Carlo Molinaro

Pseudo dialogo del pazzo poetante


PSEUDO DIALOGO DEL PAZZO POETANTE Che il poeta rimanga fanciullo - come da più parti con qualche ragione si sostiene - va bene: ma non è tutto così firulì firulà e aspettino a sorridere i romantici perché ci sono molte componenti problematiche. Fanciullo, bambino! Vive d'impulsi. Questo, per l'arte, va bene. Il bambino che s'incanta davanti a qualcosa non tiene conto: s'incanta e basta: non tiene conto. Anche il poeta non tiene conto ed è proprio così che deve fare: se tiene conto, la poesia s'imbroglia: nella poesia l'unica verità è una verità d'impulso. E la poesia, in fondo, al nostro mondo serve, no? Sì, ma è poesia. Il poeta non è solo la sua poesia. Il poeta è anche un essere vivente, dunque - più o meno - vive una vita: spesso in piccole dosi ma la vive. Dunque, se nella vita [che ha meccanismi diversi da un sonetto] l'unica vera verità è l'impulso perché tutto il resto è costruzione ossia finzione ossia recita, allora va da sé che il bacio più vero è il bacio d'impulso (aspettino, di nuovo, a sorridere i romantici, che lodano l'impulso, so che lo lodano, ma forse per celia) cioè il bacio che non tiene conto di nulla (perché tenendo conto diverrebbe costruzione ossia finzione ossia recita): non tiene conto della realtà, delle situazioni, delle relazioni, dei sentimenti d'altre persone, ma nemmeno dei sentimenti della baciata/baciante e neppure dei sentimenti di sé stesso, il poeta che bacia. Se tenesse conto sarebbe travolto dalla tragicommedia del tempo, delle cose. Si contaminerebbe d'altri sensi, significati. Non sarebbe più vero. Ma così è un quadretto - sia pure di bellezza - chiuso in sé! Che produce da sé la sua stessa verità! Egli vive di questi quadretti senza profondità? Sì e no. Propriamente non è solo un quadretto estetico di bellezza - lo è anche, ma non solo: è che per lui il bacio inconsulto (inconsulto: non consulto: che non consulta: che non tiene conto) è - ripetiamo, chiariamo - l'unico bacio vero, è l'unico contatto possibile fra il suo impulso - l'unica vera verità non mediata (non truccata) - e l'altro (l'altra): che si suppone preso (presa) da un impulso speculare, verità con verità: due verità che si baciano. Figo! Ma perché questo dominio dell'impulso? Perché quello che gli psicologi chiamano impulso lui l'ha sempre chiamato con il suo (il suo di lui stesso) nome proprio. Sì: se lui si chiama, poniamo, Ilario Pistochini, lui l'impulso non lo chiama impulso - possiamo dire che ignora l'esistenza della cosa che gli psicologi chiamano impulso - lui lo chiama Ilario Pistochini. Cioè il suo io è impulso? Uhm, sì, forse sì, qualcosa del genere. E se il suo io è un impulso e se per lui tutto è falso ciò che è costruito, va da sé che la cosiddetta costruzione dell'io... Va da sé. Va da sé. Non che intrapresa, mai neanche ipotizzata. Va da sé. In questo modo, nel consesso umano, che si fonda sulla costruzione dell'io, egli non esiste. Non è che stiamo un po' esagerando? Stiamo un po' estremizzando, per capire. Poi magari gli succede che dopo un bacio - dato d'impulso, perché non ha altro modo di darlo, e ricevuto (così egli suppone) d'impulso [perché se supponesse diverso gli si svaluterebbe] - si sviluppi tutta una serie di cose, di interazioni, di discorsi, di condivisioni più estreme anche a livello di dialogo verbale e ne viene catturato (è quella cosa che chiamano relazione? grosso modo sì) ed entra in contraddizione: il dialogo verbale dotato di senso lo infastidisce: lui di mestiere toglie senso al linguaggio per restituirlo all'impulso, dunque, sì, entra in contraddizione. Il dialogo inoltre introduce un divenire che toglie al bacio la sua eternità. Eppure quel dialogo, quel modo di comunicare, ora gli piace... Faccenda complessa. Uno psicologo ha detto che si potrebbe arrivare a scoprire un vero che è vero davvero perché è dentro [nulla può essere vero se resta fuori] pur provenendo da fuori: proviene da fuori ma si radica dentro e diventa non meno vero dell'impulso, e finisce per assomigliare, come forza e verità, all'impulso - ma, avendo origine altra, certamente può entrare in conflitto, può fare guerre dentro, con sofferenze, e scelte, e rinunce. Non è una cosa semplice. No: è la condizione umana. Gli adulti normali, forse, si sono, fin da piccoli, immersi così tanto in una specie di universo relazionale da arrivare a credere vero - a interiorizzare come vero - qualcosa che proviene dall'esterno, dall'altro: a interiorizzarlo così tanto da assimilarlo, in verità, all'impulso: da tenerci come si tiene a un impulso. Così hanno perso, gli adulti, certe percezioni socialmente incompatibili (non si può avere tutto) ma vivono meglio fra loro. Il poeta fanciullo - che non è, appunto, una cosa firulì firulà - difficilmente ci arriva: è preso da altri fascini, da altri sussulti, da altri punti di vista. Che di certo non vorrà sacrificare. Però vorrà (come tutti) essere amato, amare: gran casino. E come si risolve? In qualche modo provvisorio e parziale, oppure in nessuno: poeti finiti male c'è pieno il mondo.