Noblesse

Vigne


«La luce splende nelle tenebre»(Gv. 1,5)   Il dolce rollìo della nave, per l'ennesima volta, sostituiva la soffice carezza delle lenzuola. I suoi occhi, socchiusi, sembravano osservare un panorama lontano. Erano la sua finestra su un universo parallelo all'attuale. Bénoît si avvicinava ai quarant'anni. Poteva considerarsi un uomo. Eppure, gli sembrava che il tempo, in qualche modo, si fosse fermato; gli sembrava che una mano invisibile avesse bloccato la sabbia della clessidra, o avesse tolto qualche ingranaggio all'orologio della sua vita. Il relativo silenzio della cabina, l'aria, quasi gelida, che penetrava da un oblò, socchiuso, lo trattenevano nel presente. Il bicchiere, pieno a metà del suo vino preferito, le posate nel piatto e qualche pezzo di pane gli ricordavano di non aver finito di cenare. La coppetta di crema e lamponi lo fissava, intatta. Le casse di bianco, leggermente frizzante, erano l'unico capriccio che si fosse mai concesso, nel suo ruolo di capitano. L'acqua sapeva dissetarlo, ma quel vino lo manteneva saldo, nelle sue radici, e gli solleticava piacevolmente il palato, strappandogli, di tanto in tanto, un sorriso carico di consapevolezza. Aveva scelto di darsi al mare. Non riusciva a ricordare esattamente quando, sapeva soltanto di averlo sentito crescere, in sé, in un'onda incontrastabile. Forse, la sua vocazone era stata guidata, o suggerita, ma sapeva che, se non fosse stata profondamente insita nella sua anima, non si sarebbe imposta su tutto il resto della sua vita. Piccolo, assonnato, scivolava nello studio di suo padre, sedeva su una poltrona, ed ascoltava. Ascoltava fin che il sonno arrivava, a trasportarlo su rive lontane. Ascoltava i racconti dell'amico, di quell'amico speciale, ed immaginava di poterlo imitare. Di poter vedere molto altro, che non fosse solo la sua città, oppure il panorama profumato di molti aromi della casa di campagna.  Aveva mantenuto a lungo, per sé, i pensieri che, lentamente, gli si erano formati nel cuore. Aveva considerato che non sarebbe stato compreso. Che sarebbe stato difficile. Aveva continuato ad ascoltare, ad immaginare. A vivere, segretamente, un'esistenza immaginaria. Basata su racconti vissuti da un altro, ma così vera! La sentiva esattamente così. La completa realizzazione di sé. Sentiva i profumi di terre lontane, mai conosciute, mai visitate. Sapeva che, una volta imbarcato, avrebbe potuto lasciare che il suo desiderio di altro si realizzasse. Riceveva, a volte, doni che provenivano da lontano; gli venivano consegnati in piccole casse colorate. Li toccava con venerazione, gli sembrava che gli raccontassero storie, che gli svelassero vite, che gli aprissero gli occhi e la mente.  Un grande atlante geografico era stato il suo primo libro di testo; non ne aveva voluti altri. Non scriveva e non leggeva, al tempo, ma le illustrazioni gli bastavano. Era un testo usato, le pagine erano quasi consunte e sfogliate, chissà quanto! Proprio questo... Proprio la vita altrui l'affascinava. Anziani librai che, nel retro bottega, nascondevano esemplari speciali, vendibili soltanto su richiesta. Non aveva chiesto da dove fosse venuto, se n'era soltanto impadronito, e l'aveva divorato. Lo portava ancora con sé, nei suoi viaggi; l'aiutava a non sentirsi troppo solo. Il suo primo caffè. Una strana miscela, quasi sconosciuta, importata da un continente altrettanto quasi sconosciuto, l'America. Michel aveva riportato, dal suo ultimo viaggio, una valigetta rossa. Conteneva della polvere stranamente profumata... Delle polveri intensamente aromatiche, e degli oggetti il cui uso gli risultava oscuro... Erano caffè e cioccolato, accompagnati dall'attrezzatura necessaria per trasformarli, da grani finemente macinati, in bevande seducenti. A lui, ed a sua sorella, Véronique, soltanto due tazzine a settimana... Gli effetti non erano ancora propriamente conosciuti, così, si procedeva cautamente... Nel tempo, quella scia pungente aveva invaso la loro casa, ed era diventata la compagna di serate nevose e pomeriggi soleggiati. L'esotico gusto del Nuovo Mondo.  Così nuovo e così affascinante, che Bénoît aveva deciso di visitarlo. Di conoscerlo, in qualche modo. Sapeva che ci sarebbe stato un solo mezzo, per poter raggiungerlo: l'oceano. Pietra su pietra, passo dopo passo, aveva costruito il suo avvenire. Un destino che gli era sembrato, troppo spesso, incerto e disseminato di abissi. Abissi di difficoltà. L'aria era realmente gelida. Forse avrebbe dovuto chiudere l'oblò, ma scelse di non farlo; quel soffio freddo e salmastro lo manteneva sveglio. Si avvolse nel mantello. Sorseggiò, lentamente, il suo vino, e posò il bicchiere al tavolo. Georges sedeva alla sua scrivania, la stanza era inondata di luce. La porta che si apriva sul giardino era aperta, e le tende, svolazzanti, giocavano con l'aria primaverile.  «Entra, Bénoît... Entra...». «Posso?». «Fingerò di non averti sentito... Vieni. Siedi.». Si fermò, un istante, ad osservare la scena. Era ancora lì, fermo, accanto alla porta. La richiuse, lentamente. Suo padre era stato sorpreso in un momento di pace. Leggeva, e teneva gli occhiali tra le dita. Essendosi accorto di lui, li aveva indossati, ed ora l'osservava, attraverso le lenti che l'aiutavano a mettere bene a fuoco il mondo circostante. Bénoît lo ricordava così. Sembrava che il tempo non l'avesse quasi intaccato. Le due ellissi in oro rosa che schermavano, appena, i suoi ridenti occhi chiari, gli conferivano un'aria solenne che non gli si adattava, ma gli erano necessarie. Se poteva, sceglieva di non indossarle, ma preferiva farlo, diceva, per seguire le espressioni dei suoi interlocutori anche da lontano.  Georges era, agli occhi di Bénoît, una miscela di diverse qualità; un poco come le sue polveri profumate. Sapeva essere molto loquace, allegro e coinvolgente, così come poteva, quasi improvvisamente, chiudersi in silenzi impenetrabili, apparentemente immotivati. Certamente, pensieri sconosciuti ai più gli attraversavano la mente, e si impadronivano di lui. La sua esistenza non era stata sempre semplice, e, nonostante non amasse mostrarlo, ne portava i segni; più che le cicatrici dovute alla sua carriera militare, le riflessioni morali legate a situazioni che aveva vissuto, che era stato costretto a fronteggiare, che, troppo spesso, non aveva condiviso, ma che aveva appoggiato, suo malgrado, grazie ad un senso del dovere a cui non era mai venuto meno. Cedeva, a volte, ed avrebbe tanto desiderato, semplicemente, lasciarsi andare, ma preferiva trascinarsi, piuttosto che ammettere di non sapere più come procedere.