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Cuba 2011

Post n°24 pubblicato il 24 Gennaio 2012 da mitomarcomane
 

 

1 dicembre 2011, l’avana airport

 

Poche macchine e per lo più vecchie e colorate percorrono il Malecon sul quale si affacciano alberghi grandi e belli da lontano, palazzi mal tenuti e sui marciapiedi orde di turisti che camminano cercando di evitare le onde che sconfinano sulla passeggiata e le varie forme di prostituzione a cui si dedicano gli abitanti del luogo.

Verso Camaguey paesaggi che sembrano africani, con alberi maestosi e antichi, circondati da palme altissime. Si viaggia dovendo superare numerosi carretti trainati da cavalli e dando frequenti passaggi ai vari autostoppisti per necessità, che attendono le rare macchine, magari per evitare di dover viaggiare in piedi sui camion, tra l’altro pagando.

Discoteche bellissime a Cienfuegos, affacciate sul mare, con musica e animazione, tanti turisti e ragazze la cui bellezza rende assurda la così evidente disponibilità. Del resto la maggior parte della gente attende fuori, magari sul largo marciapiede del lungomare, senza assolutamente il classico bicchiere in mano da sorseggiare come capita da noi.

Grotteschi slogan rivoluzionari e talvolta qualche sventolante bandiera cubana, portano il saluto della presenza del governo e della storia. Mentre il decadimento di palazzi e persone rappresenta il tributo pagato al fallimento conclamato del sogno di una società giusta.

Madri che passeggiano coi bambini sono pronte a lasciare il figlio in prestito a un’amica, per seguire in camera un turista che si è girato a guardarla per la strada; autostoppiste studentesse universitarie non esitano a mostrare la propria casa e a lasciare il proprio contatto, sperando che un casuale incontro si trasformi in qualsiasi cosa di più; i proprietari delle case da affitto, piccoli ignobili capitalisti, cercano ogni forma per aggiungere al conto anche un singolo dollaro al cliente occasionale, rinunciando senza pena a qualsiasi parvenza di dignità e senza avere la scusante della povertà, che scrimina invece la gran parte dei suoi connazionali. Differenze enormi tra la classe alta, costituita da lavoratori particulares, proprietari di ristorantini o casette da affitto, ladruncoli, puttane, parenti di emigranti e tra la classe bassa composta dai lavoratori dello stato che non possono arraffare nulla, assurgono a dramma, appena mitigato dalla capacità del sistema di autotutelarsi facendo leva su un certo orgoglio nazionale.

E il turista, fonte di introito principale per il governo, è tutelato oltre la decenza quando evita le file estenuanti che gli altri devono sopportare per accedere a internet, o quando è ammesso ad accedere alle migliori spiagge, laddove i cittadini locali trovano improbabili dinieghi giustificati dal (palesemente falso) full booked.

Cuba ha sole e tanto colore, città antiche e un po’ vecchie, grandi paesaggi e tanta gente che si muove poco e con grande difficoltà, e che il più delle volte vorrebbe farlo per andarsene. La musica non ha la gioia che si vorrebbe far credere. A volte, veri e propri blok di stampo sovietico, solo leggermente più colorati, vengono incassati come pugni dal cuore caraibico di questo paese, che batte silenzioso nella notte buia delle vie senza luci, laddove sono in realtà pochi a ballare e vige il silenzio.

Un silenzio che è perfetto quando si attraversa la post-staliniana plaza della revolucion, costeggiata da viali deserti e multicorsie, vigilati dalle insegne luminose che ritraggono le facce di Fidel e del compagno Guevara… La loro luce è accesa, la musica è spenta.

 

 

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