Mobbing.

Una lenta discesa all'inferno

 
 

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AL MIO EX COLLEGA EX AMICO



"Indubbiamente cattivo è colui che, abusando del proprio ruolo di potere e prestigio, commette ingiustizie e violenza a danno dei suoi simili; infinitamente più cattivo è colui che, pur sapendo dell’ingiustizia subita da un suo simile, tacendo, acconsente a che l’ingiustizia venga commessa." (Einstein, in A. Einstein/S. Freud – Perché la guerra – Ed. Boringhieri, 1981).
 

LA DEPRESSIONE DA MOBBING

"...una nausea continua mi bloccò ogni stimolo a mangiare, se non per rimettere dopo qualche minuto. Da quel momento subentrarono una serie di difficoltà fisiche e psicologiche, che improvvisamente sfociarono in un collasso..."

 
 

MOBBING E SUPERIORI

"..Non mi permisero di utilizzare né la mia scrivania né il mio computer. Unica priorità in prima mattina era definire il mio nuovo contratto "non contratto". Quel giorno ci fu formazione aziendale per i commerciali, ma a me non fu permesso assistervi se non dopo aver parlato col capo.."

 

INVITO ALLE DIMISSIONI

"Il 3 aprile del 2008, dopo avermi cambiato mansione più volte e sempre improvvisamente, mi vennero chieste volontarie dimissioni".

 

ESEMPIO DI LAVORO UMILIANTE

"...La mia postazione era una scarna scrivania con un computer, il cui schermo era un televisore vero e proprio: l'unico cimelio nell'ufficio. Stavo dietro una libreria, chiuso in un angolo davanti all'ingresso; l'unico vicino alla porta e quindi obbligato ad aprirla tutte le volte che suonavano il campanello..."

 

MOBBING:FONTE WWW.PSICOLOGIADELLAVORO.ORG

MOBBING

Il mobbing: un tipo di stress psicosociale in ambito lavorativo

Definizione

Dal punto di vista etimologico, il termine “mobbing”lo si può far risalire a:

  • termine latino "mobile vulgus", plebaglia tumultuante;
  • all'inglese "to mob": aggredire, accerchiare, assalire in massa. Tale termine è stato usato, agli inizi degli anni 70 dall'etologo Konrad Lorenz per descrivere il comportamento di alcuni animali che si coalizzano contro un membro del gruppo, lo attaccano, lo isolano, lo escludono dal gruppo, lo malmenano fino a portarlo anche alla morte.

Heinz Leymann, nel 1984, con la prima pubblicazione scientifica sull'argomento, introduce l'uso del termine MOBBING per indicare la particolare forma di vessazione esercitata nel contesto lavorativo, il cui fine consiste nell'estromissione reale o virtuale della vittima dal mondo del lavoro.
Leymann inizia ad utilizzare la parola MOBBING,  per indicare quella forma di "comunicazione ostile ed immorale diretta in maniera sistematica da uno o più individui (mobber o gruppo mobber) verso un altro individuo (mobbizzato) che si viene  a trovare in una posizione di mancata difesa".

In Italia si inizia a parlare di mobbing solo negli anni ‘90 grazie allo psicologo del lavoro Harald Ege, che raffigura il fenomeno come "una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte dei colleghi o superiori" attuati in modo ripetitivo e protratti nel tempo per un periodo di almeno 6 mesi. Ripetitività e durata sono dunque le 2 condizioni che devono essere presenti perché si possa affermare di trovarsi in presenza di mobbing.
In seguito a questi attacchi la vittima progressivamente precipita verso una condizione di estremo disagio che, progressivamente, si ripercuote negativamente sul suo equilibrio psico-fisico.


 

 

MOBBING:FONTE WWW.PSICOLOGIADELLAVORO.ORG

MOBBING: cosa non è.

  1. Non è una malattia, nè una patologia, nè un problema dell'individuo, ma una situazione, un problema dell'ambiente di lavoro, non è depressione, né ansia, né gastrite, né insonnia, né stress, ecc. ma è la spiegazione di questi disturbi;
  2. Non è un problema familiare, scolastico, ecc.; è un fenomeno proprio e tipico dell'ambiente di lavoro;
  3. Non è una molestia sessuale anche si in alcuni casi i due comportamenti si possono sovrapporre: il mobber può decidere di infastidire la sua vittima tentando di aggredirla a fatti o a parole (l'azione viene posta in essere non allo scopo di ottenere una prestazione sessuale bensì per umiliare, allontanare o creare danni) oppure in caso di approccio sessuale, se rifiutato, il molestatore si può trasformare in mobber allo scopo di punire la sua vittima del rifiuto.
  4. .Non è una singola azione contro un lavoratore di tipo occasionale, non è un conflitto diffuso (organizzazione di lavoro sostenuto, sovraccarico lavoro per tutti i lavoratori dell'azienda, tensione diffusa per cambiamenti radicali, privatizzazione dell'ente, fusione, ecc.);
 

MOBBING:FONTE WWW.PSICOLOGIADELLAVORO.ORG

Mobbing: che cosa è.

Il mobbing è una strategia, un attacco ripetuto e continuato, secondo alcuni, almeno una volta alla settimana per almeno sei mesi, diretto contro una persona o un gruppo di persone da parte del datore di lavoro, superiori o pari grado che agiscono con finalità persecutorie.

Sono state date varie definizioni:

  • “Violenza psicofisica e molestia morale sul luogo di lavoro … allo scopo di ledere la salute, la professionalità, la dignità della persona del lavoratore …  si esegue con svariate modalità, aggressive e vessatorie, verbali e non verbali, tese all’emarginazione ed all’isolamento, alla squalifica professionale ed umana, al demansionamento, allo svuotamento  delle mansioni e/o perdita del ruolo, con l’intento finale di bloccare la carriera e/o di eliminare la persona con conseguenze dannose sulla salute, sull’attività professionale, sulla vita privata e sociale, nonché un danno economico alla società ….”.
  • “… per mobbing si intendono atti e comportamenti discriminatori o vessatori protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di lavoratori dipendenti,pubblici o privati, da parte del datore di lavoro o da superiori ovvero da altri colleghi, e che si caratterizzano come una vera e propria forma di persecuzione psicologica e di violenza morale.”
 

MOBBING:FONTE WWW.PSICOLOGIADELLAVORO.ORG

Gli atti e i comportamenti possono consistere in:

  1. pressioni o molestie psicologiche;
  2. calunnie sistematiche;
  3. maltrattamenti verbali ed offese personali;
  4. minacce od atteggiamenti tendenti ad intimorire od avvilire, anche in forma indiretta;
  5. critiche immotivate ed atteggiamenti ostili;
  6. delegittimazione dell’immagine, anche di fronte a colleghi ed a soggetti estranei all’organizzazione;
  7. svuotamento delle mansioni;
  8. attribuzione di compiti esorbitanti od eccessivi, e comunque atti a provocare seri disagi in relazione alle condizioni fisiche e psicologiche dellavoratore;
  9. attribuzione di compiti dequalificanti in relazione al profilo professionale posseduto;
  10. impedimento sistematico ed immotivato a notizie ed informazioni utili all’attività lavorativa;
  11. marginalizzazione rispetto ad iniziative formative di riqualificazione e di aggiornamento professionale;
  12. esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo nei confronti del lavoratore, idonee a produrre danni o seri disagi;
  13. atti vessatori indirizzati alla sfera privata del lavoratore, consistenti in discriminazioni sessuali, di razza, di lingua e di religione.

