Creato da middlemarch_g il 24/01/2008
'Fallisci meglio' è il mio secondo nome
 

Messaggi del 19/11/2008

Cose di donne 3:   tertium datur

Post n°351 pubblicato il 19 Novembre 2008 da middlemarch_g
 

Qualcuno mi ha rimproverata dicendo che è stato un peccato cambiare argomento passando dalla passività colpevole delle donne di fronte al sopruso, all'auspicio poetico che vincola certi subumani al desiderio della loro verginità. Io invece non sono d'accordo. Secondo me c'è un filo unico che lega questi due concetti, e un'infinità di altri, al sudario di miserie che molte donne indossano con poca grazia, ma spesso con grande spirito di collaborazione. E per concludere la serie in letizia voglio aggiungere un nuovo post, così completiamo il trittico e scoperchiamo un altro piccolo sepolcro pieno di vermi di cui del resto in questi giorni molto si discute. Meritevolmente.

Immagino avrete sentito parlare della reazione polemica al manifesto per la campagna antistupro a Milano. Non sono certa di poter aggiungere qualcosa di nuovo a un argomento molto dibattuto come questo, però ci provo. Lo faccio per non dimenticare che nella storia, lo sforzo per recludere le donne nello spazio socialmente più inoffensivo, è stata una titanica impresa a cui hanno collaborato in molti, le donne per prime, ma la Chiesa certamente con più entusiasmo di altri.

Io dei cattolici oltranzisti amo diverse cose. Per esempio adoro il modo in cui pretendono di importi i simboli della loro fede perfino nei luoghi che per definizione dovrebbero essere laici e quindi privi di richiami religiosi di qualsiasi tipo – prendi il crocefisso a scuola – in nome di un preteso universalismo culturale della fede cui nessuno può sottrarsi in un paese di tradizione cattolica come il nostro, e poi all'improvviso, quando dimostri di avere intimamente riflettuto sulla natura di quel simbolo e ne fai un uso serio e dolorosamente rigoroso come questo, si trasformano in una banda di esclusivisti settari pronti a erigere steccati semantici di filo spinato intorno alle proprie icone, con le picche ai cancelli e i giannizzeri alla porta. D'improvviso il cattolicesimo non è più un linguaggio universale che parla al cuore dell'Uomo per cui te lo devi sorbire anche tu che non lo condividi e possibilmente non rompere i coglioni. Il richiamo al rispetto di certi confini della morale e l'invito a praticare il proprio credo in piena libertà, ma strettamente in casa propria, smette di essere una forma di bieco anticlericalismo vieto e superato e diventa un comportamento rigoroso e auspicabile. Sono loro ad essere felicissimi di chiudersi in casa e strappare l'etichetta col nome dal citofono, per carità! Il simbolo della croce un linguaggio universale per riflettere sulla violenza bieca contro una creatura innocente? Ma quando mai! Sbagliato. Sbagliatissimo. Offensivo perfino. Più il commento classico con cui si va sempre sul sicuro e non si esce mai dal seminato: di cattivo gusto.

A me sta anche bene. Se si tratta di sacrificare un poster direi che è una rinuncia che possiamo affrontare. Però ricordiamocene la prossima volta che cagheranno il cazzo perché il cristianesimo è un'eredità universale. Universale vuol dire questo: che ognuno ci riflette ed è libero di condividere con gli altri la natura delle sue conclusioni. E non che una minoranza in porpora attribuisce un valore alle cose, e poi dice all'universo mondo che uso deve farne, sennò è sacrilegio.

La cosa buffa, la somma presa per il culo della storia poi è questa. Che i cristiani della croce si sono vergognati per secoli. La testimonianza iconografica più antica che si conosca è del V secolo, 400 anni dopo i fatti. Prima di allora non se lo sognavano nemmeno di mettere croci sui muri, e meno che mai di rivendicare l'esclusività del simbolo. Cercavano di dimenticarselo, semmai, perché la condanna a morte in croce era riservata ai briganti della specie peggiore, e non ci si faceva una bella figura a raccontare di avere un Dio morto proprio in quel modo lì, come ci ricorda una valanga di trattatistica anticristiana che faceva spesso riferimento a quest'accusa sapendo di rigirare il dito in una piaga molto dolorosa. Hai visto che curiose parabole percorrono le icone, come del resto le parole e tutti i codici atti a veicolare un significato? Che oggi ti marchiano come un mentecatto seguace di una religione di pezzenti, e domani di fronte alla rilettura di quell'immagine in una forma purissima di dolore senza redenzione, permettono a qualcuno di puntare il dito contro di te e dire: blasfemia.

E per concludere con le donne che sono le peggiori nemiche di se stesse, leggetevi l'articolo fino in fondo, lì dove la Kusterman dice che per evitare polemiche si è deciso di sostituire l'immagine con quella dell'Apollo e Dafne del Bernini, la cui analogia con il contesto dello stupro è palese per chiunque. E' così che ti senti quando ti fanno una cosa del genere, vero? Tanto più che se qualcuno ti stupra puoi essere certa che si tratta sempre di un dio biondo dagli occhi cerulei col torace scolpito che approfitta di te in un bosco secolare fra stormire di fronde, mentre le muse in lontananza accompagnano i tuoi sospiri con delicate melodie. Per cui il messaggio in fondo è all'incirca sempre quello. Dài, dì la verità. Dilla. Non è stato tanto male. In fondo t'è piaciuto.

Tutto regolare. Tutto secondo i pronostici. In sé e per sé la cosa non mi fa manco incazzare per quanto è prevedibile. Ma se rifletto che è una donna a sostenere questo, ecco, un po' di rodimento, onestamente, lo provo pure io.

 
 
 

Great expectations

Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio.

Samuel Beckett

 

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