Universo persona

IMPARARE A COMUNICARE PER “GUIDARE”, PIUTTOSTO CHE “CONDURRE”


L’essere umano comunica con la realtà del mondo materiale e con quella delle persone, ma perché vi sia comunicazione occorre che l’informazione abbia un effetto retroattivo (feed-back) e che questa stessa informazione abbia un senso. Gli ambiti inseparabili, fisico e umano, richiedono l’uso della funzione neuro-muscolare  e si presentano sotto due aspetti complementari: la funzione tonica, che sottende gli atteggiamenti (nozione di relazione tonico-affettiva)  e la funzione di motilità, che permette gli spostamenti del corpo, l’agire sulla realtà, nonché la conoscenza che ne scaturisce. Vi è un inseparabile nesso tra l’equilibrio corporeo e quello affettivo, così come è dimostrata una reciproca influenza tra gli atteggiamenti corporei e quelli mentali, nella determinazione del ben-essere personale e di una maggiore o minore disponibilità verso gli altri.Gli scambi tra le  persone non dovranno essere concepiti, peraltro, se non integrati nell’insieme dei sistemi di scambio che sono la realtà dell’esistenza di cui costituiscono un aspetto, che si sviluppa in certe circostanze, in un certo momento e implica l’impegno nella relazione.Il modo in cui l’altro viene percepito, seppure in un complesso di informazioni globali e inconsce, costituisce la base della nostra prima conoscenza dell’altro. I tanti mezzi di comunicazione verbale e non-verbale sono strettamente intrecciati tra loro, sono legati alla cultura e all’età e svolgono un ruolo importante nelle diverse situazioni. Il pedagogista clinico coglie la rilevanza dell’osservazione delle diverse modalità di comunicazione del soggetto, in quanto espressioni dell’Io e del vissuto interiore, e quindi la loro conoscenza diviene uno strumento utile per l’incontro con le persone coinvolte nel percorso pedagogico clinico. Nell’ottica della pedagogia clinica sono valorizzati gli sguardi, i gesti, i silenzi, la respirazione… tutti i segni di un’apertura o chiusura del soggetto verso l’altro e di una disponibilità al contatto e all’ascolto, cui il pedagogista clinico stesso non si sottrae.Lo stile comunicativo del pedagogista clinico, ancora di più, viene compreso se si considera la modalità del Reflecting, per cui viene ridotto l’uso della parola a vantaggio di un ascolto guidato e rispettoso di chi si racconta con parole o gesti. Il focus viene fissato sulla prossemica, il tono della voce, la gestualità, gli auto-contatti, la postura, gli sguardi, la respirazione, la mimica facciale… un ruolo notevole ha il silenzio, che il pedagogista clinico normalmente non interrompe, ma utilizza quale attivatore dell’attenzione. La persona, infatti, nel  silenzio rimane con se stessa, riflette sul proprio vissuto, elabora il proprio pensiero. I rimandi sapientemente offerti alla persona sono l’opportunità di un feedback di sé, arricchito da nuove occasioni di riflessione, di analisi e, se occorre, del narrato. Il pedagogista clinico, ottiene questo sostando su dati oggettivi, utilizzando figure retoriche, strutturando in modo congeniale le frasi, modulando il tono della voce, facendo leva su posture e gestualità, gestendo lo sguardo, che, lungi dall’essere inquisitore, ha un ruolo notevole nel far sentire all’altro la propria vicinanza, l’attenzione alla sua persona e la comprensione del suo vissuto. In pedagogia clinica sono aboliti i consigli, le domande inquisitorie, le risposte e, soprattutto i giudizi. Ecco perché l’uso di questa particolare modalità comunicativa consente di “guidare” piuttosto che “condurre” una persona o un gruppo. La finalità dell’intervento è lo sviluppo delle potenzialità del soggetto, in una modalità relazionale e d’aiuto che lo renda veramente libero e responsabile: è un traguardo di soddisfazione personale, di libertà attiva e propositiva.