middlemarch

Dannati reprobi


 Ieri a Otto e mezzo si parlava di Dio.C’è. Non c’è. Potrebbe esserci. Presenziavano Margherita Hack – che non mi sembra lucidissima ma va capita, non è  più nel fiore degli anni – una giornalista spagnola di cui non ricordo il nome, e Antonio Socci. Antonio Socci fa sempre la sua porca figura, anche fisicamente. Perché è difficile coltivare il talento di mettere i brividi quando non sei supportato da una struttura fisica particolarmente indecente. Voglio dire, a occhio umano pare quasi normale. Non c’è niente che richiami la tua attenzione in modo particolare. Bisogna ascoltarlo parlare, se possibile destrutturando il senso di ciò che dice a favore dei toni. E’ qualcosa che si percepisce: la sua esagitazione a sfondo mistico, la vibrazione inquieta della forza, l’inquietudine che non riesce mai davvero a nascondere. Sia detto a  scanso di equivoci: non tutti i cattolici oltranzisti mi fanno questo effetto. Posso non concordare con loro, e non lo faccio quasi mai, ma solo alcuni mi intimoriscono. Antonio Socci mi intimorisce. Parecchio. Insomma si è parlato anche della campagna per l’ateismo che si sta svolgendo in tutta Europa. Il manifesto che mi è piaciuto di più è quello spagnolo che dice: probablemente Dios non existe. Deja de preocuparte y disfruta la vida. Disfruta la vida non è facilissimo da tradurre. Vuol dire un insieme di cose. Goditi la vita. Vivila pienamente. Apprezzala. Assaporala. Sii felice. Antonio Socci l’ha tradotto così: spassatela finché puoi. Mi colpiscono sempre questi piccoli dettagli così rivelatori. Di base c’è un piccolo errore linguistico, quasi trascurabile. Socci probabilmente non consce lo spagnolo, il che non è una colpa. Ma traducendo a occhio, tra le decine di possibilità che aveva a disposizione ha scelto questa: spassarsela. Che non solo è sideralmente distante dal significato reale del verbo, è anche rivelatore della tendenza dei cattolici a considerare insignificante e stupidamente edonistica qualsiasi attitudine esistenziale che non si maceri nel senso della colpa e del peccato.  Di tante e tante cose che mi fanno incazzare di loro questa è proprio la più clamorosa di tutte. L’idea che essenzialmente nella felicità c’è qualcosa di sbagliato. Qualcosa di disdicevole. E se proprio la vogliamo dire tutta: qualcosa di colpevole.