conoscere quella lingua.

La conoscenza dell’arabo rappresenta sicuramente un valore aggiunto, anche se tutti parlano inglese. Parlare l’arabo a Dubai può essere utile, ma più per un fatto di integrazione con la fascia sociale alta, che non per necessità.


Orario di lavoro a Dubai negli Emirati Arabi:


A cura di: Avv. Simone FAZZARI – Simone FAZZARI & Barry Smith Law Offices © Miami

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Dubai e gli Emirati Arabi sono un paese islamico quindi i giorni di chiusura sono tendenzialmente diversi. La settimana lavorativa tende a variare fra le 40 e le 48 ore; gli orari di lavoro prevedono generalmente l’inizio alle 8.30 o 9.00 del mattino e la chiusura alle 17.30 o 18.00 della sera; non vi sono differenze fra gli orari di lavoro estivi ed invernali. Nel mese del Ramadan l’orario lavorativo giornaliero viene ridotto a sei ore o comunque modificato in vario modo: soprattutto nelle attività commerciali o peggio ancora in quelle di ristorazione (chiuse per legge) possono essere applicati orari di apertura (e quindi di lavoro diversi), magari con una chiusura durante il giorno, e l’apertura dal tardo pomeriggio fino a sera tardi. Anche se questa modifica dovrebbe essere apportata all’intero staff di dipendenti, ultimamente molte società prevedono questo cambio d’orario solamente per il personale musulmano; questo anche per una sempre più occidentalizzazione di Dubai. In ambito ristorazione, alcuni locali (soprattutto in centri commerciali ed hotel) restano aperti per i non musulmani in visita nel Paese.

Secondo la religione Islamica il giorno di riposo è il venerdì; inizialmente il secondo giorno di riposo era il giovedì (il giovedì sera continua a rimanere la serata in cui i giovani escono più facilmente), ma ciò creava problemi di comunicazione con l’occidente, perchè per 4 giorni (weekend occidentale sabato e domenica + weekend islamico giovedì e venerdì) le aziende rischiavano di non avere contatti internazionali. Pertanto sempre più aziende prevedono come secondo giorno di riposo previsto il sabato. Negli uffici pubblici, invece, spesso il secondo giorno di chiusura è il giovedì.

Il sistema sanitario locale, infatti, è costruito sulla falsa riga di quello americano, che è basato prevalentemente sul settore privato, sia sul versante del finanziamento, tramite le assicurazioni, sia su quello dell’offerta e della produzione dei servizi. Ecco perché diventa indispensabile, ed è pertanto raccomandabile, sottoscrivere una personale assicurazione sanitaria che vi possa coprire durante il vostro soggiorno.

Il canale più diffuso di assicurazione privata è quello basato sull’impiego: tanto più grande è l’impresa tanto maggiore è la probabilità che il datore di lavoro offra ai dipendenti questo tipo di benefit. Chi non ha questo tipo di benefit, deve provvedere autonomamente con un’assicurazione medica privata, oppure mettere in conto forti spese in caso di necessità (operazioni, ricoveri, medicine).

L’indennità di disoccupazione è dovuta solo ai cittadini degli Emirati Arabi Uniti; se avete intenzione di lavorare a Dubai o di spostarvi lì per cercare un lavoro, dovrete sostenervi da soli nei periodi di disoccupazione o inoccupazione.

A Dubai non sono previste tasse. Redditi personali, comprese tutte le forme di retribuzione e le plusvalenze di qualsiasi provenienza, non sono soggetti a tassazione negli Emirati Arabi Uniti. Stessa cosa dicasi anche per le tasse su aziende e ditte, per chi volesse prendere in considerazione i avviare un’attività a Dubai o lavorare come libero professionista.


