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Mohamed H. Kalif

Consulente del Lavoro (Email: mhk.consul@gmail.com)

 

 

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Tre

Post n°369 pubblicato il 14 Settembre 2022 da mohamed21
 

Ora che quest’autobus è partito mi sono venuti alla mente ricordi remoti, molto remoti e da decenni se non più nella mia memoria sepolti.
Rammento che nell’anno del Signore millenovecentottantanove Davide Liconi era all’apice e picchiava, picchiava molto e all’orizzonte non era contemplata un’umana sosta per alcuno. Davide Liconi picchiava sempre.
In prima media si vivono delle tragedie e al termine dell’anno scolastico tutti gli studenti della classe muoiono avvelenati come nell’Amleto. E’ un miracolo che io sia sopravvissuto a quell’anno formativo nonostante l’esistenza del temibile Liconi, uno studente che entrò subito e di diritto negli annali della nostra scuola. All’epoca dei fatti Liconi aveva solo undici anni ma il suo viso non era quello di un ragazzo. Aveva il volto di un pugile degli anni cinquanta alla fine della carriera e con il volto tumefatto dai pugni e dalla vita. Davide Liconi incuteva timore al semplice sguardo e il banco in cui sedeva era purtroppo quello alle mie spalle. Una volta mi picchiò solo perché dissi al mio vicino Diotallevi che Di Bartolomei era più forte di Platini. Liconi odiava la Roma e ci picchiava sempre più forte proprio perché non poteva picchiare “La Roma”. Era il terrore del corridoio e dei bagni e non vi era fine a quel perenne stato di tensione. Sceglievamo il luogo dove passare la ricreazione in base alla sua presenza; se usciva noi rimanevamo in classe, se non usciva scattavamo come soldatini in direzione della porta facendo finta di conversare. E poi per qualche minuto assaporavamo la bellezza e la leggerezza della libertà sentendoci tutti francesi. Liconi però era sempre lì, come un felino in agguato, e la ricreazione sarebbe presto finita e la tirannia purtroppo di nuovo giunta. Per svolgere con diligenza la sua missione Liconi nei giorni feriali indossava la tuta per avere facilità nei movimenti, nei salti dai banchi e nelle sue terribili prese al collo da dietro. Se fosse stato illuminato io l’avrei anche accettato come sovrano ma purtroppo Liconi era un assolutista di stretta osservanza. Inoltre non lo si poteva denunciare a meno che non si fosse fatto testamento e serenamente optato per una precoce morte violenta. “Gioventù beltea, io ti abbandono” è il titolo di un madrigale che faticosamente composi in quel periodo e che ora curiosamente mi sovviene. Il Nostro egli era molto vendicativo e con un’inesauribile memoria d’elefante. Non dimenticava nulla e tutti i giorni mangiava kinder bueno senza purtroppo apprezzabili risultati.
Un giorno in seconda media successe però qualcosa che non mi sarei aspettato che accadesse. Mentre Liconi picchiava qualcuno di noi la professoressa di francese disse ad alta voce “Ragazzi, ma ancora vi picchiate alla vostra età ?”. Quella frase per me fu una liberazione e ne rammento il dolce suono come fosse stata pronunciata ieri. La mia vita cambiò in quel mercoledì del novantuno e sento tutt’ora il dovere di gratitudine alla professoressa Montfleury. Grazie a lei capii che all’orizzonte vi erano delle magnifiche sorti progressive e che era solo necessario impegnarsi per coglierle. “Ragazzi, ma ancora vi picchiate ?” è stato il mio quattordici luglio ed ero certo ormai che il passare degli anni, e quindi il giungere della vecchiaia, mi avrebbe condotto in un mondo di progresso, democrazia e libertà. Viva la libertà amici, viva, viva la Francia, e grazie a tutti voi di cuore.
Per quanto Liconi potesse ancora picchiarci prima o poi sarebbe inevitabilmente giunta una pausa. Arrivato a una certa età Liconi si sarebbe stancato e dunque il Nostro egli si sarebbe fermato. Viva la libertà amici, viva, a noi la Francia, no a Luigi XVI, no a Monsieur veto, restiamo uniti, si vincerà, crediamoci, cittadini, cittadini, grazie, grazie e ancora grazie.
Era solo necessario attendere dieci o quindici anni e le botte sarebbero finalmente finite. Da quel mercoledì io mi sentii un leone e per la prima volta guardai Liconi con gli occhi della fierezza del re della savana. La democrazia stava per giungere e il Nostro egli capì che non poteva fermare il progresso e l’incedere della storia. Il Liconi luddista perse in quel dì e la mia forza interiore poggiava ormai su una certezza consolidata. Colui che avevamo di fronte era un picchiatore a tempo determinato che a breve sarebbe stato travolto dalla precarietà dell’esistenza. Nulla è per sempre nella vita e per fortuna neanche Liconi può auspicare di esserlo.
Nel breve periodo in ogni caso il suo regno seguitò e le botte continuarono seppur con minor enfasi e organizzazione. Ora picchiava in modo svogliato, a volte si stancava subito, altre volte addirittura sbagliava persona per la scarsa diligenza. Una volta picchiò Diotallevi invece che me e quando capì di aver sbagliato persona mi lasciò stare. Disse solo che mi avrebbe picchiato il giorno seguente ma dopo l’ora di matematica. Il giorno seguente purtroppo arrivò, l’ora di matematica presto passò ma Liconi per fortuna non mi picchiò, e io ovviamente non glielo ricordai. Liconi non era più il Liconi di una volta, quello dei ruggenti anni ottanta, e tutti noi iniziammo a preoccuparci per il mutare del suo stato psicofisico. Aveva per caso delle profonde angosce interiori ? Era precocemente invecchiato per cause ignote alla scienza ? O intendeva segretamente espatriare a Sant'Elena e non sapeva come fare ?
Il giorno dell’esame di terza media sarebbe dovuto essere l’ultimo in cui l’avrei visto ma lui non si presentò. Il Nostro egli non fu ammesso alle prove e nessuno di noi lo rivide più da quel dì. Dopo diversi anni dunque l’interrogativo della professoressa Montfleury ebbe l’unica risposta che poteva avere: fine delle botte del Nostro egli. Liconi non mi picchiò più perché era cresciuto o perché non ci si vide più ? A tanti lustri di distanza non ho interesse a conoscere quale sia la verità in quanto un’eventuale smentita della tesi della cara professoressa mi turberebbe. Nel giugno del novantadue in ogni caso Liconi scomparve con la medesima velocità con cui tre anni prima apparve, e noi improvvisamente divenimmo cittadini liberi di un paese democratico dell’Europa occidentale. L’unica cosa che ho compreso a tanti anni di distanza è che Liconi in quel periodo aveva dei seri e molteplici problemi in famiglia. All’epoca dei fatti ero troppo giovane per comprendere e purtroppo non lo compresi. Medesima cosa posso certamente ritenere dei suoi luogotenenti, ovvero dei piccoli Liconi che assieme a lui in quegli anni creavano il terrore nella nostra scuola. Tutti loro erano dei deboli anche se si comportavano e si ritenevano di essere dei forti. Illusione vana di una giovinezza di periferia al principio del suo vacuo e imminente epilogo.
Lungo il tragitto per Galway, 12/08/2015
da “L’Irlanda in jazz” di Mohamed H. Kalif
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Melancholee - Lee Morgan
(1964 - Blue note records)
Lee Morgan, tromba
Wayne Shorter, sassofono tenore
Grant Green, chitarra
Herbie Hancock, pianoforte
Reggie Workman, contrabbasso
Billy Higgins, batteria

 

 
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