Carlo Molinaro

Identità e differenza


Ieri con un’amica facevo un discorso sulle caratteristiche delle persone e sulle situazioni della vita, e mi hanno colpito alcune affermazioni, che vorrò poi approfondire personalmente con lei (come è naturale) ma che intanto mi sono spunto di riflessione per un discorso più generale qui. L’amica diceva che, pur con le nostre diversità, siamo in fondo tutti un po’ uguali; e valutava come «insane» alcune situazioni, come per esempio quella della donna che accetta con benevolenza le «altre donne» dell’uomo con cui sta, assumendosi un ruolo, diceva l’amica, quasi di «guardiana dell’harem». Ovviamente le due cose sono collegate: per giudicare «insana» una situazione bisogna rifarsi a un fondo di «uguaglianza» su cui misurare tale insanità.Qui non mi interessa però parlare dell’esempio particolare, non voglio fare un discorso sulle donne «non gelose», se siano veramente non gelose o recitino una parte (e lo stesso per gli uomini), e cose così, sempre in bilico sulla letterina a donna Letizia. Personalmente mi sento genuinamente non geloso, misuro l’amore su quello che una persona dà a me e non su quello che dà ad altri, mi sembra di funzionare così e basta. Se poi qualcuno lo ritiene profondamente impossibile, è suo diritto avere questa opinione, ma io non posso che confermare il mio modo di sentire. Pensando a una ragazza che mi piace molto, giorni fa percepivo che ormai saprei anche diventare monogamo di una donna poligama («fedele a un’infedele», per usare l’insensata terminologia tradizionale): non avrei più neppur bisogno di una reciprocità per accettare i suoi amori: è così limpidamente naturale amare chi si ama, indipendentemente da tutto, che quasi mi stupisco che a volte ci si ricamino dei problemi intorno. Ma, come dicevo, è di un’altra cosa che voglio parlare, quindi fine dell’inciso sull’esempio particolare.Voglio parlare della somiglianza e differenza fra le persone, e quindi della possibilità o meno di definire persone (o situazioni di persone) come «insane». Intanto cosa significa «insano»? ha qualcosa a che vedere con «anomalo» o «anormale»? È un problema complesso e non parto da un preconcetto, sto riflettendo, in questo solitario sabato sera, dopo essere stato alla libreria Massena a sentire un pezzetto di lettura di Guido Catalano e aver cenato al Pigaron, il mitico ristorante da otto euro.Che le persone abbiano, nella psiche, un fondo comune direi che è scontato, ma bisogna vedere «quanto». Stando alla mia esperienza di vita e alle mie conoscenze, pochissimo. Faccio una similitudine, per spiegarmi. Un monociclo di quelli che usano gli acrobati al circo e un treno ad alta velocità della linea Milano-Roma funzionano basandosi su un principio assolutamente identico: c’è un corpo di forma circolare (uno o più), appiattito, detto comunemente «ruota», che eseguendo un movimento di rotazione sul suo centro, e aderendo per attrito a un corpo di forma piatta allungata (detto secondo i casi «pista», «strada», «rotaia»), produce la propulsione (ossia un moto lineare direzionato) di sé medesimo e di altre parti a esso collegate (il telaio del monociclo, la struttura del treno). Il principio meccanico è identico.Eppure, non si negherà che il monociclo di un acrobata del circo e il treno ad alta velocità Milano-Roma siano alquanto diversi. Ecco: secondo me ciò che hanno in comune tutte le persone è al massimo quello che hanno in comune il monociclo e il Milano-Roma. Ma ho la sensazione, così d’istinto, che sia anche di meno.Io vedo questa infinita varietà, e altri non la vedono, e già l’avevo intuito tempo fa in discorsi maschili apparentemente da osteria ma non privi di un loro senso, ossia quando qualcuno disse: «Ma Carlo, dopo venti ragazze, per dire, non sei annoiato? Non sono alla fine tutte uguali, le donne, sempre la stessa storia che si ripete?». Anche allora mi stupii, perché fra quelle venti ragazze, e quelle venti storie, non ne trovo due che si assomiglino più di quanto un monociclo assomigli a un Eurostar Milano-Roma.Forse ho uno sguardo (degli occhi e della mente) calibrato a cogliere più le differenze che le identità, e questo spiegherebbe il mio essere poco fisionomista, la fatica che faccio a riconoscere persone che ho visto solo poche volte a distanza di anni: «Ma Carlo, non mi riconosci?» – «Ora che mi parli e ti spieghi forse sì, però tu ti sei tagliato i capelli e ti sei vestito in un modo diverso dal tuo solito e forse sei invecchiato di quindici anni, e io di primo impatto ho visto tutte queste diversità, e ho pensato che non potevi essere tu». S’intende che queste cose non le dico, però è così che mi accade.L’accento sull’uguaglianza mi allarma. «Funzioniamo