Viva l'aparteid

Viva l'apartheid - capitolo 2


Capitolo 2Bombay. Città fantastica, città dove le malattie veneree sono endemiche: ogni donna le trasmette. Ed anche io ebbi modo di verificare questa dura realtà, nonostante avessi scelto una principessa, a dire il vero non molto bella, conosciuta nell’occasione in cui mi ha depositato un preziosissimo cofanetto, zeppo di gioielli all'ufficio commissario, da mettere in cassetta di sicurezza; cofanetto aperto proprio davanti ai miei occhi, forse per farmi vedere la ricchezza del contenuto e per diventare più interessante ai miei occhi. Ero certo che con la principessa non avrei avuto problemi, come succedeva a tutto il resto dell'equipaggio, quando arrivava in India. Erano perlomeno in 200 i marinai che marcavano visita dopo una puntatina ai casini indiani. E certo non mi aspettavo che io, dopo essere stato con la principessa, avrei avuto anche io lo stesso problema.Era scura, di pelle creola, non molto alta, non aveva niente di principessa, tranne forse un diadema incastonato nella fronte, e un preziosissimo abito, quella specie di sari che indossano le donne indiane. Tanto è vero che ho scoperto che per svestirla, lei doveva girare su se stessa, e io dovevo mantenere rigido questo sari. Così è uscita dal sari questa principessa che non mi faceva proprio impazzire: era anche un poco pelosa, il solo merito che aveva era quello di essere una principessa. Il mio compito di commissario, a bordo, era quello di accontentare i passeggeri, ed io, pur di accontentare la principessa, le ho tolto il sari. Non avrei immaginato che per questo mio regale intervento avrei beccato, anche se in maniera lieve, anche io quella malattia venerea, che mi ha costretto a 15-20 giorni di astinenza e penicillina, che l’affettuosissimo medico di bordo mi ha prescritto. Costretto ad una astinenza forzata e imbottito di antibiotici, ho maledetto la principessa, quando abbiamo lasciato Bombay. La nostra nave in crociera nel oceano Indiano spesso si fermava a Bombay e Caraci.Caraci era estremamente interessante: avevamo una ricchissima clientela che voleva necessariamente fare escursioni favolose in questa terra così affascinante per gli europei di allora. E una volta il responsabile del turismo del governo pakistano ha ritenuto, visto la moltitudine di persone, che noi portavamo a visitare il loro paese, e gli affari che gli stessi facevano con il nostro turismo, di invitare un responsabile della nave, uno dei commissari e cioè io, ad un pranzo di gala, offerto appunto dal politico preposto. Ricordo di aver mangiato delle cose che non avrei mai immaginato, in vita mia, di poter mangiare. Tra le tante, anche un serpente. Ed era l’idea di averlo mangiato che mi faceva stare male, non il sapore in se stesso, perché, a dire il vero, non era male: poteva essere anche un capitone, e, per me che sono partenopeo, il capitone è una pietanza tradizionale della nostra cucina, molto apprezzata. Quando poi il responsabile del turismo ci ha invitato a fare una grande corsa, sul dromedario, sulla spiaggia, corsa che avevano organizzato proprio in nostro onore, il pensiero di aver mangiato un serpente ed il movimento del dromedario, alla fine, mi hanno fatto sentire molto male e, così, ho lasciato sulla spiaggia pachistana i residui di quel pranzo esotico.Poi la nave attraccava a Bombay. Straordinaria città dalle contraddizioni stridenti, molto contrastanti, povertà infinita e magnificenza infinita: io ero letteralmente affascinato di questa città.Non tutti gli europei, però, sembravano apprezzare le bellezze di Caraci e Bombay. Soprattutto il popolo indiano non sembrava essere amato da tutti. Tornando sempre al tema del razzismo e apartheid, che hanno avuto un ruolo importante nelle mie valutazioni dei popoli, che nei diversi viaggi avevo avuto modo di conoscere, la cosa che ricordo con stupore, è, che, una splendida ragazza, figlia di un responsabile del Foreign Office inglese, costretta ad abitare a Bombay, per più di un anno, assieme al padre che ivi lavorava, mi disse, con candore: “Gli indiani mi fanno schifo”; io le chiesi come mai, e lei rispose: “E’ un anno che sto qui, a Bombay con mia mamma e mio