 

 

MOBBIN:FONTE WWW.PSICOLOGIADELLAVORO.ORG

I parametri fondamentali individuati da Harald Ege per definire il  MOBBING

  • Ambiente di lavoro;
  • Frequenza delle azioni mobbizzanti: almeno una volta alla settimana
  • Durata: almeno sei mesi
  • Tipo di azione: le azioni subite devono appartenere ad almeno due delle cinque  categorie del "LIPT Ege", questionario di Mobbing elaborato da Leymann e modificato da Ege dove vengono individuate 45 azioni ostili suddivise in 5 categorie:

a) attacchi ai contatti umani e alla possibilità di comunicare;
b) isolamento sistematico;
c) cambiamenti delle mansioni lavorative;
d) attacchi alla reputazione;
e) violenza e minacce di violenza.

  • Dislivello psicologico fra gli antagonisti, il dislivello non viene inteso in senso gerarchico, ma nel senso che il mobbizzato non ha le stesse capacità didifendersi dell'aggressore.
  • Andamento in fasi successive e in progresso: Leymann elaborò un modello a 4 fasi, successivamente modificato da Ege alle esigenze italiane, in un modello a sei fasi:;

1° - conflitto mirato;
2° - inizio del mobbing;
3° - si individuano i primi sintomi psico-somatici;
4° - compaiono errori ed abusi;
5° - serio aggravamento della salute psico fisica della vittima;
6°- si verifica l'esclusione dal mondo del lavoro. E' l'esito ultimo che può prendere la forma di  un   licenziamento, autolicenziamento, pre-pensionamento, ma che può anche arrivare a condotte auto e eterolesive 
7.- Intento persecutorio

 

 

MOBBING:FONTE WWW.PSICOLOGIADELLAVORO.ORG

Distinguere tra paranoia ed ipervigilanza:


Innanzitutto è bene descrivere le differenze tra la persona paranoica e la persona mobbizzata. Tim Field è stato il primo a fare questa distinzione e a distinguere tra danno psichico e instabilità mentale nell’ambito del mobbing. Per Field la paranoia è duratura, l’ipervigilanza tende a diminuire gradualmente o addirittura a scomparire in mancanza delle cause che l’hanno prodotta. Il paranoico non ammette di essere paranoico, mentre invece la persona mobbizzata molto spesso esprime il timore di essere paranoica. La persona paranoica ha deliri di grandezza e le frustrazioni possono indurre ad un aggravamento della situazione, mentre la persona mobbizzata ha uno scarso livello di autostima. Il mobbizzato soffre di continui sensi di colpa e di vulnerabilità, prova sensazioni di vergogna e di inadeguatezza, invece il paranoico non ha questi sintomi. Infine la persona paranoica spesso sostiene che il persecutore è sconosciuto, il mobbizzato invece spesso non è consapevole di essere stato perseguitato. Comunque per non incorrere in errori (falsi positivi e falsi negativi) è necessario oltre alla somministrazione di un questionario standardizzato sul mobbing anche un colloquio clinico e/o la
somministrazione di test proiettivi di personalità come il test di Rorschach e/o il TAT(Thematic Apperception Test di Murray), oppure di inventari standardizzati come il MMPI di Hataway e McKinley, il Big Five Factors di Mc Crae e Costa, il 16 PF(Personality Factors) di Cattell, l’Eysenk Personality Inventory appunto di Eysenk.

 

 

Mobbing. Una lenta discesa all'Inferno. (1)

Post n°4 pubblicato il 08 Maggio 2009 da aguaplano_ss
 
Foto di aguaplano_ss


Una lenta discesa all'Inferno. (1)

Quando la salute ti fa perdere il lavoro, e il lavoro ti distrugge la salute

UN INIZIO PROMETTENTE
Iniziai a lavorare per ... srl nel giugno del 2006. Provenivo da un'esperienza annuale in un altro noto call center di Milano, il che mi permise di poter essere assunto sulla parola, dopo un  breve colloquio dove mi si offrì uno stipendio fisso accompagnato da provvigioni di sicuro interesse. Assunto come Teleseller, quasi subito dimostrai le mie doti di abile venditore, confermando al nuovo titolare ciò che alcuni conoscenti gli avevano fatto presente sul mio conto.
Nel giro di qualche mese, io e altri colleghi, arrivati con me dalla stessa azienda, moltiplicammo le vendite, incrementando così il fatturato aziendale.
A dicembre 2006, il nuovo titolare propose un progetto interessante ai primi 3 venditori dell'azienda. Tra questi c'ero io.

TANTI SACRIFICI PER UN OBIETTIVO: L'ASSUNZIONE
Il progetto aveva la durata di 7 mesi, durante i quali avremo dovuto avere come unico obiettivo l'aumento delle vendite e la crescita dell'azienda. Noi tre, da quel momento, saremmo stati non solo membri del gruppo dirigenziale, ma veri manager, responsabili ciascuno di una propria area.
A me fu affidata l'intera area delle vendite interne e del call center.
Il nostro unico e vero obiettivo era comunque l'assunzione a tempo indeterminato, con la possibilità di guadagnare direttamente dai pezzi venduti dalle varie strutture.
I mesi passavano e le vendite aumentavano sempre più, quasi raddoppiando il fatturato mese per mese. Dopo sette lunghi mesi di sacrifici, orari infernali e interminabili serate nel piccolo ufficio, arrivammo alla tanto aspirata assunzione.
Il 21 settembre ricevetti la lettera d'impegno assunzione con la mansione di "Supporto Organizzativo Reparto Vendite Terzo Livello", per 1446,88 € suddivisi in 14 mensilità.
Il 1 ottobre 2006 fui assunto.

APPENA ASSUNTO, GIÀ MI TAGLIANO LO STIPENDIO
Poco prima, però, il nostro titolare era arrivato a un punto di rottura col partner principale e tutto era cambiato. La struttura aziendale non aveva più bisogno del call center, ma puntava sulla rete commerciale esterna. L'azienda si trasferì; nello stabile vicino, dieci volte più grande del primo, e lì iniziarono i primi problemi.
Improvvisamente si mise in discussione tutto il mio operato. Da quel momento, il mio stipendio subì un drastico taglio: mi trovai solo con il fisso promesso e non più con la parte variabile costituita da provvigioni. Iniziò una sempre più pesante pressione psicologica, fatta di piccoli ma quotidiani rimproveri su cose apparentemente di poca importanza, con l'unico effetto di abbattermi irrimediabilmente portandomi ad una crescente crisi emotiva.

CHIEDO IL GIUSTO, PERDO LE MIE MANSIONI
Il mio ruolo REALE divenne Assistente alle vendite e Trainer, mi occupavo cioè della formazione sul campo. Dopo un mese circa, anche se svolgevo quel ruolo nel migliore dei modi (ottenendo ottimi risultati di vendite dagli impiegati formati da me, ma soprattutto personali), dopo la mia richiesta della parte di stipendio mancante mi vennero tolte quelle mansioni.
La motivazione ufficiale fu che il mio ruolo rischiava di compromettere il rapporto tra i venditori e il responsabile (il mio collega). Motivazioni che rifiutai categoricamente e non riuscii a capire.
In quel momento ero l'unica figura aziendale che conosceva alla perfezione i molteplici piani tariffari del nuovo partner commerciale; per questo, pian piano ero diventato il punto di riferimento delle risorse commerciali, cogliendo per primo le loro difficoltà, alleviando i primi malumori nei confronti di un'azienda sempre più esigente, guadagnandomi quella leadership e rispetto più del loro capo.
Mi si richiese personalmente di fare un passo indietro, e io lo feci, promettendo di stare più attento a non ledere il ruolo dirigenziale del mio collega, per la mia naturale predisposizione ad essere amichevolmente disponibile con il prossimo.

