Carlo Molinaro

La discrepanza


LA DISCREPANZA «Di tutti questi suoi discorsi, dottore» - disse il pazzo - «non so bene che cosa pensare. La fase orale, la fase anale... A me sembra che il problema sia a monte (se posso discutere con lei, dottore, io pazzo, di queste cose di scienza), sia a monte di quelle fasi lì, forse è la fase del parto, quando si entra in contatto con tutta quella roba incontrollabile, ostile, che va per conto suo: come chiamarla? il mondo? la realtà? E ci si accorge quasi subito, per giunta, che quella roba incontrollabile non è solo là fuori (il capezzolo che a suo capriccio c'è o non c'è, dà il latte o non lo dà; la carezza che c'è o non c'è, è concessa o non lo è; più avanti, la donna che ci sta o non ci sta) ma è anche qua dentro, e per sempre: anche adesso che le sto parlando, dottore, la voce che le porta le parole che dico mi disturba, la detesto, è una voce stridula, non mi è mai piaciuta la voce del mio corpo, che non ha nulla a che vedere, sia chiaro, con la mia voce: eppure devo usare la voce del mio corpo, e mostrarmi con la faccia del mio volto, che nulla ha a che vedere con la mia faccia, è tutta roba esterna incontrollabile. Non so, dottore, dove si colloca l'origine del problema, forse al parto, forse prima, al concepimento, o prima ancora, al big bang, quando sono cominciate le separazioni, le differenze, le distanze. Non so. Però direi che il problema è questo, la discrepanza, dottore, la discrepanza fra io e il mondo: compreso, nel mondo, me stesso. Lei ritiene di avere una qualche soluzione?»