padre, e non riesco a fare sesso con nessuno, perché tutti quelli che frequento sono indiani, e gli indiani mi fanno schifo. Tu sei il primo bianco che mi capita”.Era appena salita al bordo con il padre e la madre. L’avevo appena conosciuta, Pamela, una splendida fanciulla diciassettenne di Manchester. Proprio in mia presenza all’ufficio commissario sua madre, che mi guardava con grande simpatia, diceva alla figlia: “Guarda che bel ufficiale, ha i denti bianchissimi, deve essere di buona salute”. Lei non pensava che io avessi capito quello che lei stava dicendo, ma io non capivo perché lo diceva. Poi, quando siamo diventati più intimi, Pamela me l’ha spiegato: voleva dire che ero adatto per fare sesso per la figliola che era in cerca di un uomo bianco ed era in astinenza da un anno. Per me, meridionale, era assurdo pensare che una mamma indicasse alla figlia con chi soddisfare i suoi appetiti sessuali, era una cosa molto strana; una mamma del sud, delle parti mie, a quei tempi, non avrebbe mai, neanche, pensato che una figlia, così giovane, potesse avere desideri sessuali da soddisfare con urgenza. Invece quella affettuosa madre, inglese, consigliava alla figlia un giovane ufficiale italiano, dai denti bianchi, quasi fossi un cavallo, di buona salute, per un salutare rapporto di sesso. Appena imbarcati a Bombay, lei e la sua famiglia, Pamela venne all'ufficio commissario, a chiedermi, che cosa si facesse di buono sulla nave la sera. Loro occupavano le cabine più prestigiose sulla nave, proprio vicino al mio ufficio: erano appartamenti suit. Lei aveva una grande cabina che occupava da sola, e la mamma e il padre un’altra, poco distante. E allora io, per essere spiritoso, per tentarci, naturalmente, visto che era carina ed aveva un modo di fare molto suadente, le dissi che a bordo c’erano molte attività ricreative: si ballava nella sala feste, c'era poi la discoteca per i più giovani, c'era il cinema e c'erano giochi, però la cosa più interessante, che le proposi, era, magari, di venire nella mia cabina a sentire un po' di musica, dopo mezzanotte. E così lei disse subito: “Ok, allora ci vediamo a mezzanotte”, con un inglese così consonantico, come quello che parlano i cittadini che abitano in quella parte d'Inghilterra, nei pressi di Manchester. E così io le risposi: “Ci vediamo a mezzanotte nei pressi della piscina, sopra al ponte dove sono gli alloggi ufficiali”. Lei disse “OK” e andò via. Io non contavo molto che lei sarebbe venuta, anzi avevo quasi dimenticato l’appuntamento; quella serata ero impegnato, come al solito, nelle attività ricreative di bordo. Decisi, proprio poco dopo la mezzanotte, di andare a cambiare la camicia, perché avevo ballato molto ed ero sudato, e così mi avviai al mio alloggio, che si trovava proprio dove era la piscina. Con mia grande sorpresa trovai Pamela che aspettava proprio lì, vicino alla piscina, che, infastidita, mi disse: “Finalmente, sei arrivato”. Io ero in ritardo, e avevo assolutamente dimenticato l'appuntamento. Allora le dissi: “Scusami”. E così ci siamo avviati verso la mia cabina, una cabina, che era un invito a fare follie: era bellissima, aveva di tutto, un arredamento esotico, con tintinnio di campanelli da tutte le parti, tutte le cose più belle che si potevano comprare nei paesi che visitavo, erano nella mia cabina, o attaccati al muro, o al soffitto, praticamente dappertutto. Era così accogliente, così profumata, con fiori orientali: c'era da bere tutto quello che uno potesse desiderare, e c'era della buona musica. Pamela rimase sorpresa, naturalmente, dall'ambiente così accogliente, e mi fece, come tutti del resto, i complimenti per la bellezza del mio alloggio, dicendo che non aveva mai visto niente di simile, e che era affascinante ed esotico.Allora io le chiesi che cosa volesse bere, e lei mi disse: “Una coca-cola”. Io rimasi un pochino sorpreso, dissi: “Va bene”. Pensai allora che l'alcol in quell’occasione non poteva essere di aiuto, una coca-cola certamente non l’avrebbe fatto diventare più disponibile. E così chiamai il mio fido Max, il cameriere addetto alla mia cabina, al quale dovetti dire con grande rammarico: “Max, invece dello champagne, la signorina vuole una coca”. E Max sorrise, comunque, portò la coca-cola e una rosa, come era solito fare, quando c’era una bella ragazza; io invece bevvi il solito whisky.Eravamo seduti sul divano e avevo messo un po' di musica; io ero alquanto imbarazzato, non sapevo che cosa fare, ma lei mi aiutò moltissimo. Indossava un vestito di seta verde, allora si usavano le minigonne, e aveva praticamente tutte le cosce da fuori, si vedevano quasi le mutande. Io le guardavo le cosce, lei guardava me, guardava le sue cosce, e sorrideva. Mi fece capire subito, con quel sorriso malizioso, pareva volesse dire: “Che cosa aspetti?”