VENGO "PROCESSATO", MA NON POSSO "DIFENDERMI"
Nel dicembre del 2007, un incontro tra me e i miei "due" responsabili sfociò in una messa in accusa della mia persona. Come in un severo tribunale d'altri tempi, mi si lamentava una mancanza di proposte.
Provavo a ribattere, ma non mi si permetteva di replicare, poiché ogni mia parola veniva sarcasticamente interrotta da obiezioni varie che portavano il discorso su altri binari e li si ricominciava. Addirittura fu citata la mia cadenza sarda, le cui inflessioni impedivano, a detta loro, la facile comprensione dei miei ragionamenti. Pensai: "siamo alla follia".
precisando che mai per nessun cliente questa caratteristica dialettale fosse stato un problema. Insieme alla mia incredulità, lentamente prendeva corpo un'insicurezza verbale ed emotiva che mi portava a rendere più evidente e palpabile la mia rabbia.
Dopo ore di duri contrasti, la richiesta più stravagante mi venne fatta con questa premessa:
"Poiché il tuo stipendio pesa all'azienda 35 mila euro annui, ti chiedo di restituirmeli in fatturato,  dando il buon esempio ai venditori cioè vendendo più di loro".
"Bella idea", dissi, "ma riprendiamo in considerazione le provvigioni promesse, e sopratutto la possibilità di utilizzare, come tutti gli agenti, gli appuntamenti creati dal telemarketing".

QUANDO I NUMERI DIVENTANO... UN'OPINIONE
L'ufficializzazione di quelle richieste fu la presentazione del mio forecast mensile.
Numeri evidentemente buttati giù senza criterio, quantità di pezzi giornalieri talmente folli che i venditori di allora tutti insieme non raggiungevano settimanalmente. Da quel momento in poi iniziai a riconsiderare e mettere in dubbio, oltre che la stabilità mentale del mio capo, anche la mia certezza lavorativa; quei discorsi altro non furono che la giustificazione da parte del titolare per non dovermi retribuire come quanto inizialmente promesso.
In realtà di quegli appuntamenti avevo usufruito per qualche settimana e la mia ingenuità - e forse la voglia, per l'ennesima volta, di dimostrare le mie capacità - non mi aveva permesso di prendere in considerazione quel segnale negativo.

TRATTATO COME UN PACCO, POI DEMANSIONATO
In quelle settimane fui letteralmente spedito da una parte all'altra dell'hinterland milanese senza mezzo di trasporto, senza rimborsi e senza alcun supporto. Arrivai ad andare, oltre che nelle sperdute periferie milanesi, poco servite da mezzi pubblici, addirittura più volte nelle città vicine, in treno. Rientravo in ufficio a notte quasi fatta. Per la mia vita sociale e privata non avevo più tempo. Iniziai a lamentarmi, con l'unico effetto di un ennesimo demansionamento del mio lavoro.
Rientrato dalle ferie natalizie (ferie non permesse in toto come da me richieste), iniziai la mia nuova e sempre improvvisa mansione. I nuovi commerciali non mi si presentavano più. Senza mai avermelo ufficializzato, di fatto non facevo più parte del direttivo aziendale, senza alcuna spiegazione.

UN "GRUPPO" DI LAVORO CON UN SOLO MEMBRO: IO
Il mio nuovo incarico consisteva nel contattare clienti al telefono, come agli albori della mia esperienza lavorativa milanese. Un evidente e ormai ufficializzato demansionamento, tanto umiliante da compromettere ancora di più la mia salute.
Quella mente ormai lucidamente perfida del mio titolare aveva ideato una nuova trappola.
Aveva creato un nuovo progetto: un gruppo di lavoro composto da tutti i componenti effettivi dell'azienda: il back office tutto, lui stesso, il responsabile commerciale ed io, per un totale di 6 elementi. Ovviamente, cosa che mi aspettavo, mi resi conto subito che quel numeroso gruppo di lavoro in realtà non esisteva: ero l'unico a dedicare l'intera giornata a quel progetto.
Il primo mese, il 90% delle vendite furono le mie. Lo feci notare in varie occasioni, per cui nei breafing di gruppo gli unici rimproveri e insoddisfazioni sulle vendite le subivo personalmente, insieme al solito triste promemoria dei miei costi annuali.

DAGLI INCUBI A UNA REALTÀ DA INCUBO
Tutto ciò, oltre a non farmi dormire la notte, iniziava a crearmi qualche difficoltà nel relazionarmi con il mio titolare in primis, ma anche con il resto dei colleghi.
Di notte, quando riuscivo a prendere sonno, mi vedevo da solo al centro di una grande stanza circondata da pareti di vetro; i colleghi che vedevo passare al di là mi guardavano: alcuni ridevano di me; altri, quelli a me più vicini, mi osservavano con evidente compassione. Quando mi svegliavo di soprassalto, era già ora di prepararmi per andare a lavoro.
La realtà era molto più triste di quel sogno ricorrente.
La mia postazione era una scarna scrivania con un computer, il cui schermo era un televisore vero e proprio: l'unico cimelio nell'ufficio. Stavo dietro una libreria, chiuso in un angolo davanti all'ingresso; l'unico vicino alla porta e quindi obbligato ad aprirla tutte le volte che suonavano il campanello. Anche questa mansione, però, inaspettata era arrivata al suo termine.

TROVO IL CORAGGIO DI PROTESTARE, MA...
Una mattina, appena rientrato da una pausa-sigaretta, vidi nella mia mail aziendale un sarcastico  messaggio da parte del titolare, inviato a tutto l'ufficio, in cui rendeva tutti partecipi della prematura morte del mio gruppo di lavoro, motivandolo con un negativo primato di vendite, ed altrettanto sarcasticamente invitando lo staff a prendere coscienza del fallimento totale dell'iniziativa.
In quel momento,  per la prima volta, non ci vidi più dalla rabbia e dopo qualche minuto di esitazione mi diressi nel suo ufficio. Chiesi spiegazioni, ma lui, con una sottile accenno di sorriso, mi rispose che la mail le spiegazioni le dava tutte, che era meravigliato dalla mia reazione e che non vedeva motivo alcuno per prendermela personalmente.
Cercai di spiegare quanto quella "constatazione di morte" del progetto mi avesse profondamente turbato, ricordando che fin dall'inizio, come tutti sapevano, e come sempre recriminavo, quei numeri erano i miei, che per questo motivo avrei preferito essere chiamato in ufficio e magari discutere insieme sui termini della cessazione di quel progetto, facendo presente che anche io ero d'accordo, visto il poco contributo da parte dello staff alla produzione.
Lui si alzò in piedi, il volto violaceo, e iniziò a sbraitarmi addosso tutta la sua incredulità per la mia presa di posizione. Stetti male, mi venne un attacco d'asma; accortosi dell'affanno, infierì maggiormente. Disse che era preoccupato per la mia reazione, non per la mia salute ma per la mia agitazione e quindi, secondo lui, la mia "reazione istintivamente violenta nei suoi confronti". (successivamente me lo rinfacciò più volte davanti ai miei colleghi).
Mi venne un attacco di pianto improvviso e incontrollabile, in piedi davanti alla sua scrivania: mi sentivo fragile e impotente. Lui si sedette e chinò la testa verso le sue scartoffie, invitandomi ad uscire fuori e prendere un po' d'aria.

