MILK

Dicono di MILK


Da Repubblica — 22 novembre 2008   pagina 48   sezione: SPETTACOLI Il film è strutturato in flashback, e parte da una registrazione, realmente esistente, nella quale Milk confida la paura di venire ucciso: Van Sant e lo sceneggiatore Dustin Lance Black utilizzano la confessione come espediente drammaturgico sulla falsariga della "Fiamma del peccato" e la trasformano in una rivisitazione degli ultimi anni della sua vita, e in un' occasione per ribadire l' importanza dell' operato. C' è da scommettere che Penn riceverà l'Oscar per un' interpretazione nella quale ha preso tutte le movenze del vero Milk senza farne mai una caricatura.  Ciò che colpisce particolarmente del film è la perfetta ricostruzione dell' epoca e la scelta di un tono sobrio ed essenziale, che minimizza la retorica, con la possibile eccezione dell' uso della musica lirica nei momenti più drammatici. è interessante mettere a confronto il film con il documentario "The life of Harvey Milk", che vinse l' Oscar nel 1984.  Il film inizia con il racconto dell' arrivo dell' ebreo newyorchese Milk a San Francisco: la West Coast rappresentava il luogo della fuga e il sogno di una vita diversa. I primi atti di ostilità lo spinsero a cercare una rappresentanza politica, così come l' orrore dell' omicidio di un omosessuale, che sentì, mentre moriva per i calci e i pugni ricevuti, queste ultime parole: "faggot, faggot, faggot", checca. Milk, che subì ripetutamente minacce di morte per il proprio operato, è raccontato come un eroe americano, e non è un caso che nella scena più potente citi il passaggio della costituzione in cui si dice che tutti gli uomini sono creati uguali. Le forze violente e ottuse della reazione appaiono per lui (come per Van Sant) un tradimento dell' idea stessa di America. Il film celebra il coraggio di chi sa imporre, mettendo a rischio la propria pelle, i valori fondanti, sfidando il mondo con quella che il presidente eletto poche settimane fa definirebbe «l' audacia della speranza». - ANTONIO MONDA