tutti in un modo un po’ simile» mi sembra il presupposto per creare emarginazione, incomprensione; o una scorciatoia per rinunciare a capire. Si arriva presto a dire: «Tu non puoi essere come appari, stai recitando una parte o sei malato, perché noi [noi tutti gli esseri umani] non funzioniamo così, dunque non può essere che tu sia come sei».Questa considerazione mi ha sempre tenuto lontano da psicologi e psicanalisti di professione, perché mi pare inevitabile che essi partano da presupposti, quasi da protocolli (come ormai fanno quasi tutti i medici delle altre discipline, del resto), o quantomeno dalla loro formazione (per forza!) che però, a mio avviso, non è che un’opinione, per autorevole che sia, e quindi una pura ipotesi (solo i religiosi – di vario tipo – credono in modo automatico all’autorevolezza come fonte di verità, l’auctoritas, e io religioso non sono).Ovviamente posso sbagliarmi, e la parte comune di funzionamento fra tutti gli esseri umani può essere più rilevante di quanto a me appaia. In fondo la mia stessa similitudine si presta alla doppia lettura: ciò che hanno in comune il monociclo e il Torino-Roma è poco visibile ma è comunque importante: senza quel principio «uguale» non si muoverebbero né l’uno né l’altro.Però spesso girando per la città e il mondo, fra persone che conosco bene e persone che solo sfioro per strada, ho la sensazione di «assomigliare» pochissimo, e di «appartenere» ancor meno. È pure probabile che il concetto di appartenenza non mi appartenga (sì, è una frasina a effetto, mi è scappata, scusate) e che questa sia una caratteristica mia da cui discende tutto il resto. Eppure mi sento legatissimo alle persone che amo, e sanguino a ogni distacco. Le rare volte che mi sento «somigliante» mi commuovo e spesso m’innamoro – forse è manifestato dalla poesia che metto qui sotto, una poesia di tanti anni fa, faceva parte della silloge inedita con cui vinsi il premio Montale nel 1985, ora ovviamente è edita, pluri-edita.Ma, al di là di queste considerazioni più personali, la cosa su cui vorrei dialogare è il bilancio di uguaglianza/diversità fra le persone. C’è chi vede quantomeno le masse tutte uguali. Sì, magari viste da lontano. Ma appena ti avvicini, che infinito caleidoscopio di differenze! Stasera al Pigaron mentre cenavo ho captato dai tavoli accanto discorsi diversissimi dall’altra volta e dall’altra volta ancora. Fra l’altro un mese fa sempre al Pigaron avevo sentito un dialogo fra tre operai (un elettrico, un edile e un decoratore: la gente si racconta tanto, in mezz’ora di pasto, e io ascolto!), magari non bravi nel ben parlare l’italiano, ma che esprimevano una teoria e analisi sull’economia e sull’integrazione (una visione equilibratissima dell’immigrazione) così chiara ed efficace che li avrei nominati ministri lì sul campo, al posto di quei quattro coglioni del governo. Forse visti da lontano, nel brusio, erano tre uomini della strada, tre operai che «probabilmente dicono le solite cazzate». Sì, finché non ti metti ad ascoltare.Questo ovviamente vale anche a rovescio, non sto dipingendo il quadro di un’umanità idilliaca. Ascoltando da vicino scopri anche un sacco di cattiverie e merdoserie. Però, anche lì, a me sembrano tutte un po' diverse.Io vedo differenza, tanta differenza. Può darsi che le donne che sanno amare gli altri amori dei loro uomini (per tornare all’esempio particolare) siano poche, e ancora di meno gli uomini che sanno amare gli altri amori delle loro donne. Però ci sono, semplicemente, esistono, e a me non sembra né strano né «insano». D’altronde anche di Einstein, di Saffo, di Gandhi, di Pasolini, di Dante non è che ne nascano a ogni momento, però nascono. Ma in effetti è frequente che vengano definiti «insani» anche loro. Forse è solo un modo di dire.Però ogni discorso che porta o può portare a una lode della norma o della normalità o «sanità» m’inquieta, appena lo sento mi par di avere un laccio a stringermi le mani! Vabbè, avevo voglia di dire queste cose, le ho dette, e buona notte!PARABOLAL’anima mia è un quadro che dipinsiad occhi chiusi in un tempo che non so,e il soffio della terra ne ha fissatopiano piano i colori.                        Il bimbo tenne il braccio ripiegato sul volto, perché i bimbihanno paura. Ma l’uomo, più forte,osò aprire le mani e guardare.Allora quasi nulla che domesticomi fosse io vidi. Solamente, a volte, un suono un volo un arco una fanciulla trovo che già conobbialla mia tela, forsequando ancora ero altrove.E disperatamente m’innamoro: come l’esiliato quando legge all’improvviso nel porto straniero dove cammina pensoso fra gli odori un nome di sua lingua su una prora.                      (scritta nel 1984 o giù di lì)