Margherita

Il mio diario


Da quando ho dodici anni tengo un diario. Il primo era uno di quei quaderni con il lucchetto che si regalano alle bambine. Era verde pallido e in copertina c’era Hollie Hobbie. Le pagine erano bianche, senza righe e la mia grafia infantile era disordinata e irregolare. Non ricordo molto di quello che scrivevo (quel diario, insieme a molti altri, è ancora a casa dei miei genitori – ma mia mamma ha fatto ordine nello sgabuzzino, li ha messi tutti in una cesta e mi ha chiesto di portarli a casa mia – li avrà mai letti?). Mi è rimasta impressa solo una pagina: era morta una anziana contadina che abitava vicino ai miei nonni in campagna… spesso andavamo a salutarla e lei mi dava sempre qualche piccola cosa – una caramella, qualcosa dell’orto – una volta mi scrisse un biglietto di auguri sul retro di una confezione di calze. Sulla pagina del diario avevo incollato quel biglietto e avevo riflettuto sul fatto che era la prima volta nella mia vita, da che ero cosciente, che la morte mi passava vicina, aveva preso qualcuno che conoscevo. Sono stata fortunata, in seguito, perché molto raramente mi è capitato che succedesse ancora. Succederà, è inevitabile, più spesso con il passare del tempo.  Negli anni i quaderni sono passati da formato A5 con la copertina rigida (fino all’università: l’organizzazione della mia vita era tale per cui il mio diario poteva stare sul comodino e le sue dimensioni erano irrilevanti, contava soprattutto la comodità di potere scrivere mentre  ero sdraiata a letto), per poi diventare piccoli quaderni leggeri e flessibili, da tenere sempre con me, nella borsa. Mi hanno accompagnata in treno per anni avanti e indietro. Per anni ho scritto soprattutto in treno, prima pendolare per un amore e poi per un lavoro. A dire il vero era ancora per un amore, perché  ho scelto di vivere dove viveva l’amore, ma purtroppo il lavoro stava da un’altra parte. Fino a una certa età, venti/ventidue anni, scrivevo ogni sera. Poi meno assiduamente ma comunque molto spesso. C’è stata una lunga interruzione, a causa di uno sgradevole episodio. Avevo conosciuto A. da poco. Il mio diario, fiducioso, era sul comodino della mia stanza da studentessa. Lui non si fidava di me, sospettava prese in giro, tradimenti, intenzioni poco serie. Lesse il mio diario e non so bene come io me ne accorsi. Fiducia tradita. Non scrissi più nulla per mesi e mesi. Lui promise che non l’avrebbe mai più fatto e che aveva “dovuto” leggere per “capire com’ero”. Non sono più riuscita a tenere il diario sul comodino… dopo un po’ di tempo ricominciai a scrivere su quaderni dissimulati, ma senza la stessa costanza di prima. Poi, quando l’esigenza di scrivere divenne di nuovo impellente, passai ai quaderni piccoli e leggeri, sempre nella borsa. Vivevo insieme ad A. e non volevo lasciare i miei pensieri incustoditi, nonostante le sue promesse. I quaderni finiti li nascondevo in fondo a cassetti o in scatole sotto i vestiti. A. non ha saputo per anni che avevo ricominciato a tenere un diario.  Ora… può stare di nuovo sul mio comodino: sono tornata a vivere da sola. Non viaggio più quotidianamente per lavoro, ma capita ancora molto spesso che le pagine siano scritte mentre sono su un mezzo di trasporto o in luoghi di passaggio, di attesa.  Così come ancora adesso i miei sogni sono popolati da treni, stazioni, percorsi, movimento. Quei piccoli viaggi quotidiani hanno segnato profondamente i miei anni più recenti...