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Mohamed H. Kalif

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Post n°367 pubblicato il 14 Settembre 2022 da mohamed21
 

Eh sì, eccomi qui, al Phallon’s pub di nuovo.
Dopo undici ore di un girovagare futile e inutile in questa città, finalmente ritorno al posto giusto e nel momento giusto. Grazie agli Dei ci sarà un Phallon’s pub anche per questa notte e ancora non so chi debba ringraziare per tale buona sorte.
Phallon’s pub è un locale particolare lontano dal centro, a ovest della città e che per raggiungerlo è necessario camminare quaranta minuti con passo cadenzato e la testa bassa. Quaranta minuti nei quali si incontrano decine di guinness luoghi mentre una voce sinistra dentro ti sussurra “… Caro mecenate, non dissertiam di tal luoghi ma guarda e passa”. E devo ammettere che quella sinistra voce aveva consigliato bene perché la guinness del Phallon’s è una vera guinness e io per fortuna ho guardato e umilmente passato. Al Phallon’s poi l’atmosfera è differente perché l’età media è alta, sessanta sessantacinque anni circa, non c’è musica, non c’è luce e fortunatamente non ci sono turisti. Qui tutto è terribilmente vecchio, triste, fermo e con quattro ragni sopra la mia testa che anch’essi sembrano essere stanchi, anziani, delusi e alla fine della loro corsa. Ma forse è proprio questa la vera anima di questo posto e mi devo ritenere onorato di tutto ciò. La presenza dei ragni non è casuale perché in questo locale nessuno parla con alcuno, proprio come fanno i ragni, e anche nel momento dell’ordinazione la conversazione è ridotta al minimo e con la voce più bassa possibile. Al Phallon’s pub non bisogna recare disturbo agli altri clienti che sono tutti costantemente concentrati nel bere. L’unica frase che viene esclamata qui, e quasi sempre a bassa voce e in modo sbrigativo, è “A pint of guinness, please”. Sia l’“ok”, il “grazie” che il successivo “prego” vengono detti con un cenno del capo con l’intento di risparmiare sulle parole che al Phallon’s sono il nostro principale problema. Il proprietario del pub non parla con nessuno e penso che non abbia mai parlato da quando ha preso in gestione il locale. Presumo che ritenga i gesti sufficienti per capirsi e per ottenere quel che occorre che per noi è una deliziosa bevanda nera. La frequenza media dei clienti è al più di sette o otto persone e ho la sensazione che ognuno dei sette o otto, nonostante la media grandezza del locale, sia infastidito dalla presenza degli altri. Ci guardiamo tutti in malo modo e ho la certezza che ciascuno dei presenti vorrebbe il Phallon’s pub tutto per sé, ma purtroppo ciò non è possibile. Il locale è aperto al pubblico e chiunque può entrare, soprattutto chi ha umilmente camminato per quaranta gloriosi minuti per altrettanti “... Mecenate, non dissertiam di tal luoghi ma guarda e passa”. Ho il diritto a essere qui e mi dispiace per loro che sono dell’idea contraria. Il Phallon’s pub è di chi lo cerca e quindi di chi lo trova.
Una grande accortezza che ho avuto in questi due giorni, comunque, è stata di evitare di sedermi sugli sgabelli nelle vicinanze del bagno. Purtroppo la combinazione tra l’età media dei magnifici sette, i fiumi di guinness e le prostate irascibili porta sovente alla corsa in bagno e i tempi di resistenza prima del disastro sono nell’ordine dei secondi. Considerati tali fattori congeniti ho tassativamente soprasseduto dal sedermi su quegli sgabelli. Sono più giovane di loro e sono cosciente del fatto che è necessario sacrificarsi lasciando il tutto agli arconti del Phallon’s che, a settanta primavere, meritano il diritto di raggiungere il bagno in tempi certi. Penso che anche essi abbiano fatto lo stesso con le generazioni precedenti, quelle dei terribili anni dei troubles, ed è giusto che ora abbiano i loro sgabelli della liberazione. E’ importante preservare la solidarietà tra le generazioni se non si vuol vivere in una società in cui gli anziani si chiudono nei bagni delle loro case per bere fino a notte fonda. Da quando ho messo piede al Phallon’s avevo già chiari questi aspetti e non ho avuto dubbi in merito al diritto di prelazione per quei gentiluomini. E Lee Morgan ? Presumo che la sua musica sia in armonia con la cultura gaelica e tale fatto è alquanto singolare. Che relazione vi è tra la Filadelfia degli anni cinquanta e la Dublino del duemilaquindici ? In ogni caso sono curioso di sapere se Lee Morgan avrebbe avuto l’audacia di arrivare fin qui, poggiare la tromba sul bancone, ordinare qualcosa con il cenno del capo e sedersi temerario in uno dei tre onorevoli sgabelli. Chissà se ciò sarebbe accaduto ma, qualora fosse accaduto, sarebbe certamente stato un evento raro e penso che Lee lo avrebbe fatto solo per constatare la reazione dei presenti. A egli garbava non prendersi sul serio e si sarebbe
divertito
molto con le persone del posto per natura tendenti a un sarcastico sorriso. Ritengo però che Morgan nella realtà sarebbe entrato al Phallon’s senza la sua tromba, forse avrebbe guardato negli occhi il proprietario per qualche istante e poi, compiaciuto di se stesso e con la costernazione di tutti, avrebbe semplicemente esclamato “Hey Chico !”.
E poi sarebbe uscito.
Nel cinquantanove Lee Morgan era mordace.
Dublino, 10/08/2015
da “L’Irlanda in jazz” di Mohamed H. Kalif
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Hey Chico - Lee Morgan
(1966 - Blue note records)
Lee Morgan, tromba
Jackie McLean, sassofono contralto
Hank Mobley, sassofono tenore
Cedar Walton, pianoforte
Paul Chambers, contrabbasso
Billy Higgins, batteria

 

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