Creato da gioa.boffa il 30/09/2012
correlazioni tra chimica e vita di tutti i giorni

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storia di un chimico – dodicesima puntata (le piante da frutto dei colli beneventani)

Post n°2 pubblicato il 01 Ottobre 2012 da gioa.boffa

 

(continua dalla storia di un chimico - undicesima puntata) 

dopo quanto ho scritto nell’undicesima puntata, voglio oggi raccontare, ovviamente per chi è interessato alla campagna, le mie conoscenze sulle piante da frutto del terreno circostante il mio giardino ed, in generale, quelle più diffuse sulle colline beneventane. Cominciamo da quelle esistenti intorno al pozzo (questo pozzo è vicinissimo all’abitazione, poco fuori della recinzione ed è munito di un motore elettrico per il sollevamento dell’acqua). Non è molto profondo, perché la sua altezza è di  soli 6-7 metri, la larghezza media è di un metro e mezzo, ma l’acqua non vi manca mai e riesce a sopperire ai bisogni del giardino ed anche a quelli degli ortaggi, soprattutto i pomodori, durante la stagione estiva. Lo fece cavare mio padre negli anni ’50 del secolo scorso coll’ausilio di due braccianti che squadrarono anche le pietre calcaree che gli fanno da corona. Ovviamente non ritornerò sulle piante aromatiche e sugli ortaggi che circondano il pozzo stesso e che costituirono la materia di un mio articolo a parte,  storia di un chimico – decima puntata (ortaggi ed aromi del sud). A pochi passi dal pozzo si può ammirare un mandorlo, ormai vecchissimo, che dava dei frutti molto duri a rompersi, ma che mio zio Francesco (“Ciccio”) innestò tantissimi anni fa (anni ’50?) con talee di un altro tipo di mandorlo che dà frutti che si rompono colle mani. A dire il vero, non posso dire che di mandorli ve ne siano molti nella mia campagna od in quelle vicine. Ciò perché il mandorlo vuole clima caldo per tutto l’anno e soffre per i grandi freddi, e le colline del Sannio durante l’inverno sono spesso battute dalla gelida bora. Il suo nome botanico è Amygdalus communis. Ha tre sottospecie: la sativa coll’endocarpo duro ed il frutto dolce, l’amara il cui frutto contiene l’amigdalina, la fragilis con l’endocarpo fragile. I fiori, ermafroditi, sono bianchi o leggermente rosati. L’olio di mandorle dolci ottenuto per spremitura del frutto, ricco di vitamine E e B, trova impiego nella cosmesi perché agisce da emolliente delle pelli secche ed anche per fare il latte di mandorla, un eccellente dissetante, ideale per il caldo estivo. È della famiglia delle Rosaceae. Le Rosaceae abbracciano molte specie, come vedremo in seguito, ed hanno 5 petali (le parti che formano la corolla), 5 sepali (le foglioline che costituiscono il calice) e molti stami (organi maschili fatti di antera e filamento che talvolta si trasformano in petali dando il fiore doppio). Il mandorlo va molto bene in Puglia ed in Sicilia. In quest’ultima regione viene festeggiato addirittura (con la sagra del mandorlo in fiore nella Valle dei Templi). È una pianta con poche esigenze, ma preferisce terreni non umidi e non troppo compatti. Le mandorle sono molto ricche di vitamina B1 e B2, nonché di potassio, fosforo e calcio. Ma vi sono pure altre mandorle (le amare) contenenti il glucoside amigdalina (vedere formula in figura 1) pericoloso perché se tali mandorle sono ingerite liberano il mortale acido cianidrico (HCN) al contatto colla saliva. Tuttavia vengono usate in dosi minime in pasticceria (amaretti) ed in campo farmaceutico.

(segue in Facebook 01.10.2012 >> gioacchino boffa  o su Wordpress o su Tiscali)

 

 
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i nostri antenati

Post n°1 pubblicato il 30 Settembre 2012 da gioa.boffa

essantaquattromila anni sembrano tanti se li valutiamo col nostro metro di viventi a cui è impossibile superarne centoventi. Ma in realtà sono un soffio se valutati col metro del paleontologo per il quale è antico il reperto di milioni di anni fa o del geologo per il quale cominciano ad essere antichi gli strati di terreno di centinaia di milioni di anni fa. Eppure, in 64.000 anni l'uomo della specie attuale è passato dalla prima selce accuratamente scheggiata, probabilmente una freccia, all'esplorazione dei pianeti. Piccoli frammenti di pietre appuntite assieme a residui di ossa e sangue sono stati trovati infatti in Sudafrica da un gruppo di ricercatori facenti capo a Marlize Lombarddell'Università di Johannesburg nella caverna Sibudu (pubblicazione sulla rivista Antiquity,notizia fornita nel 2010 dalla BBC). Anche se la data è del tutto approssimativa, 50.000 anni fa i nostri antenati più diretti si mossero dall'Africa passando  per il Medio Oriente. Lo dimostrano studi genetici, fossili ed archeologici. Ma per millenni e millenni lungo le coste orientali del continente africano visse un’altra popolazione che avrebbe potuto essere a sua volta capostipite della popolazione che lasciò l'Africa per raggiungere dopo lentissime peregrinazioni il nostro continente. Tale più antica popolazione sudafricana visse alimentandosi di molluschi marini e di tuberi di piante in un periodo glaciale che si protrasse da 165.000 a 123.000 anni fa. Secondo Curtis W. Marean, professore alla School of Human Evolution and Social Change della Arizona State University, che ha studiato i fossili della caverna PP13 di Pinnacle Point sull'Oceano Indiano, questa popolazione ancestrale aveva capacità cognitive molto avanzate e riuscì a sopravvivere alle ostilità climatiche vivendo in caverne a picco sul mare. Questo popolo preistorico già 110.000 anni fa preparava attrezzi rudimentali di pietra e decorava conchiglie con l'ocra rossa. Un'altra scoperta di pittori preistorici è dovuta a Christopher Henshilwood dell'Università di Bergen in Norvegia ed a suoi colleghi [SCIENCEVolume 334Issue 605314.10.2011, 219] che hanno ritrovato e studiato arnesi di 100.000 anni fa per il trattamento dell'ocra. La scoperta è avvenuta a Blombos inSudafricacirca 300 km ad est di Città del Capo. La datazione è stata effettuata con la tecnica detta della luminescenza stimolata otticamente che rileva il tempo durante il quale granellini di sabbia sono rimasti nascosti alla luce solare. Distanti 16 cm dal deposito sabbioso, nello stesso strato, due conchiglie furono trovate ripiene di una miscela di ocra, ossa macinate, carbone e pezzi di roccia quarzitica. Quest'ultima apparentemente era stata usata per macinare la miscela. A che servissero le conchiglie così trattate si può solo immaginare. Forse per scopi decorativi o per proteggere la pelle dalle zanzare. (segue su Gioacchino Boffa Facebook)


 
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