. Io, giustamente, avevo esitato fino ad allora perché la vedevo così giovane e bella, figlia del diplomatico di bordo, una delle persone più importanti, diciassettenne per di più, non è che io fossi molto più grande, ma comunque, avevo un certo imbarazzo. A un certo punto tutto avvenne in maniera spontanea: appena incominciai a baciarla, a toccarla, lei mi mostrò subito la sua disponibilità totale, immediata, e così dal divano passammo a letto. Lei desiderava moltissimo fare all’amore e manifestò senza pudore la sua soddisfazione sospirando e sussurrando: “Ah, finalmente.” E così capii che era una cosa che voleva moltissimo. Mentre io ero imbarazzato, perché non durai molto per l'ardore con cui lei mi voleva, lei, invece, mi disse che era felicissima e mi raccontò, in quell’occasione, che la mamma aveva indicato me, giovane ufficiale italiano, come l’amante ideale per quel suo bisogno di sesso, perché la mamma le diceva che io avevo i denti bianchi, ed ero, quindi, di buona salute. In quell’occasione lei mi raccontava che la facevano schifo gli indiani, e che era più di un anno, che non faceva sesso. Io le risposi: “Ma tu sei così giovane! Hai veramente così tanto bisogno di fare sesso?” E tra me pensavo, che le ragazze del mio paese, a quei tempi, ti permettevano di fare sesso solo dopo il matrimonio, e non erano per niente così disinvolte, anche in quegli anni 70, che avevano visto grandi rivoluzioni di pensiero. Lei disse: “Si, sono abituata a fare sesso”, allora non dissi più niente per non sembrare provinciale, come del resto ero. E lei mi raccontò di questo suo papà, che era diplomatico, e portava con se, lei e la mamma, per tutto il mondo; che il suo papà amava il golf, e giocava con lei spesso, e che lei era molto brava; mi diceva ancora che studiava sempre con insegnanti privati, perché era costretta a spostarsi continuamente a causa del lavoro di suo padre. Di tanto in tanto il nostro desiderio reciproco interrompeva i suoi racconti che, a malapena, comprendevo a causa del suo inglese consonantico. Naturalmente, in quella notte, più volte i suoi racconti furono interrotti, e lei era abbastanza entusiasta, felice di avere finalmente avuto questo momento di evasione. Quando, il giorno dopo, ci incontrammo, lei mi salutò come se mi conoscesse da sempre, e fu molto affettuosa e spontanea, e mi disse: “Vieni tu da me questa notte, perché io ho bisogno delle mie cose”, e io, naturalmente, la notte andai da lei. Con mia grande sorpresa, ad una certa ora della la notte, sentii bussare alla porta, e così pensai: “Questa volta per me è finita”, presi velocemente i miei vestiti, le scarpe, e mi rifugiai nella doccia che era in fondo alla sua cabina. Ed ero solo in attesa di essere linciato dal padre, pensavo: “Ecco, adesso mi chiamerà il comandante, mi faranno sbarcare nel primo porto, perché sto a letto con una diciassettenne”. Invece era la mamma, la quale, dopo aver parlato con la figlia, alzò il tono della voce e disse: “Good night, Mike!”, rivolgendosi a me. Allora io, sorpreso, chiesi dopo alla figlia: “Ma tu mamma sapeva che io sto qui con te?”, e lei disse: “Si, è lei che mi ha consigliato di farti venire nella mia cabina”. E allora capii, che non avrei mai compreso quel modo di pensare così diverso dal mio, che provenivo dal profondo sud dell’Italia, e tutto questo da una parte mi lasciava un po’ perplesso, dall'altra mi entusiasmava, e pensavo: “Forse è più giusto così”. E il mio idillio con questa splendida ragazza inglese incominciava a farsi sempre più intenso, sempre più serio. Lei era abbastanza