middlemarch

Riceviamo e volentieri pubblichiamo


Sono tornata. La cosa non vi farà sobbalzare dalla sedia, ne sono consapevole. Ciò nonostante l'ho fatto. E il Cielo me ne ha reso merito. Potevo lasciare una simile perla nel commentario? No. Non potevo. Assolutamente. Condividiamola nel posto che merita di occupare, dunque.Mi trovai a passare dalle parti del Circolo del Cucito e pensai di entrarci un minuto. Così. Per guardare se fosse tutto in ordine. Parcheggiai. Attraversai il viale ed entrai dalla porta del commentario. Era aperta. Non accesi nessuna luce. Bastava quel barlume che arrivava di traverso dal lampione della strada ed era appena filtrato dalla sottile trama della tenda. Sedendomi sul divano notai il led verde della segreteria che lampeggiava. Abbassai il pulsante. La sua voce."Sono ancora fuori. Ci sentiamo lunedì, brutti pervertiti."Sorrisi e mi sorpresi di essere un pò geloso di quel messaggio al plurale. Alle volte basterebbe un singolare a farti sentire parte importante di qualcuno. Col plurale ci sei lo stesso ma sei uno dei tanti.Mi venne in mente quella nostra prima volta. Mi trattò come un pirla poi, frequentandola, scoprii che io non ero l’eccezione ma la regola. Anche gli altri li trattava da pirla. Mi disse "io sono bocca, lingua, mani, culo e figa. Niente sentimenti con me. Niente sguardi da pesce lesso. D’impegnativo ci sono solo gli orari, punto. Mi piace la buona cucina ma non so cucinare e non ho nessuna voglia d’imparare. Amo la pittura e la fotografia. La musica classica ed il teatro. Sesso, finchè ne abbiamo voglia ma senza amore. Ho paura di morire e perciò ho fretta di vivere".La frequentavo da oltre un anno quando mi accorsi che mi piacevano cento cose di lei e ne detestavo altre duecento. Due cose, invece, mi stupivano. Quel suo modo di aggredire la vita. Era l’unica persona che riusciva ad anticiparla. A non inseguirla ma a farsi inseguire. L’altra cosa che mi sorprendeva era quella roba che aveva fra le cosce. Una meraviglia che, quella sera, se l’avessi avuta a filo di labbra, leccandola e baciandola fra un verso e l’altro, le avrei dettosempre caro mi fu quest'ermo colle e questa siepe,che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella,e sovrumani silenzi,e profondissima quiete io nel pensier mi fingo;ove per poco il cor non si spaura.E come il vento odo stormir tra queste piante,io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando:e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni,e la presente e viva, e il suon di lei.Così tra questa immensità s'annega il pensier mio:e il naufragar m'e' dolce in questo maree senza più allegorie gliel’avrei succhiata fino a farmi venire in bocca quel suo sapore. Così denso. Così tanto. Così pieno di lei. Mi alzai dal divano tirandomi fuori da quella specie di trance. Uscii dal commentario pensando che se non volevo perderla non potevo permettermi il lusso d’innamorarmene.La sera fuori era come lei dentro. Calda ed umida.