THE VOICE OF SOUL

THE RANGE


 Dedicated to an "anxious" friendEra il periodo di Natale, ed avevo un disperato bisogno di un lavoro. Dei pochi soldi raggranellati con lavoretti di fortuna, rimediati qua e là, non restava che qualche sgualcito biglietto di piccolo taglio: stavo grattando il fondo del barile. Quasi tutti i soldi, erano andati via in alcol, e presto, molto presto, non sarei nemmeno stato in grado di pagare quei pochi dollari per l’affitto di quella topaia dove abitavo. Le 9 di una mattina buia e piovosa, una pioggia battente, rimbalzava con assordante frastuono sulla tettoia di lamiera. Sembrava, Dio, avesse deciso di cancellare dalla faccia della terra, annegandolo, il proprio fallimento dell’esperimento uomo, rovesciando dal cielo, enormi secchiate d’acqua. A questo pensavo, mentre tiravo lunghe boccate da una sigaretta ormai ridotta a moccolo tra le dita dalla pelle ispessita e gialla, lo sguardo perso dentro quelle sinuose spirali di fumo. Mi alzai di malavoglia, afferrai dal tavolo la bottiglia di vino aperta, e, ne ingollai una generosa sorsata, ignorando l’urlo di uno stomaco vuoto dal giorno prima, quando avevo consumato l’unico pasto: un orrendo hamburger grondante grasso, disgustose patate fritte che ricordavano il cartone. Ad annaffiare il tutto, una nauseante brodaglia nera ottenuta dal riciclo di vari fondi di caffè, in una puzzolente e fumosa caffetteria negli slums vicini al porto. Cristo! pensai, non posso essere ridotto così! Piove a dirotto, ho buchi nelle suole delle scarpe, un impermeabile vecchio e strappato in piu’ punti. Uscire, significa avere l’acqua fin dentro le mutande. All’improvviso, mi venne in mente che John, il perennemente sfatto da un vino di infima qualità, che abitava un isolato piu’ avanti, mi disse avrei potuto rimediare un lavoretto per il periodo di natale a  “The Range”, piccola catena di bricolage: cercavano personale di rinforzo per  quel periodo.Ero davanti alla scrivania di una donna piccola e secca come un manico di scopa. Viso e camicia, si confondevano, perdendosi, nello stesso colore. Sebravano quasi uno la continuazione dell’altra. Sollevò la testa, e mi guardò con malcelato disprezzo al di sopra degli occhiali. “Desidera ?”  “Sono Henry Woodward. Mi hanno detto che cercate personale di rinforzo per Natale”. Mi allungò svogliatamente moduli da riempire.  Glieli resi. Con freddo distacco, mi disse “Le faremo sapere”. Lavoro! Orripilante tuta di un indefinibile colore, tessuto sintetico che faceva  scintille solo a guardarlo, sulla destra in alto, campeggiava enorme il logo della catena. Avevo un solo pensiero: con i primi soldi guadagnati avrei rifornito di ogni genere di alcolici la dispensa a secco. Passavo gran parte della notte a bere come una spugna, e alla mattina alle 7 ero in piedi, riuscivo a malapena a trascinarmi fino al lavoro. Poi, un pomeriggio la vidi. Una texana, lunghi capelli castano dorato, un bel tocco di carne soda e fresca. Davvero un gran pezzo di fica. Volevo a tutti costi conoscerla, scoparmela. Labbra rosse e carnose, due tette diritte, con i capezzoli duri, i fianchi rotondi, mi facevano uscire di senno.  Mi sorpresi a pensare a quelle labbra che si aprivano per fare entrare il mio uccello. Ci ritrovammo nella mia topaia, scovai una pinta di scotch e ce la scolammo. Io, ne tracannai una dose da tramortire un cavallo.Ero strafatto al punto da non reggermi sulle gambe, ma scopammo come due amimali in calore. Mi svegliò un terribile attacco di tosse, mi alzai a fatica in preda a violenti conati di vomito, riuscii a trascinarmi in bagno. Mi ritrovai inginocchiato davanti alla tazza.Aprii il rubinetto, attesi che l’acqua fosse gelata, misi il tappo, riempii il lavabo, e ci tuffai dentro la testa. L’impatto mi mozzò il fiato, ma rimasi lì con gli occhi chiusi a stordirmi di freddo fino a non sentirla piu’. Se solo potessi buttar via questo schifo di faccia e sostituirla con un’altra, pensai. Tornai di là, mi infilai lentamente i vestiti, lei mi guardava silenziosa. “Mi fai sentire meno di zero", le dissi “ la feccia dell’umanità, non è possibile sia una simile nullità! qualcosa di accettabile deve esserci nascosto da qualche parte dentro di me!” Persi Elisabeth e il lavoro. Ma, a nessuno fregava un cazzo. Ero cosciente, sarei durato, finchè sarebbero durati i soldi. Al diavolo! pensai, ne troverò un’altra da scopare, il mondo è pieno di donne pronte ad aprire le gambe, e troverò anche un altro lavoro, sicuramente migliore di quello schifo a “The Range”. Tenetevi pure i vostri miserabili e pidocchiosi dollari, Henry,  non ne ha bisogno.  Uscii, e andai a ubriacarmi nella prima bettola che incrociai. Qualcuno mi riaccompagnò a casa. Entrai, accesi la radio, scolai il whisky rimasto sul fondo di una bottiglia sul pavimento. Ridevo, dicevo a me stesso che non ero mai stato così bene, e l’unica cosa che volessi era stare da solo, nessun legame. Mi ustionai le dita con una cicca di sigaretta, scovata in un angolo del divano e riaccesa. Mi trascinai fino al letto, inciampai, caddi lungo disteso sul materasso. Mi addormentai di schianto. Un nero, pesante sonno, senza sogni.  (Splendore)  Personale e senza pretese, omaggio, al grande Henry Chinaski.  Ho cercato di ricreare  in  parte,  quelle  torbide atmosfere “bukowskiane”  di disperata dolcezza, volgare durezza di una vita ai margini, ma fortemente voluta