Blue in green

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Se Satana e Dio si contendono l’anima dell’uomo,  sottraendoci alla lusinga ingannevole dei colori, la guerra eterna fra il bianco angelico e il nero demonico è visibile: c’è però un inizio ed è l’istante in cui l’essere umano smarrisce il candore dell’età infantile e la psiche diventa territorio infernale. La fenomenologia della crudeltà gratuita è il centro nevralgico della filmografia di Haneke, ma Il nastro bianco ne capovolge lo schema tipico: gli effetti del male fanno da cornice a una tormentosa indagine sulle radici profonde del medesimo.  
Tutto ambientato in un microcosmo claustrofobico è il racconto del maestro del villaggio. Un memoriale triste, perché abitato dai fantasmi di due personaggi che, messi insieme, sono nient’altro che la personificazione dei grandi fantocci-dittatori, di cui la storia di quegli anni (ma ce n’è in giro anche oggi) è sovraffollata: si tratta del Barone e del pastore protestante. Nel villaggio tutto è guidato dalla sventura. Il film si apre con l'incidente a cavallo di cui è vittima il dottore del villaggio, scaraventato in terra da una corda tesa tra due alberi, ma di lì a poco anche la moglie di un contadino precipiterà da un soppalco. Il figlio della donna crederà che colpevole dell’omicidio è il Barone, a cui devasterà il campo di cavoli. Insomma, tutta la vita della piccola comunità sarà una catena di montaggio della violenza, ora a botte di corpi che si picchiano, poi attraverso una violenza verbale, che ha la stessa valenza di quella fisica. Terrificante la crudeltà del pastore nei confronti dei figli. Stupefacente, nonostante la tragicità, la scena in cui un bambino pone delle domande alla tata sulla morte, domande che precederanno di poco la scoperta di una madre in viaggio per sempre nell’aldilà.Non c’è nulla nel film che resta puro, bianco ed immacolato, come il nastro dei ricordi; finanche i bambini, che meravigliosamente fotografati (Christian Berger) mostrano la loro innocenza, man mano che la storia si dipana, emergono anche in loro più le ombre, che le luci, più i grigi, che i bianchi: rappresentazione della loro decadenza morale, di cui si sono nutriti in quel luogo e fra quegli adulti. L’apice della malvagità salirà e raggiungerà il suo culmine, quando arriverà la vigilia della prima grande guerra. Il nastro bianco è un film a tesi, in cui però, la più importante è quella secondo cui non esiste alcuna purezza e ingenuità nelle azioni umane. D’altronde Haneke non ci ha mai creduto, non ha avuto mai ‘niente da nascondere’. Non sarà un caso che Il nastro bianco è il vincitore della Palma d’Oro a Cannes 2009[…] Film sulla vita, sulla morte, ma soprattutto sulla mancanza alcuna di espiazione.Giancarlo Visitilli