DIMISSIONI "VOLONTARIE" CHE NON VORREI PROPRIO DARE
Il 3 aprile del 2008, dopo avermi cambiato mansione più volte e sempre improvvisamente, mi vennero chieste "volontarie" dimissioni. Le motivazioni erano varie e confuse, in primis "per cessare le continue pressioni psicologiche nei miei confronti", ammettendo di aver esagerato nel pretendere mensilmente obiettivi più alti rispetto ai venditori. Altri motivi erano una sorta di riordino aziendale (in quel momento, a detta del titolare, uno stipendio a tempo indeterminato era un peso insostenibile per le casse dell'azienda) e la necessità di un venditore esperto, vista la difficoltà nel reperirne dei nuovi.
In quel momento mi crollò il mondo addosso. Tutti i miei progetti si spensero in un incontro di 5 minuti col Capo, in cui, dopo la richiesta, mi fu consegnato un normale mandato di agenzia da firmare seduta stante: un contratto di sole provvigioni senza tutte le tutele e la sicurezza economica che fino a quel momento pensavo di avere.
La mia assunzione era arrivata dopo un anno di sacrifici, con una media di lavoro giornaliero di 12/13 ore senza alcun compenso aggiuntivo, una conquista alla quale in nessun modo avrei voluto rinunciare. Pretesi, in lacrime, di poterci pensare per qualche giorno, almeno per leggere il nuovo contratto e solo dopo molta insistenza mi fu accordato.

IL COLLASSO... NON SOLO METAFORICAMENTE
Nonostante quell'assurda situazione, continuai a lavorare, cercando invano di non pensarci almeno in ufficio. Ciò comportò un carico di stress e ansia, seguito da atteggiamenti emotivi che riuscii a gestire con varie difficoltà nei rapporti interpersonali e lavorativi e che mi impedirono per settimane di dormire; inoltre, cosa che mi preoccupò ancor di più, una nausea continua mi bloccò ogni stimolo a mangiare, se non per rimettere dopo qualche minuto. Da quel momento subentrarono una serie di difficoltà fisiche e psicologiche, che improvvisamente sfociarono in un collasso. Quel giorno, mentre mi dirigevo da un cliente, persi i sensi per strada. Dopo aver passato l'intera giornata in ospedale e aver eseguito tutti gli esami di routine mi dimisero con una prognosi di severo riposo, confermata anche dal mio medico con una settimana di malattia. Avvisato il mio capo dopo essere uscito dall'ospedale, questi esordi con la richiesta di vederci in ufficio per concludere il nostro discorso interrotto (le dimissioni). Mi rifiutai categoricamente e senza dare molte spiegazioni chiusi il telefono.

IN UFFICIO, SENZA SCRIVANIA NÈ PC
Rientrato in ufficio, la settimana seguente fui accolto dal mio capo e dal mio responsabile molto freddamente, come se quella settimana fosse stata un furto da parte mia nei confronti delle casse aziendali e non un diritto sancito dal mio contratto. Non mi permisero di utilizzare né la mia scrivania né il mio computer. Unica priorità in prima mattina era definire il mio nuovo contratto "non contratto". Quel giorno ci fu formazione aziendale per i commerciali, ma a me non fu permesso assistervi se non dopo aver parlato col capo. Ero tremendamente impaurito, pensavo quello fosse il mio ultimo giorno di lavoro. Comunque, mi fu fatta la stessa richiesta di dimissioni volontarie e anche quella volta la risposta da parte mia fu un no. Avevo ancora bisogno di tempo. Il capo allora mi propose di andare a casa e pensarci tutto il giorno per poi l'indomani dare una risposta definitiva. Uscii dall'ufficio e mi diressi dritto alla sede del sindacato. Avevo bisogno di informazioni e forse di altro. Lì mi diedero il consiglio di fare causa e andare in malattia, anche perché, secondo la psicologa, avevo bisogno di tranquillità e anche di qualche seduta..............continua

 
 
 

Mobbing. Una lenta discensa all'inferno. (2)

Post n°5 pubblicato il 08 Maggio 2009 da aguaplano_ss
 
Foto di aguaplano_ss

.......

PER I MIEI CLIENTI, SONO "ALL'ESTERO"...
Presi la decisione di mettermi in malattia. Il mio medico, dopo aver letto l'impegnativa della psicologa, mi diede 20 giorni di riposo. La stessa sera avvisai il capo, che non mancò di pretendere per telefono la risposta alla sua insistente richiesta di dimissioni, che ancora rifiutai. Mi chiese indietro il cellulare aziendale pretendendo che andassi in ufficio a consegnarlo. La mattina seguente il cellulare era già bloccato, insieme alla mia mail aziendale, interrompendo non solo i miei contatti con l'ufficio ma anche quelli con i miei clienti diretti, cui fu detto successivamente che sarei stato all'estero per un mese e che le mie trattative più importanti le avrebbe seguite il mio responsabile. Venti giorni a casa, una solitudine che mi mangiava dentro, dimagrii 5 kg. Rientrato al lavoro. anche questa volta stessa scena, richiesta di dimissioni questa volta in modo molto violento, al che risposi in maniera decisa e irritata che mi avrebbe dovuto licenziare e che le dimissioni non le avrei mai date.

IL POTERE (CONIUGALE) TORNA A COLPIRE
Il mio capo uscì dall'ufficio sbattendo la porta ma tornò dopo qualche minuto con la moglie, sua socia, che davanti ad un lui, in silenzio e a testa bassa, mi diede l'ennesimo nuovo incarico ed il nuovo orario di lavoro. Passai un mese da incubo in amministrazione, rispondendo al telefono e aprendo la porta sotto la custodia della mia nuova responsabile, che ogni giorno, oltre a darmi direttive contraddittorie, mi rimproverava ogni istante, lamentando di non avere ancora terminato la mansione datami un attimo prima. La mattina iniziava con l'ispezione della mia scrivania e dei miei appunti personali, lasciando in soqquadro la scrivania senza darmi il tempo di mettere in ordine, poiché aveva già pronta la nuova mansione del giorno.
Ogni giorno mancavano documenti dalla mia postazione, che puntualmente lei mi richiedeva e puntualmente non trovavo, e che emergevano solo dopo aver messo sottosopra tutti i fascicoli dei contratti. Ciò che più mi pesava non furono tanto le continue umiliazioni davanti ai miei ex colleghi, alcuni formati da me, ma quel nuovo orario di lavoro. Ero l'unico per tutto il mese ad iniziare il lavoro alle 8.30 e a staccare alle 12.30, per poi riprendere alle 15 e smontare alle 19. Una giornata intera al lavoro, considerando il viaggio per mangiare a casa. Tutto questo e anche altro fino al giugno 2008.

