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Età ingrata


Ogni tanto in palestra incrocio un ragazzetto che è un manifesto vivente della misura in cui la vita può infierire su un adolescente.Avrà forse sedici anni. Sguardo abulico, prestanza bovina, andatura trasandata, capello riccio e scuro tagliato alla porca l’oca, assenza di riflessi interiori, vita emotiva ridotta ai soli impulsi essenziali. In più, 20 chili di troppo. Brufoli no, non ne ha. Ma si vede che il dio della sfiga si è mosso a pietà e ha ritenuto di non dover infierire. E’ una cosa a metà tra una versione sovradimensionata di Giacomo Leopardi, e una ridotta di Palla di Lardo in Full Metal Jacket.La cosa che mi turba poi non è tanto il suo aspetto fisico, ma il senso di impotenza con cui se lo trascina dietro. Non posso dire che venga a fare atto di presenza. Si allena. In realtà si allena. Lo vedo passare da una macchina all’altra, afferrare i pesi e tirare. Ma quando lo osservo in pausa mi devasta la tristezza. Perché seguo il suo sguardo, che punta sempre verso un vuoto interiore profondissimo, e capisco bene che in fondo non ci crede neanche lui. Non crede nella possibilità che quello che fa possa migliorare il suo fisico infelice. Non crede che la qualità della sua vita possa evolvere in qualcosa di meglio. Non crede che le sue giornate finiranno per avere un senso prima o poi. Vorrebbe, altrimenti non sarebbe lì.  Ma con tutta la buona volontà proprio non ci riesce.A ripensarci ora, quello che ho davvero odiato della mia adolescenza è stato prorio questo. Che per quanti sforzi facessi, avevo la netta sensazione che niente fosse davvero nelle mie mani, e che la mia felicità non dipendesse da me. La mia vita era catastroficamente eterodiretta. Chissà, magari era una questione di ormoni. Ho sentito dire che possono fare questo effetto.Resta il fatto che non si cita mai abbastanza spesso Paul Nizan:Ho avuto vent’anni, e non permetterò a nessuno di dire che è stata l’età più bella della mia vita.