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Corpus iuris incivilis

Post n°497 pubblicato il 30 Aprile 2009 da middlemarch_g
 

giustiniano

Giustiniano e Teodora. Un incipit di un certo rilievo, se permettete. Sono mica tanti i blog che se la tirano così. Mi tornano in mente per alcuni dettagli salienti della loro biografia. Non so se li collocate cronologicamente. Giustiniano è stato l'imperatore romano – prima della sola area orientale, e poi di tutto l’ambaradan ricongiunto Oriente-Occidente  – che ha regnato a cavallo tra la prima e la seconda metà del VI secolo. Prima di arrivare al potere era un funzionario imperiale, mentre Teodora – ah, Teodora! - doveva essere davvero un gran bel tipo se le riuscì l’impresa di partire attrice figlia di un domatore di orsi del circo – che a quell’epoca significava: puttana, né più né meno, e patentata – a basilissa d’Oriente. Un bel saltino concettuale in un’epoca in cui il principio dei vasi comunicanti tra politica e spettacolo era meno scontato di quanto non sia diventato oggi. Lui doveva evidentemente avere un ego sfrenato se concepì una cosa ormai fuori tempo  massimo come riunificare le due parti dell’Impero. E infatti fu un’impresa grondante sangue che diede avvio a una guerra durata 30 anni capace solo di dissanguare le casse dello stato, riconquistare qualche acquitrino paludoso in Italia tanto per raccontarsi la favola dell’avvenuta riunificazione, e poi spirare nelle fogne della storia. Una cosa che ha del comico: Giustiniano morì nel 565. Neanche 3 anni dopo, una mandria di Longobardi incazzati piombò in Italia dalle steppe dell’est e riconquistò tutto quello per cui lui aveva combattuto per l’intera durata del suo regno. Proprio un bell’affare, insomma. Non ha fatto solo questo, si sa. Qualcosa di buono l’ha combinata, ma quello che invece mi è rimasto in mente è l’avere indotto il suo predecessore sul letto di morte a firmare un provvedimento ad personam che gli consentisse di sposare Teodora, cosa che la legge gli impediva data la sensibile differenza di casta. Poi, una volta insediati entrambi sul trono, gestirono con molta furbizia un altro antipatico affare di stato. Lui era devoto alla chiesa di Roma, lei invece aderiva alla setta del monofisismo, cristiani anche loro, ma in un’altra variante patologica condannata dall’ortodossia romana. Siccome erano epoche in cui il mondo proliferava di sette nel nome di Cristo e bastava davvero pochissimo per legnarsi a morte e provocare disordini, la partita doppia spirituale ai massimi vertici del potere faceva contenti un po’ tutti. Giustiniano condannava qualche gruppuscolo di facinorosi monofisiti ai lavori forzati, e Teodora sottobanco li faceva uscire di galera. Uno proscriveva, l’altra perdonava. Così non c’erano malumori e i disordini si evitano con più facilità. Una gentlemen’s agreement molto italiano, se ci pensate.

Per riassumere quindi: una coppia costituita da un egomaniaco convinto di essere l’Unto del Signore che si fa le leggi per suo personale tornaconto e si impegna in opere faraoniche senza costrutto, e un’imperatrice dietro le quinte che prima di sposarsi calcava le scene. Ora chiedo: non vi ricorda qualcuno? Mannò, mannò, dài, maliziosi. Non volevo alludere. E se vi è sembrato che alludessi è perché sono stata fraintesa.

E’ che l’affaire di questi giorni tra Silvio e Veronica mi ha fatto ripensare a tutta la faccenda. In un certo senso è un po’ come per la storia della doppia vocazione religiosa. Lì aderivano a due versioni diverse del cristianesimo, qua fanno finta di avere due visioni diverse della politica, così noi ci appassioniamo al decorso degli eventi e siamo tutti contenti mentre la storia, come di consueto, si fa altrove. Avete notato che in questi anni è bastato che Veronica aprisse bocca per una dire una minchiata qualsiasi – non necessariamente fessa ma di sicuro nemmeno rivoluzionaria, ché al massimo della forma ha partorito solo qualche impercettibile presa di distanza dalle posizioni del marito,  roba che per misurarla ti ci vuole un comparatore millesimale e un tecnico laureato – ed è immediatamente assurta ad eroina degli umiliati e oppressi? Non c’è una volta che qualcuno non l’abbia promossa a paladina dell’opposizione e non le abbia proposto una candidatura. Che dà la misura di un sacco di cose. Come minimo del significato dell’adesione ai voleri del leader all’interno del partito delle Libertà. E’ sufficiente che uno non sia uno schiavo allineato e totalmente compiacente perché per l’opposizione diventi un eroe delle schiere girondine. In fondo, dice molto anche dell’opposizione stessa, visto che sono loro che poi di fatto la beatificano.

Poi più di tutti mi ha colpito il commento di lui, il basileus dico. Stavolta non mi scuso. Capito? stavolta non si scusa. E’ tragicamente rivelatore l’aver reso pubblica questa sua considerazione. Non per il contenuto, ma per il gesto, perché è un’affermazione che meriterebbe un solo commento: e a noi che cazzo ce ne frega? Lo devi dichiarare ai giornali? E’ una cosa che vi dovete smazzare tu e tua moglie. Cazzi privatissimi.

Ci piacerebbe che fosse così. Sarebbe giusto che fosse così. Ed è sempre più vero che non è mai così. I cazzi privati e quelli pubblici ormai si equivalgono, e quel che è peggio hanno preso il posto della politica.

All’epoca di Giustiniano magari uno se ne faceva anche una ragione. Del resto, si sa, erano secoli bui. Certo è che oggi risulta più difficile gestire il grandissimo rodimento.

 
Rispondi al commento:
middlemarch_g
middlemarch_g il 06/05/09 alle 08:34 via WEB
Non so se fosse più facile a quei tempi, certi era più nella natura delle cose. Quelli come noi non avevano voce in capitolo, mai, e lo sapevano. Il bello e il brutto della democrazia è che richiede almeno l'atto formale dell'adesione, per cui quando poi ti accorgi che è pura fuffa ti senti preso per il culo. Il richiamo a Spartaco, poi, è piuttosto esemplificativo del fatto che le cose cambiano per non cambiare mai. Nel senso che pure a lui e ai compagnucci di merende non è andata molto bene, no? Tremila croci lungo la via Appia. Sarà mica stato un bello spettacolo...
 
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