DI NUOVO AL CALL CENTER: RITORNO ALLE ORIGINI
Venni richiamato in ufficio per l'ennesima e umiliante mansione. Call center. L'inizio della mia carriera come operatore telefonico ed ora la fine nella stessa mansione? A fianco a quegli stessi operatori che avevo diretto e formato un anno prima.
Inizialmente, in modo molto soft, mi fu richiesto di supportare la responsabile del call center nella formazione e vendite. Esposi da subito i miei dubbi sulla fattibilità del progetto, poiché mi si chiedeva di creare una forza vendita all'interno del call center dove fino a quel momento non vi era traccia di venditori, e sapevo che sarebbe stato impossibile trovarne di nuovi a un mese dalla chiusura natalizia. A quel punto i toni cambiarono, mi fu imposta la nuova mansione per esigenze aziendali e fui costretto ad accettare l'incarico.
Ovviamente, già dal giorno dopo, come temevo, ci fu la richiesta di raggiungere obbiettivi impossibili. I primi 10 giorni furono scanditi da incontri giornalieri col capo, che mi lamentava il mancato raggiungimento di quegli assurdi obiettivi.
Questo mi portò a una lieve ricaduta fisica, che si tradusse con una settimana di malattia. Rientrato al lavoro, scoprii che il call center era stato ridimensionato, la responsabile licenziata e i venditori riportati alla loro iniziale mansione di telemarketing. Alla mia richiesta di spiegazioni, molto freddamente mi venne risposto che la mia mansione non sarebbe cambiata e che fino alla chiusura di agosto avrei continuato a vendere (da solo). Nessun'altra spiegazione. Il Giovedì di quella stessa settimana il call center chiuse. Io continuai a vendere da solo all'interno della grande sala call center, 200 mq di sala vuota tutta per me.

LA MALATTIA: UN DIRITTO NEGATO SOLO A ME
Rientrati dalle vacanze la nuova mansione era pronta e studiata tutta per me. Questa volta l'esigenza aziendale richiedeva un responsabile di sala. Proposta che accettai, perché finalmente quella era la mia vera mansione, anche se sapevo che prima o poi si sarebbe ripetuto quello che era successo i mesi precenti. Iniziammo a ottobre ottenendo già ottimi risultati. A novembre i numeri furono ancora più soddisfacenti, con 25 centralini venduti su appuntamenti creati dal call center. A dicembre consolidammo i risultati con 15 centralini e 110 adsl vendute da call center, ottenendo addirittura i complimenti da parte del nostro Marchio. Gennaio non fu da meno, con altri 17 centralini e febbraio con circa 1 ventina; gli appuntamenti totali al giorno furono sempre sopra la media di 20. Tutto bene, insomma, fino a quando, per una forte influenza, rimasi a letto per 5 gg, di cui solo 3 lavorativi. Rientrato al lavoro non mi aspettavo certo un tappetino rosso, ma almeno qualche interessamento sulla mia salute da parte dell'azienda. Mi chiamarono in ufficio per spiegazioni sulle mie assenze; risposi che le spiegazioni le dava tutte il certificato medico, che avevo consegnato a mano perché impossibilitato dalla febbre a 40 e dalle placche in gola ad inviarlo via fax. La risposta del titolare fu del tutto inaspettata. Ricevetti delle minacce verbali da parte della titolare e legale rappresentante dell'azienda. Non potevo permettermi, a suo dire, di avvalermi come da diritto delle malattie, in quanto nell'anno precedente le avevo utilizzate più di tutti gli altri colleghi! Aggiunse che non potevo permettermi di fare ciò che volevo, dimenticando che quelle stesse assenze erano dovute alle loro pressioni e minacce, continuando con altre minacce, come quella di adottare provvedimenti "antipatici nei miei confronti" se non avessi smesso di fare assenze per malattia.

L'ORARIO DI LAVORO È "FLESSIBILE": CAMBIA IN CONTINUAZIONE!
La mattina seguente mi fecero pervenire in forma scritta il mio nuovo orario di lavoro: 9.30-12.30 e 14.00-18.30, anticipato dunque di mezzora la mattina e posticipato sempre di mezz'ora la sera, con una pausa assurda e antipatica di 1 ora e 1/2 nel bel mezzo. Mi fu motivata la nuova esigenza aziendale in forma scritta, mentre in forma verbale e con toni poco eleganti mi si rimproverò di uscire troppo puntuale la sera dal lavoro.
Come se non bastasse, il giorno successivo mi consegnarono una comunicazione dove si faceva presente che il mio contratto era stato variato, da commercio a telecomunicazioni. In tutto questo, nonostante la mia mansione da settembre fosse sempre stata quella del responsabile e coordinatore del call center (nello specifico formazione degli operatori e colloqui di assunzione, gestione e controllo delle performance di sala, creazione degli stessi script commerciali e sperimentazioni delle strategie, gestione dell'agenda dei commerciali esterni, recall di conferme e verifiche degli appuntamenti fissati, referente commerciale per le esigenze dei clienti, assistenza post-vendita e venditore) e avessi ottenuto in tutte le mansioni una produzione eccellente, nella nuova formula contrattuale la mia mansione divenne assistenza clienti di 4° livello: veniva meno la mia originale mansione di supporto organizzativo del reparto vendite e la 14esima fino a quel momento percepita. Per questi motivi e per il ritardo con cui avvenne la comunicazione, inoltre per la totale mancanza di un anticipato confronto sui termini della variazione contrattuale, mi rifiutai di firmare l'accettazione. Non sapevo se avrei continuato a percepire lo stesso stipendio, sia pure suddiviso in 13 mensilità.

UNA BUSTA PAGA ARBITRARIAMENTE DECURTATA
A marzo presi una giornata libera per recarmi dal sindacato e ottenere spiegazioni sulle anomalie nella mia busta paga. Scoprii che negli ultimi 2-3 mesi mi erano state trattenute ferie mai godute, permessi mai richiesti, giorni non lavorati e ore non lavorate in realtà passate come sempre al lavoro. Soldi che mi sarebbero spettati.
Tre giorni dopo portai il mio call center a raggiungere performance record, anche se eravamo abituati ad ottimi risultati ormai da tempo (6/7 mesi). Mi lasciai prendere dall'entusiasmo e inviai una mail al mio datore di lavoro, e in copia al responsabile commerciale: "Anche oggi il call center ha superato ogni record con ben 39 appuntamenti presi e tra questi 28 sim". La risposta del responsabile non si fece attendere, con un: "MITICO!" a caratteri maiuscoli, ma totale indifferenza da parte del capo sia via mail che di persona.
Il 1° aprile feci presente al mio responsabile la difficoltà a gestire soprattutto fisicamente i miei orari di lavoro, ribadendo che nelle ultime 2 ore della giornata arrivavo distrutto e a volte anche debilitato per la mole di lavoro. La risposta fu brevissima: "Lo immagino, ma dovresti parlarne con il capo". Obiettai che lo stesso capo già lo sapeva e non era intenzionato a modificare l'orario. In aprile comunicai al responsabile che per Pasqua avrei dovuto richiedere le ferie per il martedì successivo, non avendo trovato aerei disponibili per il rientro dalle vacanze.

