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Quando si dice la classe


Il risvolto che mi fa veramente cappottare in tutto questo feuilleton, è che la sposa, per poter impalmare l’Alberto, s’è dovuta convertire per legge al cattolicesimo. A parte la bellezza implicita nel concetto di conversione obbligatoria per legge – che è un po’ come fare un decreto per imporre la felicità, a rischio di gravi sanzioni pecuniarie ed amministrative in caso di inadempienza – è proprio la premessa ad essere meravigliosa. Specie se la metti in relazione alle conseguenze. Imporre una fede che nei secoli si è dotata di un’armatura morale flessibile quanto una Vergine di Norimberga, e ancora prima che il sole sorga sulla seconda settimana di matrimonio, collezionare una serie di irregolarità tale da risultare insanabile anche assoldando tutto il cucuzzaro della Sacra Rota e impegnandolo in una catena di montaggio di giaculatorie a reti unificate senza nemmeno un pit stop. Oddio, rispetto alla tendenza media del cattolicesimo, s’è visto di peggio, non c’è dubbio. In effetti è una mia debolezza, ma non so che farci. Non c’è attività ludica che mi diverta quanto osservare un credo monoteista sopraffatto dal peso delle sue contraddizioni.