Mi va di riportare ciò che la giornalista Flavia Amabile dice nel suo forum su La Stampa. In Italia la giustizia colpisce quasi solo i deboli e gli stranieri. Nel «delitto della metropolitana di Roma» ha giocato molto la fatalità. Fra l’altro la vittima era tossicodipendente e quasi certamente ha iniziato lei, magari in crisi, la lite (a una romena clandestina non converrebbe mai esporsi anche in un semplice battibecco in metropolitana: sa che già solo essere fermata e identificata per lei è un guaio). È giusto e non cinico dire che la vittima era tossicodipendente, non attenua la pietà umana per la sua morte, ma è rilevante per la giustizia – anche perché la morte, secondo alcuni, potrebbe essere stata provocata non solo dal colpo di ombrello ma dall’anestesia in ospedale, a cui è stata sottoposta senza che i medici sapessero che aveva nel sangue sostanze stupefacenti (e la somma stupefacenti più anestesia può essere letale). Sedici anni inflitti alla colpevole del colpo d’ombrello sono uno sproposito e lo si deduce anche dai confronti che la giornalista fa. Li trovate qui sotto. Sono contento che lo scriva anche un giornale moderato come La Stampa: la giustizia in Italia è debole con i forti e forte con i deboli. Questo è un fatto. Doina Matei è stata condannata a sedici anni per aver ucciso Vanessa Russo con la punta di un ombrello. Sedici anni perché il giudice le ha creduto: non voleva uccidere, altrimenti sarebbero stati almeno venti di anni di carcere. Sedici anni perché quindici è la pena prevista dal codice, e uno in più per aver ucciso per 'futili motivi'. Nessuna attenuante. Sedici anni, dunque, è la sentenza di primo grado, poi in appello si vedrà. Sono molti? Sono pochi? È una pena esemplare, o un facile accanirsi contro una giovane straniera e per di più marchiata dall'infamia di trovarsi in Italia a lavorare come prostituta? Questo blog già subito dopo l'omicidio aveva provato ad avere un approccio diverso rispetto alla vicenda.Ma osserviamo come si è comportata la giustizia italiana in altri omicidi perché ognuno possa dare una risposta a queste domande. Vi ricorderete di Marta Russo, la studentessa di Giurisprudenza uccisa in un viale dell'Università La Sapienza di Roma, uno dei casi più controversi della cronaca nera italiana. Nel dicembre del 2003 la Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva Giovanni Scattone a cinque anni e quattro mesi di reclusione per omicidio colposo, e il suo collega e amico Salvatore Ferraro, a quattro anni e due mesi. Più interessante ancora il confronto con la vicenda di Salvatore Mannino. Nell'ottobre del 2004 aveva massacrato di botte e ucciso un impiegato che gli aveva graffiato involontariamente l’auto durante una manovra di posteggio. È stato condannato a sei anni di reclusione per omicidio preterintenzionale.Oppure mi viene in mente il caso di Marco Ahmetovic, 22 anni. Lo scorso aprile mentre guidava un furgone completamente ubriaco travolgeva e uccideva cinque ragazzi. È stato condannato a 6 anni e 6 mesi. Ora andiamo a vedere che cosa dice l'indagine più recente sulla certezza della pena in Italia. L'ha realizzata l'Eures nel 2003. Dai dati risulta che in Italia la legge viene applicata sì, ma sempre con estrema cautela e molta bontà. Per l'omicidio preterintenzionale la media è di 8,8 anni e il codice ne prevede almeno 10. A Doina Matei è stato inflitto il doppio della condanna media. Chi è che finisce davvero in carcere? Secondo l'indagine ci finisce chi sequestra una persona, chi è colpevole di omicidio volontario, oppure estorsione, produzione e spaccio di stupefacenti, rapina, istigazione e sfruttamento della prostituzione, e poi molte altre cose ma non l'omicidio preterintenzionale. Il caso di Doina è in linea con la media nazionale soltanto per un aspetto: ormai in Italia a rischiare il carcere sono soprattutto gli stranieri, dal 1994 al 2000 la loro incidenza rispetto al totale dei condannati è passata dal 10,8% al 19,1% e nel 2000 gli stranieri erano già il 28,8% dei detenuti. Insomma, se sei straniero e commetti 'reati di bassa manovalanza', dallo spaccio al furto, è molto più facile andare in carcere. Sapete chi non ci finisce quasi mai, secondo l'indagine? Il manager italiano condannato per bancarotta, quello che manda per aria la sua azienda e le persone che ci lavorano.
