il garage patafisico

Dilemmi d'amore


Finalmente una buona notizia: d'amore si può morire. E non lo dico io, né lo dicono piccoli lacrimevoli cantanti pop di tutte le latitudini che nonostante l'imperversare della musica house hanno sempre una parola buona per tutti i cuori infranti del mondo, né sottodotati scrittorucoli al femminile che hanno campato di rendita su quest'unico concetto accompagnando nel loro languore generazioni di femminucce per decenni. Ché, finché lo dicevano loro, diciamocelo, era davvero poco credibile, con tutti i soldi che guadagnavano e guadagnano e quel vago sentore di presa per i fondelli che si avverte quando chi ti dà il benestare al tuo sentirti infinitamente depresso e svuotato se ne và, coi tuoi soldi, a svernare ai tropici o in qualche trasmissione televisiva. Senza contare che Leopardi -che dicono fosse pure bruttino e un po' gobbetto- d'amore non ci è nemmeno morto, e allora perché lui no e io sì, che era pure più sfigato di me? No, adesso il lasciapassare per la morte per amore viene direttamente dalla scienza. Dall'università di Utrecht, per la precisione, che non sarà un'università americana a cui siamo disposti a credere senza leggere neanche chi ha condotto la ricerca, che tipo di criteri ha utilizzato, che campione ha preso in considerazione e quanto ci hanno impiegato ad arrivare alla conclusione, ma che è pur sempre una seria e prestigiosa università europea, di quelle che fanno parlare di sé solo quando giungono a certezze manifestamente rilevanti. Dunque, la serissima università olandese spende tempo e risorse e in pagine e pagine di pubblicazione su altrettanto serie riviste scientifiche proclama che lo stress psicologico provocato dal distacco di una relazione finita aumenta fino al 21% il rischio di morte, unito all'adozione di stili di vita "insani" per distogliere la mente dalla sofferenza. Si sostiene, in altre parole, che la sofferenza per la fine della relazione invita a stordirsi con maggior facilità con alcool, fumo e droghe, a trascurare l'alimentazione ed il sonno, a guidare più spericolatamente, a mettere in atto in definitiva una serie di comportamenti definiti "seducenti" ma pericolosi per la salute. Ci si avvia incautamente verso la depressione, insomma, senza rendersi conto che il proprio stile di vita pende minacciosamente verso una forma di autolesionismo che, diciamocelo di nuovo, qualche conseguenza tragica la deve pur avere. Naturalmente vi sono differenze tra i due sessi nell'assorbire questo lutto e và da sé che le donne sono più resistenti degli uomini anche in questo (giungono infatti solo al 17% in più di rischio di morte), e che l'età è una discriminante di non poco conto. Però il nocciolo della questione rimane intatto: ora siamo tutti legittimati non solo a stare male per la fine di una nostra storia (cosa che nel nostro piccolo facevamo già anche se con infiniti sensi di colpa nei nostri confronti e di chi ci sta intorno, perché "come posso permettere a quello/a stronzo/a di farmi sentire così dopo tutto quello che mi ha fatto?), ma vieppiù a morirne, se ci pungesse vaghezza e una buona disponibilità generale. Alla fine il nostro dolore ne sarebbe socialmente sdoganato e cosa c'è di più dolce che morire sotto lo sguardo benevolo e comprensivo dell'umanità che ci assiste? Senza sensi di colpa o di inadeguatezza, perché, in fondo, lo dice anche la scienza. E sarebbe solo la testimonianza della nostra grande sensibilità. L'unica controindicazione parrebbe quella temporale: anche il desiderio di darsi la morte, ben presente in tutte le forme di malattia d'amore, tende a ridursi col passare del tempo. E' massimo nei primi trenta giorni, poi decresce via via fino a scomparire se nel frattempo altre cause non l'hanno già procurata o se il cuore infranto riesce a rifarsi una vita. Occorre saper cogliere l'attimo, insomma. E mi viene in mente mio nonno che, dopo la morte di mia nonna, non si risolse prima di tre mesi a lasciare anch'egli questa valle di lacrime, lasciandoci nel dubbio di quale aggravamento delle sue due malattie, quella fisica o quella dell'anima, gli fosse stato fatale.