Carlo Molinaro

Tre raccontini


La ragazza che uccideva con la figaFu un botanico, amico del commissario Gissepeu, a risolvere il caso:- Fanno così anche certe piante, per difendersi dai bruchi. Hanno nello stelo, in superficie, uno strato di una sostanza, di per sé innocua, e più all'interno uno strato di un'altra sostanza, anch'essa di per sé innocua, ma che mescolandosi chimicamente producono un terribile veleno. Il bruco mangia la prima, poi mangia la seconda ed ecco che nel suo stomaco si produce il veleno e il bruco schiatta. Mentre la pianta, tenendo separate le due sostanze, non fa danni a sé stessa.- E dunque?- E dunque i tre uomini sono morti tutti e tre avvelenati da qualcosa di misterioso dopo essere stati con quella ragazza. Però non avevano, con lei, né mangiato né bevuto. Eppure è lei che li ha avvelenati. Li odiava perché non si sentiva amata abbastanza da nessuno di loro, pensava che loro in lei cercassero solo sesso, e con il sesso li ha uccisi. È laureata in farmacia e fa l'erborista. Tutto quadra, amico mio.- E come avrebbe fatto?- Si è procurata, o ha prodotto lei stessa nel laboratorio dell'erboristeria, due sostanze simili a quelle con cui la pianta uccide il bruco. Ciascuna innocua da sola, ma micidiali se mescolate. Ne avrà fatto un gel trasparente, e se le sarà spalmate una a destra e una a sinistra della fessura che quasi ogni uomo attrae. E si sarà fatta leccare lì, cosa che quasi a nessun uomo dispiace. Poi li ha congedati, mentre nello stomaco cominciava la lenta fatale reazione chimica. E sono morti in un paio d'ore, uno per strada, uno in un bar, uno a casa con la moglie. Li ha uccisi con la figa.Il commissario Gissepeu scosse il capo:- Tu sei un bravo scienziato, ma hai troppa fantasia.Le analisi però diedero conferme, e la ragazza, messa alle strette, confessò. Al processo fu costante nel ripetere che, comunque, quei tre avevano fatto la fine che meritavano, e che il vero amore non esiste in natura. Se esistesse, infatti, bruchi e piante troverebbero un accordo. Il suicida esibizionista castigatoDeciso a morire per amore, respinto da Ize, Desmu non voleva certo farlo restando nell'ombra, e si rivolse a Gusmepo, un ex pubblicitario alcolizzato fallito, ma da molti ritenuto bravo e geniale.- Ho scritto una lettera per Ize e tu dovrai pubblicarla in ogni luogo possibile appena dopo la mia morte, nel più breve tempo possibile. Mi butterò nel fiume e tu dovrai filmare la scena, filmarla bene: lo scavalcamento della balaustra del ponte, il volo, il tuffo e lo scomparire nell'acqua limacciosa. Dovrai pubblicare il video in ogni luogo possibile.Gusmepo protestò che una tale azione poteva metterlo nei guai, per favoreggiamento di suicidio, ma Desmu lo rassicurò:- È reato aiutare qualcuno a uccidersi, non lo è assistere e filmare. Te lo assicuro. Mi sono documentato.Gusmepo allora accettò, controvoglia. Aveva sempre bisogno di soldi. Desmu gli consegnò ventimila euro e la lettera per Ize, lunga centoquarantaquattro pagine. Al momento opportuno andarono sul ponte. Il fiume era in piena.Desmu non ebbe esitazioni, e in un punto dove la balaustra era un poco sbrecciata scavalcò e si buttò. La balaustra, pericolante, crollò in acqua con lui. Gusmepo filmava da una certa distanza, con lo zoom.Accorse gente. Accorse anche Gusmepo. Gusmepo immaginò Ize angosciata dalla lettera di centoquarantaquattro pagine di Desmu, si sentì infastidito dalla violenza invadente del suicida e pensò di evitare a sé stesso qualche problema. Dunque esclamò:- Ho visto: stava guardando il fiume e la balaustra è crollata. Che tragedia! Il Comune è responsabile di questa morte: non fanno più la manutenzione dei ponti, non hanno a cuore la sicurezza dei cittadini.Cancellò il video dalla memoria della sua videocamera e buttò le centoquarantaquattro pagine in un cassonetto della carta da riciclare. Con i ventimila euro, poi, si sbronzò e risbronzò, accelerando la propria morte per cirrosi.Sul giornale locale uscì la notizia della disgrazia con forti critiche al Comune che si difese accusando alcune cooperative di appaltatori. Quando Ize seppe della morte del suo molesto corteggiatore, sospirò, scosse il capo e mormorò:- Com'è mai la vita. Povero pazzo, che triste destino.Sposò poi uno dell'industria tessile, che era anche campione di golf. Il melo orgoglioso e il contadino orgoglioso pure luiUn contadino aveva un melo che faceva ogni anno mele davvero deliziose, e che diventava sempre più grande e più maestoso. Il contadino gli disse:- Ti devo potare, perché è troppo faticoso raggiungere i tuoi rami più alti.Il melo s'inalberò (gli alberi sono bravi a inalberarsi, è naturale) e ribatté:- Se mi poti non ti faccio più le mele. Ho il diritto di essere come sono e tu puoi anche sopportare la fatica di arrampicarti, se vuoi le mie mele deliziose.Il contadino, arrabbiato, ribatté:- Chi ti credi di essere? I meli devono stare bassi. Non sei mica una sequoia. Non voglio rompermi la schiena.Litigarono di brutto. Il melo per dispetto allungò e allungò e allungò il tronco (è raro, ma certi alberi, quando s'infuriano, ci riescono) fino a un'altezza a cui il contadino non poteva arrivare. Il contadino imprecò e decise che poteva fare a meno di quelle mele. Piantò altri alberelli, che però gli facevano meluzze che lui trovava meno gustose - cosa che rattristava pure gli alberelli.Così il melo alto restò da solo e le sue mele marcirono sui rami, per essere poi mangiate da qualche animale; il contadino restò malinconico e pieno di rimpianti per le mele deliziose; gli alberelli, le cui mele erano in verità buone forse non meno di quelle altre, rimasero tristi.Un cocomero, adagiato nel prato, pensò che sarebbe stato assai meglio prendere una scala, potare un poco ma poco, non impuntarsi, mettere via l'orgoglio - e godere di più, tutti. Ma un cocomero non lo ascolta mai nessuno, la gente dice che vola troppo basso.