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TRASFERIRSI E LAVORARE A NEW YORK

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COME TRASFERIRSI E LAVORARE A NEW YORK:

 

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Avv. Simone FAZZARI – Simone FAZZARI & Barry Smith Law Offices © Miami

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Se non avete contatti, a New York non potete trovare lavoro. Ma la parola “contatti” non vuol dire “raccomandazioni” o “lecchinaggio” come in Italia. La parola “contatto” in America ha lo stesso semplice significato del vocabolario italiano: rapporto, relazione: essere in contatto con una persona

Anzitutto preparatevi un buon curriculum in inglese. Se ne avete modo, anche una pagina web. Non siate mai arroganti, saccenti e presuntuosi, anche se prima di mettere piede in America avete lavorato per il Papa. Agli americani non gliene frega niente: dovete dimostrare il vostro valore. Altro discorso se avete a che fare con possibili datori di lavoro italiani: qui fate davvero attenzione. Se ve ne state andando dall’Italia, un motivo ci sarà...

Gli americani hanno tanti, tantissimi difetti, ma sono meritocratici. E fattivi. E di parola. E se il lavoro inizia alle 10 di mattina, per loro le 10.01 è già ritardo e rischiate il licenziamento.

Nella maggior parte dei casi, i ragazzi arrivano qui con un visto da turista. Come dicevamo prima, il tempo di permanenza possibile in questo caso è di novanta giorni. Non tirate la corda all’Ufficio Immigrazione passando una settimana in Italia, tre mesi in America, una settimana in Italia, tre mesi in America: non funziona. Piuttosto, iscrivetevi ad una scuola di inglese e fate richiesta per il visto da studente. Altro discorso se puntate subito al visto di lavoro.

Il “Se senti di un lavoro, anche come lavapiatti, fammelo sapere” non funziona. Ragazzi, in America ci sono più o meno 300 milioni di abitanti, circa 8 di questi sono a New York: va da sé che prima trovano il posto gli americani, poi gli stranieri. Sommate la concorrenza degli americani in America a quella degli stranieri in America e più in piccolo a quella degli italiani in America e nello specifico a New York. Boom. A New York i lavorinon si sentono: si prendono al volo.

Qualsiasi sia la vostra posizione in Italia, è molto probabile che a New York dobbiate iniziare da zero, o quasi. Mettetevi già nell’ottica che è possibile tornare a fare uno stage non pagato, anche se avete anni ed anni di esperienza nel vostro campo.

Scordatevi una volta per tutte di riuscire a trovare un lavoro dall’Italia, non esiste un ufficio collocamento con opportunità di lavoro per italiani. Prendete l’aereo, venite qui, uscite ogni mattina alle 8 – ed incontrate, incontrate, incontrate, incontrate. E’ l’unica via: scendere dal piedistallo, prepararsi la pappa da soli e conquistarsi il proprio futuro.

Allontanate la negatività. Mai dire mai, non demordete ai primi rifiuti, siate tosti ed agguerriti. I vostri sogni possono diventare realtà in ogni momento, quando meno ve lo aspettate. Magari uscite a fare la spesa in un supermercato, e scontrate il carrello con l’amore della vostra vita – oppure in metro un tizio improbabile vi assume. Ogni secondo che passa è un’occasione buona.

Ma facciamo ulteriore chiarezza.

Per lavorare, vi serve obbligatoriamente un visto. Non ci sono altri modi, a meno che non vogliate essere rispediti in Italia a calci nel sedere.

Per avere un visto lavorativo, dovrete trovare un’azienda che possa garantire per voi, assumervi e farvi un regolare contratto di lavoro (con uno stipendio che corrisponda a determinate fasce). Questa azienda dovrà compilare tantissimi moduli, presentare il vostro caso ed illustrare tutti i motivi per i quali ha scelto voi e non un americano.

Prima di demordere e lasciar perdere il vostro sogno, potreste dunque valutare i seguenti  trampolini di lancio:

L’internship, non sempre pagata ma molto utile per dimostrare quanto valete. Gli americani riconoscono sempre il merito. Ci sono molte aziende disponibili a questi periodi di prova, ma in ogni caso cercate di farvi mettere in regola: anche in questo caso dovranno farvi da sponsor e richiedere il visto. La procedura è più snella ed economica per l’azienda, ma in ogni caso obbigliatoria. Al contrario, ci sono aziende che, facendovi soggiornare a New York per meno di tre mesi, non vi regolarizzeranno e vi chiederanno di passare come turisti: non vale la pena rischiare.