UNO SCAMBIO DI E-MAIL, MA L'ORARIO NON CAMBIA!
Lui si offrì di andare insieme dal capo dopo alcuni giorni. Ma poi fu troppo impegnato e non poté andare con me dal capo per richiedere le ferie. Gli feci presente che sarei andato da solo, ma lui insistette per aspettare al giorno dopo. Quel giorno ero molto stanco, alle 16.00 ebbi un calo di pressione e mi dovetti sedere per 5 minuti. Alle 16.20 inviai una mail pacata al mio capo nella speranza che potesse cambiarmi l'orario: "Scusa P..., dopo l'ultima modifica ai miei orari del mese scorso, la mia giornata lavorativa è aumentata di 2 ore circa e non nego di risentirne fisicamente, specie nelle ultime ore della giornata. Ormai da tempo sono impossibilitato a uscire in orario per la pausa delle 12.30 ma resto, per motivi esclusivamente lavorativi, in ufficio per altri 15/20 minuti, non riuscendo ad usufruire in pieno della mia pausa. Ti posso chiedere di poter riprendere in considerazione per l'ennesima volta l'eventualità di modificare i miei orari di lavoro? Propongo, sempre se dovessi essere d'accordo: 9.15-12.45 e 13.30-18.00. L'orario attuale è 9.00- 12.30/ 14.00-18.30. Grazie, Marco.
Il martedì 7/04 ricevetti risposta alla mia mail: "Marco, spiacente ma devo confermarti l'attuale orario di lavoro. Preciso bene sin da ora che in azienda non ti è mai stata fatta richiesta di prolungare la tua presenza presso i locali della stessa, anzi, proprio per evitare di risentirne fisicamente, gradirei che ti attenessi scrupolosamente agli orari concordati, senza mai prolungare il tuo orario di lavoro se non preventivamente concordandolo con me. Cordialità"
Peccato che il mio "risentirne fisicamente" non era riferito ai 15/20 minuti in meno di pausa, ma all'aumento di 2 ore della giornata lavorativa...

LE FERIE (NEGATE) TRASCORSE IN OSPEDALE
Il giovedì successivo, alle 11.30, ricordai al responsabile l'appuntamento dal capo, ma lui rinviò ulteriormente alla pausa pranzo. Alle 12.30 venne da me per informarmi di aver incontrato il capo, di avergli chiesto le sue ferie e di avere accennato anche alle mie, invitandomi ad andare subito nel suo ufficio. Non c'era. Alle 17.30 circa mi recai di nuovo in ufficio dal capo, chiedendo se il responsabile l'avesse informato della mia richiesta e motivandola.
Apriti cielo!!! Intanto, a suo dire, nessuno l'aveva informato, poi le ferie "in un'azienda normale si stabiliscono di comune accordo con l'azienda e anticipatamente, ti pare possibile che il giovedì di Pasqua alle 17.30 tu mi chieda le ferie per il martedì? Come ti permetti di pensare una cosa simile? Non credi che sarebbe più opportuno richiedere il venerdì, visto che il martedì è una giornata lavorativa importante? Come puoi abbandonare il call center in un giorno del genere?"
iniziai a tentennare non aspettandomi una reazione simile, ma cercando di restare calmo feci presente che avevo informato da tempo il mio responsabile ma questi aveva rinviato giorno dopo giorno la comunicazione alla direzione; inoltre, ero stato obbligato ad acquistare i biglietti in anticipo poiché non c'era disponibilità di voli; che in quanto al martedì dal punto di vista lavorativo non era un giorno importante. Chiesi il perché della reazione violenta e di tanto accanimento nei miei confronti, visti gli ottimi risultati ottenuti dal mio call center, e come mai dopo ogni assenza per malattia, diritto sacrosanto, erano seguite sempre le odiose minacce e il cambio dell'orario di lavoro. A tutto che mi rispose, sempre più alterato, che non erano argomenti in questione in quel momento, aggiungendo che non dovevo permettermi di comprare i biglietti senza consultarlo, e chiudendo il discorso, senza farmi ulteriormente replicare. Li non ci vidi più: dopo le sue performance arroganti e dittatoriali, domandai se mi stesse chiedendo di rinunciare alle vacanze in Sardegna dai miei parenti. Lui annuì e dopo un silenzio di qualche secondo mi invitò a uscire dal suo ufficio, rimandando l'ultima decisione a fine serata e lasciandomi volutamente appeso a un filo, nella più totale disperazione. Ero agitatissimo e alle 18.00, mentre continuavo inutilmente a lavorare, crollai per terra senza sensi; dopo qualche minuto raggiunsi con difficoltà le colleghe nell'ufficio a fianco al call center, alla reception chiesi aiuto e crollai a terra svenuto. L'ambulanza mi portò in ospedale. La stanchezza psicofisica di quel momento e un'accertata ancor più grave gastrite mi costrinse a passare nel riposo più assoluto le vacanze pasquali, più altri 5 giorni lavorativi in malattia.

CONCLUSIONE PREVISTA: VENGO LICENZIATO
Una settimana dopo Pasqua, alle ore 8.45, entrato in ufficio trovai ad aspettarmi il mio datore di lavoro, il quale, senza nemmeno salutarmi, mi invitò a recarmi nella sala riunioni ancora con addosso il giubbotto. Dopo avermi sarcasticamente fatto presente che questa ennesima malattia mi sarebbe costata cara, ma senza darmi possibilità di ribattere, mi consegnò la busta paga del mese di marzo ed una raccomandata a.r. anticipata v.b.m., in cui c'era scritto:
Egregio sig. A...., nel contesto di un generale piano di ristrutturazione, la Direzione aziendale ha deciso di sopprimere in via definitiva il ruolo di supporto alla clientela pre- e post-vendita da lei attualmente ricoperto. La Direzione ha naturalmente valutato la possibilità di utilizzare la professionalità da lei acquisita adibendola ad altre mansioni equivalenti ma, purtroppo, all'interno dell'organigramma aziendale non sono state individuate altre posizioni di lavoro nelle quali lei possa essere utilmente impiegato. Per quanto procede, sia pure con rammarico, ci vediamo costretti a privarci della sua collaborazione con effetto immediato. A far tempo dalla data odierna, pertanto, il suo rapporto di lavoro deve intendersi risolto a tutti gli effetti di legge e di contratto, con esonero dal preavviso e sostituzione dell'indennità relativa. Il pagamento delle competenze di fine rapporto avverrà con le seguenti modalità...
Distinti saluti,
La Direzione.

Disegno persecutorio riuscito.

Milanoss

 
 
 

Mobbing. Una lenta discesa all'Inferno (3).

Post n°8 pubblicato il 18 Maggio 2009 da aguaplano_ss
 
Foto di aguaplano_ss

 

Considerazioni.

Nel contesto di un piano di ristrutturazione”

Pensavo, avevo letto o sentito che nelle piccole realtà lavorative un motivo del genere potesse giustificare un licenziamento per quelle aziende in condizioni di difficoltà oggettive o in pieno rischio di sopravvivenza economica. Pensavo o forse speravo che un contratto a tempo indeterminato, al di là delle dimensioni di un'azienda, fosse una garanzia nei confronti dell'azienda stessa ma sopratutto nei confronti del singolo lavoratore. Pensavo che il diritto al lavoro presente nella costituzione, avesse una valenza maggiore all'interno di una formula contrattuale come la mia. La mia, ormai, ex azienda, dal momento che mi fu ridato l'incarico di Coordinatore ha più che tripplicato le vendite. Le strattegie commerciali mirate, attuate dal call center da me diretto hanno fatto si che gli appuntamenti per i venditori raddoppiassero.Con lo stesso numero di operatori siamo riusciti ad assicurare i 2/3 appuntamenti/giorno ad una forza vendita che nel fratempo si è raddoppiata.Il fatturato aziendale, dopo 8 mesi, grazie al contributo del call center da me diretto è più che radoppiato.