appariscente, anche molto carina, ed era, naturalmente, molto corteggiata da tutti gli altri ufficiali di bordo, ed anche da tutto il personale. Per questo motivo un giorno mi disse: “Mike, io devo trasferirmi nella tua cabina, perché ho troppi ammiratori qua giù”. Io dissi: “Ok”. Non avrei mai immaginato quando dissi “ok” che cosa avrebbe portato nella mia cabina. Nonostante avessi due stanze, salotto e camera da letto, io non avevo assolutamente più posto per le mie cose in questo alloggio dopo il suo trasloco. Non sapevo di quante cose necessitano le donne: non avrei mai immaginato che erano necessari tanti cosmetici, tante creme, tante cose che per me erano assolutamente inutili, e tutte queste cose invasero la mia cabina. E quanti indumenti intimi pendevano dalla doccia, dal portasciugamani; lei diceva che quelle erano cose che doveva lavare personalmente. Insomma la mia cabina era diventata invivibile, era impossibile anche farsi la doccia senza toccare un reggiseno o una mutande. Facevamo sesso continuamente e comunque, non vedevo che lei usava alcuna precauzione, così alla fine le chiesi se lei prendesse la pillola, o usava qualche sistema per prevenire un'eventuale gravidanza. Lei mi disse in maniera sorprendente: “Ma io faccio la ginnastica svedese”. Dopo il rapporto sessuale, infatti, faceva una sorta di ginnastica, e io dicevo: “Ma sei sicura che non succede niente?”, lei diceva: “Non ti preoccupare, questa tecnica è la più attuale per non rimanere incinta, bisogna solo non dimenticare di fare questo tipo di ginnastica dopo il rapporto”. La nostra attività sessuale era molto intensa, come detto, anche perché eravamo entrambi giovani, e anche molto affiatati. Era un viaggio da favola, una sorta di luna di miele. In sostanza la nostra avventura era iniziata a Bombay, facevamo scalo in tutte le località più esotiche dell'oceano Indiano (Comore, Port Luis), fino arrivare alle splendide città del Sudafrica: Durban, East London, Port Elizabeth, Città del Capo, Walvis Bay, e dopo, le isole Canarie, e poi, finalmente, si arrivava nel Mediterraneo, Barcellona, poi rotta per Venezia. La mamma, naturalmente, compiacente, mi adorava, mi considerava ormai suo genero, tanto è vero, che arrivati a Venezia, disse in maniera spontanea: “Mike, adesso qui, a Venezia, bisogna consacrare il vostro fidanzamento ufficiale”, e quindi mi invitò a comprare alla mia Pamela un anello di fidanzamento, che scegliemmo io e lei. E, purtroppo, Venezia era anche il luogo da cui sarebbero partiti poi per l’Inghilterra. A Venezia finiva la crociera, e in quel posto magico si era consacrato il nostro fidanzamento ufficiale. Quell’incontro, quel viaggio mi avevano preso, ero confuso, e nello stesso tempo felice, non sapevo effettivamente che cosa fare. Però mi ero lasciato coinvolgere in questa grandissima storia d'amore, affascinante in tutti i sensi, sia per l’intensità dell'attrazione, sia per tutte le altre vicende, che avevano connotato questo nostro rapporto, che era stato ancora più coinvolgente ed intenso per la bellezza dei luoghi esotici in cui eravamo stati, il modo in cui si era condivisa una vita spensierata di piacere, di amore e di avventura.E, comunque, lei partii per l’Inghilterra. Io, invece, ebbi quella pausa dal lavoro, che mi era concessa ogni volta, alla fine di un lungo viaggio, quando tornavamo in Italia. E così andai anch’io a casa, nel mio profondo sud, nella mia città. Però, un fulmine a ciel sereno folgorò quel mio idillio e quel mio momento di pausa: arrivò un telegramma, nel quale Pamela mi avvisava, in maniera laconica: “I am prignant” (sono incinta). Io rimasi attonito, stupito, mi chiesi: “Che cosa devo fare?”. E la stessa cosa mi chiedeva lei, quando le telefonai; mi diceva: “Mio padre tra un poco partirà per la Romania, dove è stato destinato dal Foreign Office. Tu che fai? Vieni da me? O devo venire io da te?” Io dissi in maniera stupida, ovvia: “ Io sto per partire per la Grecia, la mia nave farà un mese di crociere in Grecia”. Lei rimase attonita, muta e dopo due giorni mi mandò un altro telegramma, nel quale diceva: “Il problema non c'è più, l'ho risolto io. Partirò con i miei per la Romania. Addio per sempre.”