Creato da middlemarch_g il 24/01/2008
'Fallisci meglio' è il mio secondo nome
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Messaggi del 22/01/2009
Ieri a Otto e mezzo si parlava di Dio. C’è. Non c’è. Potrebbe esserci. Presenziavano Margherita Hack – che non mi sembra lucidissima ma va capita, non è più nel fiore degli anni – una giornalista spagnola di cui non ricordo il nome, e Antonio Socci.
Antonio Socci fa sempre la sua porca figura, anche fisicamente. Perché è difficile coltivare il talento di mettere i brividi quando non sei supportato da una struttura fisica particolarmente indecente. Voglio dire, a occhio umano pare quasi normale. Non c’è niente che richiami la tua attenzione in modo particolare. Bisogna ascoltarlo parlare, se possibile destrutturando il senso di ciò che dice a favore dei toni. E’ qualcosa che si percepisce: la sua esagitazione a sfondo mistico, la vibrazione inquieta della forza, l’inquietudine che non riesce mai davvero a nascondere. Sia detto a scanso di equivoci: non tutti i cattolici oltranzisti mi fanno questo effetto. Posso non concordare con loro, e non lo faccio quasi mai, ma solo alcuni mi intimoriscono. Antonio Socci mi intimorisce. Parecchio.
Insomma si è parlato anche della campagna per l’ateismo che si sta svolgendo in tutta Europa. Il manifesto che mi è piaciuto di più è quello spagnolo che dice: probablemente Dios non existe. Deja de preocuparte y disfruta la vida.
Disfruta la vida non è facilissimo da tradurre. Vuol dire un insieme di cose. Goditi la vita. Vivila pienamente. Apprezzala. Assaporala. Sii felice. Antonio Socci l’ha tradotto così: spassatela finché puoi.
Mi colpiscono sempre questi piccoli dettagli così rivelatori. Di base c’è un piccolo errore linguistico, quasi trascurabile. Socci probabilmente non consce lo spagnolo, il che non è una colpa. Ma traducendo a occhio, tra le decine di possibilità che aveva a disposizione ha scelto questa: spassarsela. Che non solo è sideralmente distante dal significato reale del verbo, è anche rivelatore della tendenza dei cattolici a considerare insignificante e stupidamente edonistica qualsiasi attitudine esistenziale che non si maceri nel senso della colpa e del peccato.
Di tante e tante cose che mi fanno incazzare di loro questa è proprio la più clamorosa di tutte. L’idea che essenzialmente nella felicità c’è qualcosa di sbagliato. Qualcosa di disdicevole. E se proprio la vogliamo dire tutta: qualcosa di colpevole. |
Non so perché le vicende del presidente insediato attirano tanto la mia attenzione, sospetto che sia un po’ come quando diventi una donna vecchia e cinica che non si aspetta più niente dalla vita in generale, e dagli uomini in particolare. Sai che anche questo è come tutti gli altri, nessun motivo valido per credere che possa essere diverso da quelli che l’hanno preceduto o che lo seguiranno. Eppure una parte di te, occultata molto in profondità, spera ancora, incredibilmente, che possa verificarsi il miracolo.
Comunque. In realtà ieri sono stata attratta dai commenti di quel gran pezzo di giornalista che è Giulio Borrelli, non so se avete presente. Un fenomeno. Uno che ha il talento di parlare per ore, giorni o settimane, senza riuscire a dirti neanche per sbaglio una cosa che già non sai. Il commento a posteriori. Il Reader’s Digest della notizia. Un bel modo per lavarsene le mani, volendo.
In alternativa ai suoi commenti sottovuoto spinto può solo offrirti del gossip, o della fuffa mediatica da 4 dobloni. Ieri per esempio ci ha rifritto la solita storia dello stile di Michelle Obama. E le donava il completino giallo-oro di Isabel Toledo indossato per il giuramento? E per la cena era veramente il caso di optare per il vestito bianco-floreale di James Wu? E il suo stile easy e femminile è davvero up-to-date o non denuncia piuttosto una certa colpevole trascuratezza in proposito?
E poi, naturalmente, perché è un confronto a cui non ci si può sottrarre in nessunissimo caso, la domanda imprescindibile: nella scala Jackie Kennedy come si colloca Michelle Obama? Cioè: è degna di ottenere almeno un punteggio minimo, se non altro di stima e incoraggiamento, oppure come alcune delle impresentabili first lady degli ultimi vent’anni – prendi entrambe le signore Bush affette da quello stile mucolitico che fa tanto vecchia-carampana-intenta-a-preparare-la-composta-di-arance anche quando è in visita ufficiale al Cremlino – deve essere chiaro fin da subito che non gliela fa?
A me tutto questo fa un’inesprimibile tristezza. Il pensiero cioè che una donna coi controcoglioni com’è visibilmente Michelle Obama debba subire l’onta di essere confrontata con Jacqueline Kennedy per dimostrare quello che vale, mi turba fino alle lacrime. Una che s’è laureata due volte, ad Harvard e a Princeton, e che, contrariamente ad alcune sue omologhe tipo la Condoleeza Addams, è riuscita a farlo senza per questo sacrificare il gusto per una sua personale versione della dolcezza e della femminilità, deve subire l’onta di una valutazione secondo i parametri di una pupazza morta da un decennio che scambiava la personalità per una collezione di tailleur.
E non è tanto con la Kennedy che ce l’ho, così come non me la prendo direttamente con le tante icone di stile – Dio quant’è fetente questa perifrasi! – non fosse altro perché sarebbe come cavare sangue da una rapa. Io me la prendo con chi le beatifica, con chi ne fa dei modelli da imitare. Ma più di tutto me la prendo con le donne che si lasciano infinocchiare da questa innominabili stronzate.
Michelle, sei tutte noi. Vai dritta per la tua strada. E come si dice dalle mie parti: faje male. |
Great expectations
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