La Direzione aziendale ha deciso di sopprimere in via definitiva il ruolo di supporto alla clientela pre e post vendita da lei attualmente ricoperto”.

Fin dal gennaio 2007 ho ricoperto la mansione di coordinatore del call center, sino all'ottobre 2007. Una parentesi di quasi un anno il periodo in cui si cercava in tutti i modi di portarmi al licenziamento “volontario”, con minacce, vessazioni di ogni tipo, rimproveri quotidiani anche per piccolezze, carico di lavoro insoportabile, cambi improvisi di orari e con varie mansioni che cambiavano mese per mese, trainer (formazione sul campo), operatore telefonico, assistenza ai clienti, risponditore telefonico e back office. Dal settembre 2008 forse rassegnati dalla mia tenacia e volontà nel resistere, mi riassegnarono il coordinamento del call center, ruolo svolto per altri 7 mesi fino al 20 aprile 2009 giorno del licenziamento. Direi che non mi limitavo certo al semplice supporto alla clientela vi sto che tale mansione in tutto questo tempo non ricopriva che un decimo del tempo totale delle mie giornate lavorative.Era una mansione che svolgevo saltuariamente e nel tempo perso. Le mail, raccolte e stampate ed in mio possesso, degli ultimi 4 mesi spiegano chiaramente quale fosse il mio ruolo. Basta leggere tutte quelle mail ricevute con le varie richieste di miglioramento delle perfomance del call center, i report giornalieri della produzione e le vare direttive sulle strategie commerciali da adottare, oltre ai report di presenze e permessi degli operatori stessi.Se si dovesse dimostrare che quella citata nella lettera di licenziamento non fosse la mia mansione? Avrebbe senso licenziarmi per una mansione che non svolgevo se non in piccola parte?

La direzione ha naturalmente valutato la possibilità di utilizzare la professionalità da lei acquisita adibendola ad altre mansioni equivalenti ma, purtroppo, all'interno dell'organigramma aziendale non sono state individuate altre posizioni di lavoro nelle quali lei possa essere utilmente impiegato”.

All'interno dell'azienda ho praticamente svolto ogni mansione, non sarebbe stato difficile assegnarmi ad un'altra qualsiasi mansione che già avevo svolto e conoscevo. E se dovesse assumere una nuova figura che ricoprisse il mio stesso mio incarico?

 

 
 
 

Mobbing. Una lenta discesa all'inferno (4). Il sindacato

Post n°9 pubblicato il 18 Maggio 2009 da aguaplano_ss
 

Stasera ho l'incontro con il sindacato, ho paura. La mia mente naufraga come una nave senza timone, non riesco a riordinare le mie idee, ho il timore di non far capire a chi mi ascolterà ciò che mi è successo in questi anni, la mia storia, le ingiustizie subite. ........mi sento solo.

 

 
 
 

Mobbing. Un lenta discesa all'inferno (5).

Post n°10 pubblicato il 18 Maggio 2009 da aguaplano_ss
 

Ho incontratto il legale del sindacato non mi ha convinto poi tanto. Potrei ottenere a suo dire un riconoscimento della mia mansione reale ma null'altro, sempre che non abbia dei test che confermino ciò che è accaduto, le vessazioni e tutte le altre ingiustizie subite. Ho anche incontrato la psicologa che già conoscevo, era stata lei a consigliarmi in quel momento un lungo periodo di riposo e persino una serie di  sedute. Forse avrei dovuto darle retta. Abbiamo fissato un'altro incontro sia con il legale che con lei. Ora vorrei consultare il mio avvocato di fiducia e sentire che mi consiglia. Mi aspettavo molto di più da un sindacato che si spaccia e auto proclama difensore dei diritti dei lavoratori, sarà anche vero ma senza testimoni non servirà a niente. Non so proprio chi potrà testimoniare in mio favore e mettere a rischio il prioprio posto di lavoro, credo nessuno.

 
 
 

Mobbing. Una lenta discesa all'inferno (6). Dal mio avvocato di fiducia.

Post n°11 pubblicato il 20 Maggio 2009 da aguaplano_ss
 
Foto di aguaplano_ss

Stasera incontrerò il mio avvocato di fiducia, credo sia l'ultima possibilità, almeno per poter impugnare il licenziamento in tempo. Ho comunque piena fiducia in lei è una persona seria ed onesta e se non dovesse ritenere opportuno procedere contro l'azienda mi fiderò della sua decisione.

 
 
 

mobbing. Una lenta discesa all'inferno (7). Esito incontro avvocato.

Post n°12 pubblicato il 21 Maggio 2009 da aguaplano_ss
 

Formale diffida ed impugnazione licenziamento.

IL sig. ......

ha conferito l'incarico al sottoscritto difensore di assisterlo nei confronti della società menzionata.

Lesame più approfondito della posizione del lavoratore, confrontato con le norme di legge ed il contratto, ha evidenziato il diritto a lamentare, opporre e conseguire quanto segue:

  • Impugnazione licenziamento intimato
  • rivendicazione della subordinazione da luglio 2006 al 30 settembre 2007
  • Domanda di pagamento retribuzione e differenze rettributive, tredicesima e quattordicesima, anche per mancata corresponsione compensi straordinari ed illegittime detrazioni su permessi o ferie godute, per l'intero periodo
  • Domanda di regolarizzazione rapporto ai fini contributivi
  • Diritto al risarcimento del danno anche per violazione artt.2087, 2043, 2049 c.c. a titolo di diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrinmoniale, per responsabilità contrattuale ed extracontrattuale a seguito di condotta vessatoria e persecutoria (MOBBING)
  • Violazione principi di correttezza e buona fede artt. 1175 e 1375 c.c. in capo al datore di lavoro
  • mancata corresponsione del trattamento di fine rapporto, e del compenso provvigionale dovuto
  • Diritto al risarcimento danni del demansionamento
  • Diritto al riconoscimento qualifica superiore e conseguenti differenze rettributive e contributive

Si precisa che la presente missiva vale anche e specificamente all'impugnazione del licenziamento illegittimamente, ingiustificatamente ed immotivatamente intimato in data 20 aprile 2009 al lavoratore, che con me anche a tal fine sottoscrive la presente.

Si propone quindi denuncia di controversia nei confronti della citata società e per essa al proprio legale rappresentante e conseguentemente

                                                    si chiede

a codesta Spettabile Direzione Provinciale del Lavoro di convocare le parti avanti alla Commisione di Conciliazione di cui all'art 410 cpc in riderimento al D.L. gvo  31/03/98 n 80.......

 

 
 
 

Mobbing: Una lenta discesa all'inferno (8). Non c'è mai limite alla perfidia del mio capo.

Post n°13 pubblicato il 23 Maggio 2009 da aguaplano_ss
 
Foto di aguaplano_ss

Questa mattina ho sentito la mia amica ed ex collega. E' stata la persona che in questi anni mi è stata più vicina all'interno dell'azienda. E' stata lei specie nel periodo più cupo a sostenermi e dimostrarmi più affetto tra i colleghi. Anche lei ad un certo punto per contrasti interni all'azienda è stata quasi obbligata a licenziarsi, e dal quel momento mi sono sentito più solo ed indifeso. Oggi mi ha dato una triste notizia che mi farà sicuramente stare male.

