Ieri a Savona c’è stato, alla festa di Rifondazione Comunista, uno spettacolo di musica e poesia. A leggere le loro poesie erano Cesare Oddera e Francesco «Mac» Vico, accompagnati da un gruppo di musici fra cui l’ottimo Zibba. Si tratta di tre miei amici, Cesare, Mac e Zibba, e quindi adesso avrò qualche difficoltà a «recensire» lo spettacolo. Perché, ecco, non mi è piaciuto, non tantissimo.Non è per le poesie, che in maggioranza già conoscevo, e delle quali alcune mi piacciono molto, altre abbastanza e altre meno, come è naturale. Ma è lo spettacolo in sé che non è riuscito a imporsi. La scelta di leggere in mutande e accappatoio non aveva alcun collegamento con le poesie lette né con le cose dette fra una poesia e l’altra. Restava una trovata isolata, così, scoordinata, e aveva pure una sfumatura di «vorrei ma non posso» rispetto all’eventuale leggere nudi (che, almeno in riferimento a uno dei soggetti, sarebbe stato assai più gradito a una ragazza che avevo accanto e che me l’ha detto – eh no, non vi rivelerò mai chi è!).La musica restava un sottofondo poco avvolgente e poco fruibile, quasi anonimo: non riusciva a farsi ricordare. Ma, soprattutto, lo spettacolo finiva con l’essere costituito «soltanto» da una sequenza alternata di letture di poesie da parte dei due autori, con poche parole di introduzione per ognuna, e con una musica sacrificata alle spalle. Non c’è stato nessun episodio, diverso dalla lettura, a intercalare o a integrare. Anche il finale è stato costituito «solo» da una lettura di un’altra poesia, sia pure a due voci, sia pure una poesia di Ernesto «Che» Guevara.E la trovata di mettere sul palco anche un uomo in giacca e cravatta che per tutto il tempo è rimasto semplicemente seduto a leggere un giornale, idea che di per sé poteva avere un senso, restava però come le mutande e l’accappatoio, qualcosa di slegato, isolato.Insomma, alla fine rimaneva un po’ un’impressione di cose a caso messe insieme con il fil di ferro, senza un progetto efficace. E il pubblico, direi giustamente, è rimasto un po’ distaccato, freddo, con pochi applausi di cortesia, e un paio di applausi veri solo alle poesie in sé più forti.Mi rendo conto che non è una «recensione» positiva e spero di non mettere in crisi l’amicizia, adesso! Sono abituato a essere sincero, lo sono stato anche sul lavoro di altri, ho recentemente vagliato con una certa severità modi e stili pure di una ragazza che avrei voluto (e vorrei) in ogni modo «conquistare» (e questa è davvero la prova del fuoco per un’onestà critica e intellettuale!). Credo che la vera amicizia non sia incrinata dalla sincerità, anzi. E ogni critica è uno stimolo a far meglio. E d’altronde Cesare e Mac hanno non di rado liberamente criticato mie poesie, giustamente, e non per questo li ho mandati a quel paese. E dunque, così sia, sullo spettacolo di ieri a Savona ho detto la mia.La serata ferragostana alla festa savonese di Rifondazione nel complesso è stata bella. Ci sono arrivato verso sera dopo aver pranzato a Varazze con un’altra mia amica; il tempo era incerto e la pioggia è stata una continua minaccia che però ha risparmiato cena e spettacolo (a parte una spruzzatina nel finale). Ho rivisto persone che non vedevo da un po’, ho conosciuto un paio di ragazze nuove, ho chiacchierato e riso alla tavolata di amici, ho fumato il narghilè con Fabio e con le suddette ragazze nuove, ho discusso di politica (embè, era la festa di Rifondazione Comunista: non sia solo cotechino, come già si obiettava alle feste dell’Unità). E poi ho ripreso la mia ormai quasi solita autostrada, che adesso chiamano la Verdemare, e me ne sono tornato a Torino a lavorare.(Nella foto, Cesare e «Mac» – regolarmente vestiti! – in una lettura di poesie a Genova il 20 maggio 2006)
