Carlo Molinaro

Cappuccino


CAPPUCCINO A me non piace affatto il cappuccino. Quella specie di caffelatte scarso, stitico, schiumoso, troppo caldo, talvolta mi è indifferente, talvolta mi fa quasi un po' schifo - dipende dai giorni. Se avessi in casa una macchina cappuccinatrice non la userei mai. Proprio non m'interessa, il cappuccino. Però mi piace tanto, tantissimo prendere un cappuccino. Mi piace entrare nel bar e guardare il barista o la barista e dire un cappuccino o un cappuccino per favore o buongiorno! un cappuccino o ciao! un cappuccino, grazie o in altri modi ancora, dipende qual è il bar, dipende da come mi guarda il barista, da quanto m'intimidisce o invece mi dà confidenza, da come m'ispira simpatia o antipatia. Poi, soprattutto se è un bar che non frequento, ci può essere la domanda: vuole del cacao? o vuoi del cacao? o ci metto un po' di cacao? o cacao? o in altri modi ancora, a cui la mia risposta, abbastanza fissa, è no grazie. Poi ha inizio la preparazione del cappuccino durante la quale osservo il barista o la barista oppure vago con lo sguardo nel locale osservando le cose e le persone. A questo punto ci sono molte variabili, tutte affascinanti, che sarebbe lungo e noioso elencare, ne dico solo alcune: attaccare un breve discorso con il barista o la barista o contemplare la scollatura della barista o ascoltare un discorso ad alta voce di altri avventori traendone spunti sociologici o eccetera eccetera eccetera. A volte vado a fare pipì e in certi casi, anzi, è proprio questa la causa del cappuccino, benché di solito se il movente è una minzione io prenda un caffè, non so perché, se a spingermi dentro è la pipì non prendo un cappuccino ma un caffè: il bar-per-pipì è una storia diversa dal bar-con-cappuccino. Nel caso della pipì c'è un'altra variabile importante: il cesso del bar. Ce ne sono di tutti i tipi, alcuni meravigliosi, come quello della caffetteria Sofia in via Berthollet che si sale un'impervia rischiosa scaletta fino a uno strano deserto ammezzato con vecchi oggetti e polvere e mistero. Poi arriva il cappuccino e c'è un'altra cosa possibile importante: il disegno che certi baristi riescono a fare versando la schiuma: a forma di foglia o di cuore o d'altro ancora. Poi c'è accostare il cappuccino alle labbra e qui la discriminante è che non sia troppo caldo, che non bruci. Quando ero più giovane a volte dicevo un cappuccino tiepido! ma poi mi sono stancato di quella faticosa prolissa allocuzione che alterava la purezza del rituale: adesso lascio che scelga il barista la temperatura. Di solito, per fortuna, non brucia; se brucia, soffio un poco, un poco aspetto, lo bevo lentamente. Poi c'è, appunto, bere il cappuccino. Questa è la cosa che mi piace di meno e che meno m'interessa: un sapore vale l'altro, io non li distinguo, anche perché, come dicevo, non mi piace il cappuccino. Poi c'è il pagamento, da un euro a un euro e trenta, a parte qualche promozione a ottanta centesimi e qualche ladro a un euro e cinquanta. Pago con le monete o con la banconota, aspettando il resto e lo scontrino. Prima di entrare nel bar ho verificato, sempre, se ho con me il denaro, perché sicuro non lo sono mai. Poi ci sono i saluti, che sono un'altra variabile importante: una barista nuova di via San Donato mi saluta spesso in un modo che mi mette di buon umore anche per più di un minuto e non è male. E questo è quanto, riassumendo molto. Non mi piace il cappuccino, trovo del tutto insensato quello schizzo di pseudocaffelatte, ma mi piace tanto, tanto, tantissimo prendere un cappuccino: le volte che lo faccio divento per un momento un poco felice.