A chi tocca la galera
Mi va di riportare ciò che la giornalista Flavia Amabile dice nel suo forum su La Stampa. In Italia la giustizia colpisce quasi solo i deboli e gli stranieri. Nel «delitto della metropolitana di Roma» ha giocato molto la fatalità. Fra l’altro la vittima era tossicodipendente e quasi certamente ha iniziato lei, magari in crisi, la lite (a una romena clandestina non converrebbe mai esporsi anche in un semplice battibecco in metropolitana: sa che già solo essere fermata e identificata per lei è un guaio). È giusto e non cinico dire che la vittima era tossicodipendente, non attenua la pietà umana per la sua morte, ma è rilevante per la giustizia – anche perché la morte, secondo alcuni, potrebbe essere stata provocata non solo dal colpo di ombrello ma dall’anestesia in ospedale, a cui è stata sottoposta senza che i medici sapessero che aveva nel sangue sostanze stupefacenti (e la somma stupefacenti più anestesia può essere letale). Sedici anni inflitti alla colpevole del colpo d’ombrello sono uno sproposito e lo si deduce anche dai confronti che la giornalista fa. Li trovate qui sotto. Sono contento che lo scriva anche un giornale moderato come La Stampa: la giustizia in Italia è debole con i forti e forte con i deboli. Questo è un fatto. Doina Matei è stata condannata a sedici anni per aver ucciso Vanessa Russo con la punta di un ombrello. Sedici anni perché il giudice le ha creduto: non voleva uccidere, altrimenti sarebbero stati almeno venti di anni di carcere. Sedici anni perché quindici è la pena prevista dal codice, e uno in più per aver ucciso per 'futili motivi'. Nessuna attenuante. Sedici anni, dunque, è la sentenza di primo grado, poi in appello si vedrà. Sono molti? Sono pochi? È una pena esemplare, o un facile accanirsi contro una giovane straniera e per di più marchiata dall'infamia di trovarsi in Italia a lavorare come prostituta? Questo blog già subito dopo l'omicidio aveva provato ad avere un approccio diverso rispetto alla vicenda.Ma osserviamo come si è comportata la giustizia italiana in altri omicidi perché ognuno possa dare una risposta a queste domande. Vi ricorderete di Marta Russo, la studentessa di Giurisprudenza uccisa in un viale dell'Università La Sapienza di Roma, uno dei casi più controversi della cronaca nera italiana. Nel dicembre del 2003 la Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva Giovanni Scattone a cinque anni e quattro mesi di reclusione per omicidio colposo, e il suo collega e amico Salvatore Ferraro, a quattro anni e due mesi. Più interessante ancora il confronto con la vicenda di Salvatore Mannino. Nell'ottobre del 2004 aveva massacrato di botte e ucciso un impiegato che gli aveva graffiato involontariamente l’auto durante una manovra di posteggio. È stato condannato a sei anni di reclusione per omicidio preterintenzionale.Oppure mi viene in mente il caso di Marco Ahmetovic, 22 anni. Lo scorso aprile mentre guidava un furgone completamente ubriaco travolgeva e uccideva cinque ragazzi. È stato condannato a 6 anni e 6 mesi. Ora andiamo a vedere che cosa dice l'indagine più recente sulla certezza della pena in Italia. L'ha realizzata l'Eures nel 2003. Dai dati risulta che in Italia la legge viene applicata sì, ma sempre con estrema cautela e molta bontà. Per l'omicidio preterintenzionale la media è di 8,8 anni e il codice ne prevede almeno 10. A Doina Matei è stato inflitto il doppio della condanna media. Chi è che finisce davvero in carcere? Secondo l'indagine ci finisce chi sequestra una persona, chi è colpevole di omicidio volontario, oppure estorsione, produzione e spaccio di stupefacenti, rapina, istigazione e sfruttamento della prostituzione, e poi molte altre cose ma non l'omicidio preterintenzionale. Il caso di Doina è in linea con la media nazionale soltanto per un aspetto: ormai in Italia a rischiare il carcere sono soprattutto gli stranieri, dal 1994 al 2000 la loro incidenza rispetto al totale dei condannati è passata dal 10,8% al 19,1% e nel 2000 gli stranieri erano già il 28,8% dei detenuti. Insomma, se sei straniero e commetti 'reati di bassa manovalanza', dallo spaccio al furto, è molto più facile andare in carcere. Sapete chi non ci finisce quasi mai, secondo l'indagine? Il manager italiano condannato per bancarotta, quello che manda per aria la sua azienda e le persone che ci lavorano.