Ebbene ho avuto la triste constatazione che la perfidia e l'intento persecutorio del mio capo non si è placcato con il mio licenziamento.

Mentre scrivo ho le lacrime agli occhi e stento quasi a crederci.

Quel bastardo, vistosi in difficoltà, dovuta alla mia mancanza e al mio ruolo rimasto ormai scoperto, ha proposto a lei di rientrare in azienda e ricoprire la mia mansione.

Dovevo immaginarmelo.

Conosceva benissimo quale rapporto di amicizia ci fosse tra noi, e quasi come un talebano che cerca scudo tra i civili dagli attacchi dell'occidente, si è servito della mia grande amica e del nostro rapporto e sentimento, per proteggersi da una mia ipotetica causa di impugnazione. Forse, a causa della rabbia che provo in questo momento, il mio post potrebbe sembrare poco chiaro e confuso ma cercherò di spiegarmi meglio.

Uno dei motivi che mi spinge ad impugnare il mio licenziamento e appunto dimostrare non solo il mio ruolo reale all'interno dell'azienda ma la necessita da parte del mio capo di non poter fare a meno del ruolo strategico che io stesso ricoprivo,non il ruolo del semplice assistente ai clienti ma quello più rilevante di coordinatore commerciale dell'area più importante dell'azienda, Infatti qualunque vendita e dunque guadagno dell'azienda proviene e scaturisce dall'appuntamento iniziale fissato dai miei ex collaboratori del call center, traino e propulsore di tutta la macchina commerciale. Venendo meno alle motivazioni citate nella lettera di licenziamento in questi 2 punti:

  1. La Direzione aziendale ha deciso di sopprimere in via definitiva il ruolo di supporto alla clientela pre e post vendita da lei attualmente ricoperto”.

  2. “La direzione ha naturalmente valutato la possibilità di utilizzare la professionalità da lei acquisita adibendola ad altre mansioni equivalenti ma, purtroppo, all'interno dell'organigramma aziendale non sono state individuate altre posizioni di lavoro nelle quali lei possa essere utilmente impiegato”.

    L'astuto bastardo (mi scuso per la ripetizione dell'epiteto ma è voluta) ha pensato che mai e poi mai farei causa all'azienda compromettendo il ruolo e lo stipendio della mia cara amica.

    Ha pensato, a detta della mia amica, di non far per ora risultare ufficialmente il suo incarico e la sua retribuzione agendo anche in questo modo del tutto fuori legge. Infatti integrerà la sua retribuzione,

    all'interno dei compensi (e quindi in nero) di suo marito attualmente venditore della stessa azienda. In questo modo non risulterà, per almeno i primi mesi, di aver avuto il bisogno di ricoprire “altre posizioni” dopo il mio licenziamento. Stasera informerò il mio avvocato, credo che le cose inizino a complicarsi. Sono molto preoccupato. Dovrò stare attento a non ledere il lavoro della mia amica o andare avanti? Spero che l'avvocato trovi una soluzione indolore.

 
 
 

Mobbing. Una lenta discesa all'inferno (9).

Post n°14 pubblicato il 25 Maggio 2009 da aguaplano_ss
 

Oggi sono felice, tra un'ora vado a firmare il mandato diretto per una nuova azienda, avevo fatto il colloquio 2 giorni dopo il mio licenziamento. Mi è andata bene, diciamo che sono caduto in piedi, infatti ero coscente che prima o poi si verificasse tutto questo, e già da un mesetto circa avevo inviato il mio curriculum ad alcune aziende concorrenti . Perciò è ora che mi dedichi al mio nuovo lavoro, sarà molto impegnativo e perciò dovrò passare la mano al mio avvocato e seguire l'evolversi dell'azione legale un po più distacato. Bhe iniziavo ad annoiarmi sinceramente senza lavorare, anche se devo ammettere che ho scoperto un mondo interessante qui nel blog oltre che tante buone persone. Un bel mondo ma virtuale e poco produttivo. Per chi fosse interessato comunque continuerò ad aggiornare il blog, ormai fa parte della mia vita e forse non riuscirei a starci lontano. Vorrei arrivare alla fine di tutto questo e se dovesse andare come spero, sputtanerò questo bastardo e la sua azienda in tutti i blog del mondo, nomi e cognomi e magari la sentenza. Si questo sarà il mio piccolo sogno, la mia piccola rivincita. Un abbraccio a tutti.

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: aguaplano_ss
Data di creazione: 26/04/2009
 

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MERAVIGLIOSO-NEGRAMARO

È vero
credetemi è accaduto
di notte su di un ponte
guardando l'acqua scura
con la dannata voglia
di fare un tuffo giù uh
D'un tratto
qualcuno alle mie spalle
forse un angelo
vestito da passante
mi portò via dicendomi
Così ih:
Meraviglioso
ma come non ti accorgi
di quanto il mondo sia
meraviglioso
Meraviglioso
perfino il tuo dolore
potrà guarire poi
meraviglioso
Ma guarda intorno a te
che doni ti hanno fatto:
ti hanno inventato
il mare eh!
Tu dici non ho niente
Ti sembra niente il sole!
La vita
l'amore
Meraviglioso
il bene di una donna
che ama solo te
meraviglioso
La luce di un mattino
l'abbraccio di un amico
il viso di un bambino
meraviglioso
meraviglioso...
ah!...
(vocalizzato)
Ma guarda intorno a te
che doni ti hanno fatto:
ti hanno inventato
il mare eh!
Tu dici non ho niente
Ti sembra niente il sole!
La vita
l'amore
meraviglioso
(vocalizzato)
La notte era finita
e ti sentivo ancora
Sapore della vita
Meraviglioso
Meraviglioso
Meraviglioso
Meraviglioso
Meraviglioso
Meraviglioso
Meraviglioso

 

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IL GIORNO DI DOLORE CHE UNO HA. (LIGABUE)

ligabue

Quando tutte le parole sai che non ti servon più
quando sudi il tuo coraggio per non startene laggiù
quando tiri in mezzo Dio o il destino o chissà che
che nessuno se lo spiega perché sia successo a te
quando tira un pò di vento che ci si rialza un pò
e la vita è un pò più forte del tuo dirle "grazie no"
quando sembra tutto fermo la tua ruota girerà.

Sopra il giorno di dolore che uno ha.
Tu tu tu tu tu tu...

Quando indietro non si torna quando l'hai capito che
che la vita non è giusta come la vorresti te
quando farsi una ragione vora dire vivere
te l'han detto tutti quanti che per loro è facile
quando batte un pò di sole dove ci contavi un pò
e la vita è un pò più forte del tuo dirle "ancora no"
quando la ferita brucia la tua pelle si farà.

Sopra il giorno di dolore che uno ha.
Tu tu tu tu tu tu tu tu tu...

Quando il cuore senza un pezzo il suo ritmo prenderà
quando l'aria che fa il giro i tuoi polmoni beccherà
quando questa merda intorno sempre merda resterà
riconoscerai l'odore perché questa è la realtà
quando la tua sveglia suona e tu ti chiederai che or'è
che la vita è sempre forte molto più che facile
quando sposti appena il piede lì il tuo tempo crescerà

Soprail giorno di dolore che uno ha
Tu tu tu tu tu tu tu tu tu...

 

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