Il volontariato, ci sono molti programmi a disposizione, come il New York Cares o Latitude. Iscrivetevi a questi siti, e tenete d’occhio le offerte disponibili. Tenete gli occhi aperti, cercate associazioni affidabili e note, e ricordatevi che anche in questo caso, dovrete essere messi in regola dal punto di vista legale.

Frequentare un master, spesso però molto costoso (se lo vedrete con un’ottica di investimento soprattutto personale, potrebbe essere la scelta migliore), in un’università – come la New York University. Nella maggior parte dei casi, dopo il conseguimento del vostro master, avrete unanno di grazia con un visto di lavoro provvisorio. Con questo visto potrete lavorare liberamente, a patto che l’impiego sia inerente al vostro campo professionale.

Servire ai tavoli è un lavoro che si trova senza problemi e si guadagna relativamente bene grazie alle mance – ma NON incoraggiamo questo comportamento. Se avete intenzione di entrare negli Stati Uniti con un visto da turista per fare i camerieri (o qualsiasi altro tipo di lavoro) rischiate una multa ed il divieto di tornare in America per 10 anni.

Se il vostro sogno è vivere definitivamente negli Stati Uniti (e non fare avanti e indietro, ma entrare nell’ottica di dire addio all’Italia, cambiare residenza, pagare le tasse in USA, ecc ecc) potrete tentare la sorte e partecipare alla lotteria per l’ottenimento della Green Card. Ma ancora una volta: FATE MOLTA ATTENZIONE!


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PROSPETTIVE ATTUALI DELLA PROFESSIONE FORENSE

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La professione di Avvocato in Italia è senza futuro:

 

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Qualche tempo fa il Ministro Severino aveva dichiarato: "La riforma forense è il mio pensiero estivo". Visti i risultati sarebbe meglio che il Guardasigilli, già iscritta all'Ordine degli Avvocati di Roma, pensasse più alla tintarella e meno ai colleghi. Infatti, con provvedimento di fine agosto, l'esecutivo degli illuminati ha riportato le tariffe forensi al protozoico. I tecnici alzano i balzelli ed i costi dei professionisti ma dimezzano la liquidazione giudiziale delle parcelle: un bel coraggio a chiamarle riforme. I colleghi di tutta Europa non hanno la metà delle regole e dei lacciuoli che hanno i professionisti italiani. In Italia lo sport nazionale è avere Ordini e contrordini, timbri, ceralacche e regolamenti, provvedimenti disciplinari e genufloessioni quotidiane da sopportare innanzi ai Magistrati più scompaginati del continente. Tutto questo al prezzo della tassazione più alta d'Europa e del dimezzamento dei tariffari. Tramontato il sogno della responsabilità civile dei Magistrati (in dispregio del referendum popolare, che la voleva invece introdotta), i tornelli od i test psicologici per i Magistrati, la cui separazione delle carriere resta del pari un'utopia, l'esecutivo riforma la “giustizia” solo sulla pelle degli Avvocati italiani, sui quali peraltro vige anche la presunzione di evasione fiscale. Il problema è che di questo passo ci sarà ben poco da evadere, perchè l'Italia è già il paese con più Avvocati in Europa e, di conseguenza, con un basso reddito pro capite rispetto alle altre nazioni europee. Se a tale circostanza si aggiunge che negli ultimi anni sono aumentati i contributi pensionistici e la pressione fiscale è a livelli insostenibili, non è dato comprendere l'ulteriore accanimento contro la classe forense. Ovviamente, ancora una volta, a beneficiare del provvedimento banche ed assicurazioni, che nuovamente vedranno ridursi drasticamente le loro spese legali, mentre solo i grossi Studi Legali sopravviveranno arruolando  eserciti di affamati disposti a lavorare per una miseria pur di potersi avvalere della struttura, e non dover quindi sopportare quindi spese sempre crescenti a fronte di retribuzioni sempre più misere.