Uno spettacolo andato non benissimo
Ieri a Savona c’è stato, alla festa di Rifondazione Comunista, uno spettacolo di musica e poesia. A leggere le loro poesie erano Cesare Oddera e Francesco «Mac» Vico, accompagnati da un gruppo di musici fra cui l’ottimo Zibba. Si tratta di tre miei amici, Cesare, Mac e Zibba, e quindi adesso avrò qualche difficoltà a «recensire» lo spettacolo. Perché, ecco, non mi è piaciuto, non tantissimo.Non è per le poesie, che in maggioranza già conoscevo, e delle quali alcune mi piacciono molto, altre abbastanza e altre meno, come è naturale. Ma è lo spettacolo in sé che non è riuscito a imporsi. La scelta di leggere in mutande e accappatoio non aveva alcun collegamento con le poesie lette né con le cose dette fra una poesia e l’altra. Restava una trovata isolata, così, scoordinata, e aveva pure una sfumatura di «vorrei ma non posso» rispetto all’eventuale leggere nudi (che, almeno in riferimento a uno dei soggetti, sarebbe stato assai più gradito a una ragazza che avevo accanto e che me l’ha detto – eh no, non vi rivelerò mai chi è!).La musica restava un sottofondo poco avvolgente e poco fruibile, quasi anonimo: non riusciva a farsi ricordare. Ma, soprattutto, lo spettacolo finiva con l’essere costituito «soltanto» da una sequenza alternata di letture di poesie da parte dei due autori, con poche parole di introduzione per ognuna, e con una musica sacrificata alle spalle. Non c’è stato nessun episodio, diverso dalla lettura, a intercalare o a integrare. Anche il finale è stato costituito «solo» da una lettura di un’altra poesia, sia pure a due voci, sia pure una poesia di Ernesto «Che» Guevara.E la trovata di mettere sul palco anche un uomo in giacca e cravatta che per tutto il tempo è rimasto semplicemente seduto a leggere un giornale, idea che di per sé poteva avere un senso, restava però come le mutande e l’accappatoio, qualcosa di slegato, isolato.Insomma, alla fine rimaneva un po’ un’impressione di cose a caso messe insieme con il fil di ferro, senza un progetto efficace. E il pubblico, direi giustamente, è rimasto un po’ distaccato, freddo, con pochi applausi di cortesia, e un paio di applausi veri solo alle poesie in sé più forti.Mi rendo conto che non è una «recensione» positiva e spero di non mettere in crisi l’amicizia, adesso! Sono abituato a essere sincero, lo sono stato anche sul lavoro di altri, ho recentemente vagliato con una certa severità modi e stili pure di una ragazza che avrei voluto (e vorrei) in ogni modo «conquistare» (e questa è davvero la prova del fuoco per un’onestà critica e intellettuale!). Credo che la vera amicizia non sia incrinata dalla sincerità, anzi. E ogni critica è uno stimolo a far meglio. E d’altronde Cesare e Mac hanno non di rado liberamente criticato mie poesie, giustamente, e non per questo li ho mandati a quel paese. E dunque, così sia, sullo spettacolo di ieri a Savona ho detto la mia.La serata ferragostana alla festa savonese di Rifondazione nel complesso è stata bella. Ci sono arrivato verso sera dopo aver pranzato a Varazze con un’altra mia amica; il tempo era incerto e la pioggia è stata una continua minaccia che però ha risparmiato cena e spettacolo (a parte una spruzzatina nel finale). Ho rivisto persone che non vedevo da un po’, ho conosciuto un paio di ragazze nuove, ho chiacchierato e riso alla tavolata di amici, ho fumato il narghilè con Fabio e con le suddette ragazze nuove, ho discusso di politica (embè, era la festa di Rifondazione Comunista: non sia solo cotechino, come già si obiettava alle feste dell’Unità). E poi ho ripreso la mia ormai quasi solita autostrada, che adesso chiamano la Verdemare, e me ne sono tornato a Torino a lavorare.(Nella foto, Cesare e «Mac» – regolarmente vestiti! – in una lettura di poesie a Genova il 20 maggio 2006)