middlemarch

Amabili incomprensioni


C’è questo amico che conosco da moltissimi anni. Da quando ci siamo incontrati  la prima volta è passata un’intera generazione, e se ci capitasse oggi di rivedere foto di quei tempi – non ne abbiamo nessuna in cui siamo presenti insieme, ma se ne avessimo – sarebbe il genere di foto di cui ci vergogneremmo a morte. E ci verrebbe da ridere mettendo una mano sugli occhi per l’orrore. Non posso avere indossato pantaloni con quelle pence, non posso essermi fatta una permanente di quel tipo. E non sono mai andata a un concerto degli Spandau Ballet. Sapendo che in psicodinamica è un classico caso di negazione. L’hai fatto. Eccome se l’hai fatto. Anche se non hai le foto. Con gli amici che ti hanno visto in quelle condizioni, tendi sempre a una certa involontaria indulgenza, è un po’ un complesso da ‘ndrangheta relazionale. Hai visto e sentito troppo di me. Non mi posso permettere di sbilanciarmi. Devo stare accorto, sono ricattabile. Mutuamente, per fortuna.Per la verità da allora e per anni e anni non ci siamo più visti né sentiti, per cui a stretto rigore è un’amicizia lunga, ma strana. Biograficamente un po’ a macchia di leopardo. E se è per questo parziale anche nel coinvolgimento. Lui dice che vent’anni fa non eravamo amici, facevamo solo parte dello stesso gruppo. Ma molto dipende dal fatto che non si ricorda manco cos’ha mangiato a pranzo, per cui figurati se può tenere a mente tutti i discorsi che ci siamo fatti vent’anni fa.La cosa che non mi spiego è la facilità con cui ci fraintendiamo. E’ una deriva comunicativa che ha del patologico, una torre di Babele ad uso privato di una sola coppia di semiti, che peraltro basta e avanza a mandare tutto in vacca. Uno di noi dice una cosa, e l’altro inferisce l’intenzione opposta a quella che ha motivato il commento. Lui in effetti sostiene che le cose non stanno proprio così, e che quella pazza sono io, sono io quella che fraintende tutto. Lui è sempre limpido. Cristallino. A me sembra un po’ parziale come ricostruzione dei fatti, e francamente non so quale giuria riuscirebbe a convincere, ma comunque ve la cito lo stesso, poi vedete voi.Se la vita fosse la somma biografica degli eventi che ci capitano, distillata dai sentimenti in cui galleggia, ci saremmo mandati a fare in culo dieci giorni dopo esserci ritrovati, perché ci siamo fatti degli scazzi irragionevoli fondati proprio sul niente ma in compenso davvero brutali.Invece stiamo sempre qui, perché ci vogliamo un bene irragionevole. Vabbè, sto parlando anche per lui e forse non dovrei. Diciamo allora che io gliene voglio. Ma anche lui, credo. E poi perché quando non litighiamo ci raccontiamo un sacco di belle storie, e le belle storie sono abbastanza importanti nella vita.Per un po’ ho pensato che i miei sentimenti verso di lui, e i conseguenti epidemici scazzi, fossero inquinati da altre cose che lo riguardavano, anche perché i sentimenti hanno una tendenza ad aggrovigliare le motivazioni che è una bellezza. Ma più andiamo avanti, meno questa ipotesi mi convince. Il rischio dell’incomprensione è diventato una specie di avvoltoio che volteggia su ogni cosa che ci diciamo, e certe volte mi pare che invece di comunicare tutta la nostra energia sia concentrata ad osservare il cielo, per vedere se per caso decide di calare in picchiata.Mi ossessione una sola cosa: che cacchio di debito karmico dobbiamo avere l’uno verso l’altro per ricascare così sistematicamente nello stesso errore? Che cosa possiamo esserci fatti, e in quante precedenti esistenze, per avere un tale difficoltà ad assumere in quieta coscienza i reciproci ruoli?Mai, mai che ci fosse un mago Otelma in giro quando te ne serve uno, cazzo.