 

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RICORSI CONTRO IL REDDITOMETRO

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Il redditometro 2013 sarebbe incostituzionale nonché contrario allo Statuto del contribuente. Arrivano i primi dubbi di legittimità costituzionale del nuovo strumento di accertamento sintetico del reddito e i primi ricorsi da parte dell’Adusbef, l’associazione di consumatori italiana.


Redditometro 2013, le critiche di Adusbef:

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Ad avanzare questi dubbi di legittimità sul nuovo redditometro 2013 è stata l’Adusbef, l’associazione in difesa dei diritti dei consumatori che pone in luce come il nuovo redditometro viola gli articoli 3, 24 e 53 della Costituzione e dello Statuto dei diritti del contribuente.

Onere della prova a carico del contribuente? E’ sbagliato:


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Le critiche mosse al nuovo redditometro riguardano innanzitutto il fatto che pone a carico del cittadino contribuente l’onere della prova per discolparsi e giustificarsi da eventuali spese fatte eccedendo il reddito dichiarato del 20%. “In qualsiasi civiltà giuridica dovrebbe essere posto (l’onere della prova) in capo all’amministrazione pubblica, la quale dispone di strumenti invasivi e di accesso ai conti correnti bancari e postali, non c’entra nulla con la lotta all’evasione, assomigliando a uno strumento coercitivo teso a terrorizzare i contribuenti onesti piuttosto che gli evasori” sottolinea l’Adusbef. Il presidente Lannutti ha affermato che “Numerose pronunce consolidate di Cassazione (l’ultima n. 23/554 del 2012 depositata il 20 dicembre scorso), che fornisce nuovi chiarimenti sui controlli fiscali del nuovo redditometro, hanno stabilito che in merito al redditometro, è il Fisco a dover provare l’incoerenza del reddito in ordine alla presunzione semplice dell’accertamento sintetico, essendo lo stesso redditometro uno strumento di accertamento sintetico che permette al Fisco di formulare solo una presunzione semplice non una presunzione legale, e quindi non può scaricare l’onere della prova sulle spalle del contribuente, stabilendo la Corte che non è il contribuente a doversi difendere sulla base dell’accertamento da redditometro, come previsto dalla nuova legge, ma è il Fisco a dover provare l’incompatibilità del reddito dichiarato con spese effettuate e tenore di vita”. L’associazione in questione ricorda come la lotta all’evasione fiscale nel nostro sistema può già contare sui numerosi strumenti di cui dispone l’Agenzia delle Entrate e sulle nuove norme introdotte da Governo, dal controllo dei conti correnti bancari e postali ai vari archivi informatici in possesso del Fisco in base ai quali si possono incrociare i dati dichiarati e quelli relativi alle spese realmente sostenute, con gli stessi conti correnti bancari. “E’ solo un’inutile vessazione addossare l’onere della prova sulle spalle dei contribuenti, se l’amministrazione finanziaria già dispone tutte le informazioni.

Redditometro retroattivo:


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Altro profilo di incostituzionalità che presenta il nuovo redditometro 2013 concerne il fatto che il calcolo redditometro si effettua per redditi risalenti al 2009. L’articolo 1, primo comma, del decreto ministeriale sul redditometro 2013 afferma che le disposizioni ivi contenute trovano applicazione per la determinazione sintetica dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2009. Ciò comporta la retroattività del nuovo strumento di accertamento sintetico del reddito delle persone fisiche, in contrasto con quanto affermato nell’articolo 3, primo comma, della legge n. 212/2000, in base al quale le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo.

Primi ricorsi contro il redditometro:


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Sulla base di questa critiche, l’associazione dei consumatori Adusbef ha dato mandato ai propri legali di impugnare il decreto ministeriale sul nuovo redditometro 2013, poiché affetto da rilevanti vizi di illegittimità, anche di ordine costituzionale, “che invece di contribuire alla lotta all’evasione e all’elusione fiscale” – afferma il Presidente – “ sta ottenendo l’effetto di un ulteriore risentimento dei contribuenti onesti, spesso perseguitati, verso il Fisco e un vero e proprio Stato di polizia fiscale”.






 

 
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