il garage patafisico

Orsi


Eccezion fatta per il fatto che devo pur continuare ad alimentarmi ed a praticare altre a tutti note attività fisiologiche, passerei intere giornate a letto. Tirar giù il piedino dal letto in queste mattine è pratica paragonabile per le mie obnubilate capacità fisiche e mentali alla scalata non dico dell'Everest ma almeno del K2 senza bombola ad ossigeno, con l'aggravante che il pavimento è ancora più freddo di tutta la parete nord. Raggiungo con immane sforzo psicologico e fisico dapprima il bagno poi la caffettiera in cucina, tremolando come un pallido crème caramel su un piattino tenuto da un cameriere ubriaco e strabuzzando gli occhietti per evitare almeno gli spigoli più appuntiti, poi mi accascio crepitando su una sedia già fatalmente provato. Aspetto che il magico liquido fuoriesca e ne ingurgito quanto più posso per poter avere l'autonomia necessaria a tornare almeno in camera da letto e riaccasciarmi esausto. E, anche se ho appena dormito dodici ore filate, ho sonno, ho invariabilmente sonno, ho inevitabilmente sonno. La prospettiva di alzarsi e compiere qualche gesto di un qualche riconoscibile valore o di una qualche utilità personale o sociale non mi sfiora nemmeno. Dormirei e dormirei senza tregua, senza sosta, senza rimpianti e probabilmente senza ritegno. Giuro che non mi è mai successo prima e non è neanche che io non ami l'inverno o quel venticello freddo che sento sbattere sulle persiane e infilarsi in mezzo agli infissi malandati. Non mi dispiace neanche vestirmi di abiti pesanti e sospirare di soddisfazione quando entro finalmente in un bel posto caldo come un bar dove è evidente il sollievo di tutti i presenti deducibile dalle espressioni facciali tipo "l'abbiamo scampata bella". Mi piace l'inverno, il cielo grigio, la luce bianca, mi piace il respiro che si vede uscire dalla bocca. Eppure quest'anno sono entrato in letargo.Una mia amica mi raccontava tanti anni fa che le capitava spesso nei periodi più faticosi psicologicamente (quando era sotto esame o in crisi col fidanzato di turno) di dormire anche quattordici o quindici ore nell'arco della giornata, di cui almeno tre o quattro nel pomeriggio. Diceva che il suo corpo si ribellava allo stress in quel modo, facendo scorta di ormoni che la tranquillizzassero e la stordissero. Una sorta di terapia naturale, di doping autoprodotto. Io non sono sotto esame e non ho crisi con fidanzate di turno. Ho solo sonno, un irrefrenabile, inestinguibile sonno. Ed ho sonno anche quando sto in piedi e mio malgrado faccio altro. Ho il corpo tutto intorpidito, quel tremore da budino ormai congenito, lo sguardo spento, le mani fredde, la voglia assente, il pensiero bloccato. Infatti non riesco ancora a spiegarmi il perché di tutto questo desiderio di dormire, di questa tendenza all'inattività e, in definitiva, all'isolamento. A volte vorrei che qualcuno mi costringesse a fare qualcosa. Che ne so, ad andare a raccogliere le bacche, ad esempio. Avrei almeno il modo di prendermela con qualcun altro. Sarebbe quanto meno una reazione. O forse la verità è che sono diventato il padrone assoluto di me stesso, non mi sottometto più ad alcun vincolo sociale o relazionale che disturbi la mia beatitudine celeste e mi crogiolo nella più efferata delle perversioni: baloccarmi con la mia nullità. Comunque sia, appena riuscirò ad alzarmi proverò a rifarmi questa domanda e nel darmi una risposta mi gratterò la schiena contro un albero, come sono solito fare.